Che pena vedere un figlio che non capisce.
Che squallore avere un figlio che non intuisce.
Che tristezza osservare un figlio che non vede.
Che grigiore avere un figlio che non ode.
È un dispiacere avere un figlio
che vive nel suo mondo.
Che dolore avere un figlio
che non ti degna di uno sguardo.
Che rammarico avere un figlio
convinto che ti ha dato tutta l’apparenza.
Che scemenza avere un figlio
che non bada alla sostanza.
Che assurdità avere un figlio
che si pone sul tuo stesso piano.
Che delusione avere un figlio
che si allontana e ritira la sua mano.
Che pena avere un figlio che t’ama
a periodi e a lunga intermittenza.
Quegli non ha davvero
capito della vita la vera essenza.
Che sconforto quando un figlio non ti chiama,
non ti dà più il piacere
di un piccolo dono.
Non ti risponde e ti dimostra
che di te può farne a meno,
anche del tuo semplice, possibile perdono.
A che serve avere un figlio
che ti esclude dalla vita?
Che disastro avere un tale essere tra le cinque dita.
Che amarezza ricevere dai figli
una partaccia malcelata.
È come sentire sul viso,
ciò che nel dialetto siciliano,
vuol dire una sonora “tumbulata”.
Sono dei pupazzi mal riusciti i figli
che si allontanano dai padri.
Risultano semplicemente
delle caricature stampate
su dei pessimi, cattivi quadri.
Eppure, sono sempre perdonati tali figlioli,
risultati fotocopie della generosità.
Non hanno, dell’originale,
neanche un granello di verità.
Che disastro avere dei figli
che ti fanno da superuomini,
un solenne discorso,
dicendoti che non ti devi intromettere mai più,
nella loro vita,
quando hai appena finito di ascoltare
il loro pianto di soccorso.
Trattano, in verità, il papà con disprezzo,
distacco,
senza avere alcun rimorso.
Allontanano certi figli,
il papà, dalla loro faccia,
come se avessero finito di usare
una semplice, inutile, carta straccia.
Per di più, non vogliono essere seguiti
nemmeno da una semplice, minuscola, traccia
Sembrano degli Elfi scarabocchiati
i figli che non rispettano i papà.
Vanno a finire, da soli, prima o poi,
nel cestino della loro stupidità.
Sono come rami secchi quelli che tagliano
i legami col passato e la loro storia familiare.
È sicuro che il loro futuro personale
non sarà mai, un buon’affare.
Saranno sconfitti, inutili, vuoti questi figli.
Magari avessero le tasche piene di denaro,
vivranno sempre come dei conigli.
Chi dovesse fare, a costoro,
da cattiva consigliera,
non è certo in buona compagnia.
Rimarrà povera nella vita,
come un fiume in secca, in un’arida prateria.
Che c’è da dire di più,
di un padre che possiede tali figli scriteriati.
Poveretto, maledetto è il suo tempo,
e pure dannato,
avere un figlio che di lui non si è mai preoccupato.
Consegnerà, purtroppo, tutto ciò,
per intero e sbalordito,
ai piedi di chi ha il mondo così ben creato.
Chiederà perdono a Dio,
per sé e per tutto il firmamento,
considerando che un tale figlio
è stato nella vita un gran tormento.
Sì davvero,
come una spada perenne
conficcata dentro il cuore,
con l’anima che fa fatica ogni giorno a respirare.
Sapere per un padre d’essere emarginato
è come perire giornalmente,
per essere stato così vilmente amato.
Eppure questi sono i nostri figli.
Così son fatti!
Non badano mai per il sottile.
Vagano per loro conto.
Partono, tornano,
vanno via lontano sino ai sette mari.
A noi resta solo aspettare,
morire, rivivere, pregare
e poi…
unicamente perdonare
(Tratto dal libro dello stesso aurore: “Filastrocche Magiche e disincantate con dipinti e personaggi d’autore. Volume 4” Ediz. Youcanprint - self publishing - Settembre 2015.
L’immagine ad acquerello allegata, così pure le altre che accompagnano i precedenti brani, sono dello stesso autore.)
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Se sbagliano con noi, credo che siamo proprio noi genitori a doverci chiedere in cosa abbiamo sbagliato, magari a fin di bene.
Anche noi abbiamo avuto comportamenti sbagliati con i nostri genitori, e, una volta raggiunta la loro stessa età, l'abbiamo capito.
È una ruota che gira mentre immutato resta il nostro amore per loro...