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LA CURANDERA

Si chiamava Lida.
Abitava al secondo piano del mio palazzo, io al terzo.
Ogni giorno passavo sul pianerottolo di fronte alla sua porta e quasi ogni giorno, quando sentiva che stavo salendo su per le scale, si affacciava alla porta per salutarmi e sentire come mi fosse andata la scuola.
Io ero ancora una bambina quando conobbi la signora Lida che, da subito, per me fu “nonna Lida” ed è così che l’ho chiamata, fino in fondo.
La “nonna” era una signora anziana, ma non ho mai saputo darle un’età precisa.
La sua pelle non aveva rughe, era liscia e bianca.
I capelli scuri erano sempre raccolti in una piccola crocchia quasi all’altezza della nuca, poche forcine e un pettine che le teneva i capelli sempre tirati per lasciare la fronte scoperta.
I suoi occhi erano piccoli ma vivacissimi e quando ti guardava sprizzavano di gioia.
Era vedova e per questo vestiva sempre tutta di nero.
Il marito le era morto tanti anni prima, quando ancora era giovane e da quel momento aveva sempre vissuto con il figlio, la nuora e il nipote, di poco più piccolo di me.
Ormai mi ero abituata a lei, alle sue attenzioni, alle sue storie.
La consideravo veramente quasi una nonna, anche perché non avevo altre nonne a portata di mano, una era morta quando ero ancora molto piccola e l’altra viveva in una città lontana dalla mia e riuscivo a vederla raramente.
Nonna Lida poi aveva qualcosa di speciale che mi affascinava e mi meravigliava.
Spesso raccontava a me e a suo nipote storie fantastiche e quando raccontava, le sue parole si trasformavano in immagini e le immagini mi si aprivano davanti agli occhi e mi sembrava veramente di vivere quelle storie: storie di fate, di elfi, di streghe, di boschi incantati, di montagne misteriose e di laghi oscuri.
Le immagini si formavano nella mia mente, la storia si animava, prendeva vita dentro di me ed io rimanevo ad ascoltarla ogni volta a bocca aperta.
Crescendo, naturalmente gli impegni scolastici sempre più pressanti, non mi permettevano più di trascorrere molto tempo con lei, ma nonostante tutto cercavo di ritagliarmi sempre qualche ora ogni tanto per stare un po’ insieme a lei.
Stare con lei mi rilassava, mi faceva stare bene, la sua voce calma e tranquilla accompagnava i nostri discorsi e allentava tutte le mie tensioni, come se il tempo in quei momenti si fermasse per darmi un po’ di respiro.
Non mi poteva raccontare più le storie come quando ero bambina, ma gli argomenti non ci mancavano mai, trovava sempre qualcosa da dire ma soprattutto aveva la capacità di dire le cose al momento giusto.
Quando avevo un problema, lei se ne accorgeva subito, ma non mi chiedeva mai niente, cominciava a parlare serenamente .
Ascoltavo in silenzio, indecisa se raccontare o meno quello che mi crucciava, ma non ce ne era bisogno, era come se lei mi leggesse nel pensiero e lentamente rispondeva ai miei dubbi e alle mie insicurezze.
Mi sono sempre chiesta come facesse ad anticipare i miei pensieri, ma mi andava bene anche così e non le chiedevo mai niente.
Ogni volta che andavo a trovarla, mi offriva sempre qualcosa da bere: una tisana, un infuso, un tè particolare.
Sembrava che anche quello me lo scegliesse appositamente perché ogni volta quando poi uscivo da lei, mi sentivo meglio.
Conosceva le proprietà di tutte le piante, andava lei stessa nei campi, sui cigli dei fossi o del fiume a raccogliere le erbe selvatiche che poi seccava al sole e conservava in barattoli più o meno grandi apponendo all’esterno un’etichetta per non confondere un’erba con un’altra.
Conservava tutti questi barattoli in un piccolo ripostiglio dove aveva fatto mettere delle mensole a varie altezze, a seconda dell’altezza dei barattoli, ed era bello anche solo vedere questa distesa di barattoli ben ordinati e leggere le etichette scritte con una scrittura antica, in bella calligrafia, un corsivo un po’ tremolante ma preciso e inclinato a destra, con le lettere maiuscole che sembravano ricami.
La primavera e l’estate erano le stagioni durante le quali Nonna Lida lavorava di più. Si alzava la mattina presto, una “pezzola” in testa che le teneva coperti i capelli per timore che si impigliassero nei cespugli mentre si chinava a raccogliere le erbe, un bastoncino leggero che le serviva sia per appoggiarsi ed essere più sicura negli spostamenti sia per farsi strada fra i cespugli e un borsone di paglia che gli serviva per riporci il suo “raccolto”, un paio di forbici e un coltello.
Stava fuori quasi tutta la mattina, tornava prima che il sole facesse troppo caldo e lavorava poi per tutto il pomeriggio a sistemare le piante e le erbe raccolte.
Alla sua finestra c’erano sempre attaccati mazzolini di erbe che legava con dello spago e teneva penzoloni ad asciugare fino a seccare.
Quello che non poteva attaccare in questo modo, lo stendeva su di un enorme vassoio di legno che fermava bene al davanzale della finestra.
Ogni sera, prima del tramonto e comunque prima che il sole se ne andasse via, toglieva tutto dalla finestra e lo appoggiava in casa per poi rimetterlo fuori al mattino dopo.
Un lavoro continuo e incredibile.
In estate poi aggiungeva anche i barattoli con le ciliegie e soprattutto con le amarene.
Le amarene poi erano la sua passione, se le faceva portare da un vecchio amico, le puliva, le asciugava ad una ad una e le metteva poi a strati con lo zucchero in barattoli di vetro che teneva al sole per quaranta giorni, senza dimenticare mai di muovere i barattoli ogni giorno, più volte al giorno, perché lo zucchero si sciogliesse tutto e impregnasse bene le amarene.
Le amarene, diceva, facevano bene in inverno, contro l’influenza, perché contenevano vitamina C e B.
Con le foglie poi ci faceva un liquore particolare, buonissimo e raccoglieva anche i peduncoli dei frutti che lasciava essiccare al sole perché diceva che avevano proprietà diuretiche e potevano essere utilizzati quali sedativo delle vie urinarie e come potente diuretico, ma anche per le cistiti e per l’insufficienza renale.
Una delle erbe per lei “miracolosa” era la malva.
La trovava sempre a portata di mano, bastava che scendesse le scale e l’andava a raccogliere fresca nei dintorni della casa. La utilizzava soprattutto per le affezioni delle vie respiratorie, per le infezioni della bocca, soprattutto in presenza di ascessi dentali ma anche per altre irritazioni superficiali della pelle e per la stitichezza.
Stare con lei, per me, voleva dire riuscire a imparare qualcosa di nuovo e mi piaceva a volte anche poterla aiutare nelle sue preparazioni che avevano sempre qualcosa di magico.
Con la malva spesso mi faceva degli infusi che io bevevo volentieri.
Prendeva un cucchiaio di malva fatta di foglie e di fiori misti, la faceva semplicemente bollire in un pentolino per qualche minuto, la faceva un po‘ raffreddare e la bevevamo insieme quando era ancora tiepida.
Mi spiegava poi anche le proprietà, mi diceva, ad esempio, che le mucillaggini della malva, come del resto anche di altre piante analoghe, avevano proprietà calmanti e sfiammanti, la parola stessa “malva”, infatti, deriva dal latino “mollire” e significa ammorbidire, rendere molle, ecco perché sciolgono il catarro e allontanano molte infezioni.
Un altro rimedio che Nonna Lida usava era il limone; lo usava sempre, per digerire, per risolvere infezioni, come depurativo, lo usava persino per far passare il singhiozzo ai bambini piccoli. A primavera e ad autunno mi consigliava sempre la sua cura di limoni.
La “cura” consisteva nel prendere al mattino sempre una spremuta di limone, ma non era così semplice perché il primo giorno si trattava di bere la spremuta di un solo limone, ma il secondo giorno i limoni erano due, il terzo, tre e così via fino a sette limoni, poi si tornava a diminuire di un limone al giorno fino a smettere, insomma la cura dei limoni durava la bellezza di 13 giorni. Mi diceva che serviva a depurare tutto l’organismo, a rinforzare le difese immunitarie.
Ultimamente ho trovato alcuni articoli che riportavano studi recenti di ricerche fatte sulle proprietà dei limoni e che hanno confermato quanto Nonna Lida, a modo suo, sosteneva tanti anni fa; l’articolo, infatti, sosteneva che i limoni avessero notevoli e molteplici proprietà fra cui quella di essere un ottimo antiossidante, un anti-tumorale, un anti-infiammatorio. Ulteriori ricerche, infatti, confermano che il limone è un rimedio provato contro praticamente tutti i tipi di tumore. Non solo, è uno spettro anti-microbico contro le infezioni batteriche e i funghi, ma funziona anche come antidepressivo, è utile contro stress e i disturbi nervosi, è un regolatore della pressione alta ed è un combattente naturale contro parassiti interni e vermi.
A conferma degli studi recenti e di quanto diceva anche Nonna Lida, io continuo anche oggi a bere una spremuta di limone il mattino a digiuno, per le sue proprietà depurative e disintossicanti.
Un’altra cosa che però odiavo, ma che mia madre, dietro suo consiglio, mi faceva quando ero più piccola erano gli “ impacchi” di farina di semi di lino.
Nonna Lida glielo preparava ed io dovevo subire questa “tortura”.
Me lo facevano quando avevo la tosse molto forte, preparavano una pappetta di acqua e farina di semi di lino che facevano cuocere in un pentolino, appena era pronta, la lasciavano un po’ raffreddare, per non bruciarmi, la mettevano in un fazzoletto bianco che richiudevano su se stesso più volte perché la pappetta non uscisse fuori e mi poggiavano il tutto sul petto ed io lo dovevo tenere il più a lungo possibile per calmare la tosse.
Potrei raccontare ancora tantissimo sui rimedi di Nonna Lida e devo dire che anche mia madre era sempre molto fiduciosa nei suoi consigli e ricorreva a lei ogni volta che aveva un problema da risolvere.
Ogni tanto mi chiamava e mi diceva:
“Bimba, vieni un po’ qui da me, che dobbiamo “sfare” il malocchio.
Non credevo a queste cose ma non avevo neanche il coraggio di oppormi e poi la cosa mi aveva sempre incuriosito.
Mi portava in cucina, prendeva una candela, l’accendeva, poi prendeva un piatto bianco, ci metteva dell’acqua dentro e teneva a portata di mano la bottiglia dell’olio.
Sentivo che pronunciava delle parole, come una preghiera e nel frattempo faceva scivolare 3 gocce di olio nell’acqua del piatto.
Continuava sotto voce a dire le sue preghiere, poi mi diceva:
“Vai, bimba, non c’è più niente, ora puoi andare tranquilla”
La ringraziavo, la salutavo e andavo via; correvo subito da mia madre a raccontarle che nonna Lida mi “aveva sfatto il malocchio”.
Non ho mai capito come funzionasse per davvero la cosa, ogni volta guardavo quelle gocce di olio che ogni tanto si disperdevano, altre volte si ammassavano facendo una grande bolla ed altre volte si mantenevano intatte così come erano cadute all’inizio. Non mi ha mai voluto spiegare niente di più.
Nonna Lida era però molto discreta, non sì dava mai grande importanza né la dava a quello che faceva.
Per lei era tutto normale, aveva imparato da sua madre e dalla nonna a fare certe cose e per lei era naturale continuare a mettere in pratica i loro insegnamenti, non vedeva il tutto come qualcosa di particolare o come un qualcosa di speciale che la potesse rendere diversa dagli altri.
Una volta, quando ero ormai sposata da diversi anni e abitavo in un’altra cittadina, accadde che a mia figlia, di circa dieci anni, vennero sulle mani decine di verruche.
Era ancora una bambina e piangeva per queste cose che le erano venute sulle mani improvvisamente.
Naturalmente la prima cosa che feci la portai da un medico specialista, un dermatologo molto conosciuto. La guardò con molta attenzione e le segnò delle medicina e diverse pomate.
Fiduciosa del suo parere, spesi un sacco di soldi per comprare le creme specifiche che mi aveva indicato e la cura ebbe inizio subito.
Passarono i giorni e anche delle settimane, ma non c’erano benefici di nessun genere e le verruche continuavano a ricoprire le dita di mia figlia.
Per dire la verità eravamo tutte e due molto dispiaciute di non vedere alcun risultato, mentre il medico, interpellato più volte, mi diceva di continuare la cura.
Ad un certo punto mi venne in mente Nonna Lida.
Erano anni che non la vedevo, si era trasferita da un’altra figlia e sapevo che era molto invecchiata.
Mi informai comunque per andarla a trovare e avere da lei un consiglio.
Mia figlia era un po’ perplessa e non ci sarebbe voluta venire ma io la convinsi che le avrei fatto conoscere una “mia nonna” e così fu.
La trovammo invece sempre molto lucida di mente, aveva solo le gambe, come diceva lei, che la tradivano un po’ e si lamentava di non poter più andare in giro per i campi come una volta, ma era sempre la stessa, cara, affettuosa come sempre e i suoi occhi brillavano ancora come tanti anni prima.
Dopo i soliti convenevoli, le feci vedere le mani di mia figlia e le raccontai un po’ quello che avevamo fatto per cercare di farli sparire.
“Perché non sei venuta prima a trovarmi?, avremmo risolto il problema subito.”, mi rimproverò con voce decisa.
Trovai una scusa per giustificarmi di non averla cercata prima, ma ero anche curiosa di vedere cosa sarebbe successo.
Chiamò sua figlia e le disse: “Portami dei fagioli secchi”.
Sua figlia arrivò subito dopo con una manciata di fagioli cannellini secchi.
Nonna Lida prese con una mano la mano di mia figlia e con l’altra prese un fagiolo e toccò una verruca, dicendo qualcosa che non riuscii a capire.
Poi posò il fagiolo sul tavolo e ne prese un altro e toccò così una seconda verruca.
Un fagiolo per ogni verruca.
Quando ebbe finito, sul tavolo c’era un mucchietto di fagioli, pari al numero delle verruche che erano sulle mani di mia figlia.
“Ecco, mi disse, tutto a posto, le verruche spariranno nell’arco di poco tempo, vedrai, state tranquille. Ora però devi prendere tutti questi fagioli e li devi andare a buttare nel fiume o in un fosso”.
Ero un po’ perplessa su quanto era appena accaduto, ma non volli dire niente e ubbidiente presi quella manciatina di fagioli, li misi in un fazzolettino di carta, e dopo aver salutato la nonna e sua figlia, uscimmo per tornarcene a casa.
Avevo questi fagioli nella borsa e non sapevo cosa farne, credevo poco al fatto di doverli buttare nell’acqua da qualche parte, ma non volevo neanche rischiare di compromettere tutto e, ridendo, ci fermammo sul ponte del fiume e buttammo in acqua tutti quei fagioli.
Non eravamo certe del risultato, ma ci dovemmo ricredere perché nel giro di un paio di giorni tutte le verruche sparirono e da quella volta non sono più tornate.
Quella fu l’ultima volta che vidi Nonna Lida perché di lì a poco, venni a sapere che era morta.
Mi dispiacque molto soprattutto perché non l’avrei più potuta rivedere ma il suo ricordo è sempre vivo dentro di me e non ho mai cessato di pensare a lei come ad una nonna.
Non posso neanche dimenticare tutti gli insegnamenti che mi ha dato negli anni che la frequentavo, insegnamenti che tengo racchiusi dentro di me come doni preziosi, che ogni tanto tiro fuori per risolvere un problema.
Non ho né la forza né il tempo di fare come Nonna Lida, non vado a raccogliere le erbe nei campi ma… oggi le erboristerie sono molto fornite.
Forse Nonna Lida, passandomi qualche segreto suo, aveva visto in me un segno che potevo essere una “curandera”, ma credo anche che noi donne forse siamo un po’ tutte delle “curandere” anche se ora non sappiamo più di esserlo.



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Racconto scritto il 26/07/2013 - 10:29
Da Roberta Sbrana
Letta n.1532 volte.
Voto:
su 6 votanti


Commenti


Senza dubbio la capacità descrittiva c'è e si nota. Anche lo stile, semplice e lucido, mi sembra adatto alla narrazione. Il racconto però è troppo improntato sulla figura della nonna, c'è troppa autobiografia che non serve a coinvolgere il lettore ma solo a dare un numero eccessivo di informazioni che, tutto sommato, poco hanno a vedere con una storia. Certo, si capisce la forza del personaggio, il forte legame dell'autore, ma questo, ai fini del racconto e solo di questo scrivo, ha poca presa.
Una penna così facile a guardarsi attorno, la vorrei incontrare in qualche altra storia.

sergio boldini 09/08/2013 - 16:43

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grazie claretta per il tuo apprezzamento roberta

Roberta Sbrana 08/08/2013 - 00:50

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Una bella storia di vita vissuta complimenti!

Claretta Frau 05/08/2013 - 19:27

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