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Una nuova alba

All’estremità di una delle galassie più lontane dalla via lattea sorge il Regno Senza Tempo, dove il suo sole irradiava sempre la sua energia e i suoi abitanti si beavano dei suoi caldi raggi ogni giorno e la sera rincasavano sereni, con la pelle di un colorito luminoso e gli occhi ancora pieni di luce. I raggi solari accompagnano la vita di quel luogo da miliardi di anni, regolano la vita animale e vegetale; sono quindi origine di vita ed elemento generatore di sostentamento. Non c’erano tempeste solari, quindi il fenomeno delle macchie solari non sussiste e di conseguenza senza emissione di particelle cariche che colpiscono la sua superficie; soprattutto i suoi sudditi potevano esporsi frequentemente senza conseguenze ed avere delle bellissime abbronzature. L’alchimista Nimeon stava prendendo la tintarella sulla sdraio in giardino, allietato dal canto degli uccellini quando il suo amato fido si mise ad abbaiare e scodinzolare al vecchio cancello. Avvicinandosi iniziò a riconoscere la figura di un amico, il principe Kronos, che viveva nel castello del Tempo Perduto, questo dominava la pianura, sospeso su nuvole che ondeggiavano al vento, le quali mutavano in forme e aspetto repentinamente; ora prendendo le sembianze di un volto amico, poi in un pascolo di pecore, la visione di un segno paranormale in cielo aperto e così via. La complessa metafora della ricerca esistenziale della verità oltre l’apparenza e la consapevolezza che si acquisisce attraverso il dolore; ogni momento di conoscenza è il passaggio da uno stato di incoscienza ad un grado maggiore di chiarezza. Splendeva come una gemma, con quattro torri alte e aghiforme, ciascuna delle quali terminava con la forma di unità ideale e metafisica dello spazio e del tempo. Tutti sapevano che il principe nutriva una grande passione per la teoria gravitazionale; l’idea della gravità come forza basata sull’azione a distanza e non come effetto della curvatura dello spaziotempo dovuta alla presenza di una massa. Kronos aveva un aspetto davvero preoccupato, così l’alchimista lo invitò subito ad entrare nella sua vecchia casa sgangherata in cima ad una collinetta erbosa, con i muri un po’ rosicchiati, ma il colore caldo delle pareti le donavano un fascino particolare. Nimeon ne aveva fatto il suo gioiello; un giardino con grandi cespugli di rose, lavanda e rosmarino, una cucina dal disordine accogliente e, naturalmente, il suo laboratorio che, come il resto della casa, era vecchio e malconcio. Occupava il centro della stanza un grande tavolo coperto di alambicchi e bottigliette che contenevano polveri e pozioni dai mille colori. Al riparo di quelle accoglienti mura, il principe iniziò a confidarsi: “Caro amico, da un po’ di tempo nel mio castello accadono strane cose la notte e la sera, non appena riesco ad addormentarmi, i miei sogni si popolano con le quattro unità ideali delle torri che mi inducono ad indagare in che modo l’uomo riesce a operare la prima quantificazione, a isolare dal flusso fenomenico l’unità minima dalla quale poi iniziare a costruire tutta l’impalcatura teorica delle scienze, dalla geometria, alla matematica, alla fisica. Il tutto deve essere codificato in maniera rigorosa e oggettiva, per poter fornire alla scienza delle basi solide e per poterla ricondurre completamente alla sfera fenomenica. la quale è certa, immediata e in questo modo, evitare il profondo divario ontologico ed epistemico, che esiste tra il concetto scientifico e il suo corrispettivo empirico. Al mio risveglio sono infelice, spaventato dalle prove che ho sostenuto, ma la cosa più strana è che le torri perdono la sacralità del Tempo Perduto, mentre le unità ideali cambiano posizione ad ogni risveglio; io mi porto addosso i segni della notte passata con il fisico e il morale distrutti. Temo che andando avanti di questo passo finirò per impazzire! “Principe Kronos, credo che tu sia vittima di un incantesimo”, sentenziò l’alchimista e aggiunse: “Dovremo scoprire chi è l’autore e porre rimedio con la giusta pozione”. Venne l’ora di separarsi e Kronos tornò mestamente al castello del Tempo Perduto, già sapendo che avrebbe dormito sogni tutt’altro che tranquilli. Infatti, venne il sonno e venne il sogno: “si trovava in una foresta incantata, con alberi e fiori di ogni tipo, l’aria carica di stelle iridescenti, il profumo dei frutti maturi. Ad un tratto, ecco affiorare la luce della realtà dell’esperienza e dei fenomeni, quell’astrazione estrema e iniziale che la fisica classica ha sempre dato per scontata, ovvero la riduzione della natura a un insieme di punti adimensionali posizionati in istanti temporali privi di durata. Ma questi punti adimensionali non esistono nell’esperienza, e anche le durate, del resto, sono sempre durate diverse da zero. Così, se io analizzo il mio flusso esperienziale, posso trovare in esso la mia stanza, per un certo periodo temporale. Ma all’interno dell’evento-stanza per un dato periodo ho l’evento-stanza per un periodo inferiore, ho anche l’evento-tavolo per lo stesso periodo, che è, quindi, contenuto dal punto di vista spaziale nell’evento stanza. E la possibilità di individuare criteri di individuazione degli eventi è pressoché illimitata. È da qui che per arrivare a definire in che cosa consistono, sotto questo punto di vista, i punti adimensionali dello spazio e gli istanti senza durata del tempo,che si aprirà un varco che mi permetterà di tornare al castello. Il principe cadde nello sconforto e qui che nasce l’unità metafisica fondamentale della “cosmologia; l’evento, infatti, inizia a caratterizzarsi come una monade leibniziana, come un’unità metafisica in cui tutto l’essere si manifesta attraverso un singolo evento che contiene, ed è frutto, di tutte le relazioni che lo hanno preceduto. Ma nell’evento noi possiamo individuare differenti componenti, a seconda della condizione formativa che utilizziamo per comporre le nuove classi di astrazione. Se utilizziamo, per esempio, come condizione, l’individuazione di una figura geometrica come un quadrato, e degli infinitesimi quadrati in esso contenuti e “concentrici”, possiamo vedere come la classe astrattiva composta da questi quadrati degeneri in un punto, così come quella composta da rettangoli di base uguale ma di altezza decrescente degenera in una linea. In questo senso ovviamente l’analisi impiega un formalismo completo ed esauriente, possiamo vedere come sia possibile derivare dall’esperienza i concetti primi della geometria. Il punto, per esempio, in quanto classe astrattiva, è “contenuto” nella classe astrattiva della retta. In seguito, in base al concetto di sistema temporale, viene definito il criterio di parallelismo e, ancora oltre, quello di normalità. Insomma, si tratta di identificare tramite il metodo dell’astrazione estensiva gli elementi base della geometria e, in un certo senso, ridurre alcune componenti qualitative della percezione a elementi quantitativi misurabili. L’idea di sistema temporale, che ricorda da vicino il concetto di sistema di riferimento della fisica relativistica (ovvero il cui tempo è diverso rispetto a quello degli altri sistemi di riferimento in moto relativamente a esso). Da questi punti di partenza, si procede a una specie di “riallineamento” della sua geometria alle leggi fisiche e matematiche e il varco si aprì. Era sera quando si presentò nuovamente a casa dell’alchimista e gli portò i suoi appunti incriminati, chiedendogli di lavorarci sopra. L’alchimista Nimeon rimescolava, scioglieva piccole quantità di polveri multicolori, riscaldava e raffreddava quegli intrugli dall’aspetto così curioso. Dopo qualche ora mostrò al principe una pozione verdastra: “Questa è la soluzione. Qualcuno, invidioso del tuo buon cuore e della tua vita spensierata, ti ha procurato un incantesimo. Se costui berrà questa pozione l’incantesimo si scioglierà, le tue torri torneranno a splendere e tu dormirai in un mondo di bei sogni. Ma attenzione! Dovrai essere sicuro di far bere la persona giusta: la pozione rende invidioso il malcapitato che dovesse berla senza averne bisogno”. Kronos passò diversi giorni scrutando guardingo i suoi conoscenti, gli abitanti del regno ed addirittura i suoi più cari amici. Tuttavia non era facile capire chi fosse il responsabile. Decise allora di dare un ballo sfarzoso con l’intenzione di colpire il personaggio invidioso: sperava di cogliere dall’espressione del viso o dal comportamento dei suoi ospiti qualche segnale rivelatore. Organizzò il tutto in modo che ogni cosa fosse perfetta: furono imbandite enormi tavolate con le migliori pietanze, lampadari di cristallo dai mille colori furono lucidati e accesi con migliaia di candele in modo che una luce di arcobaleno inondasse la sala, grandi ceste di agrumi ornavano i tavoli e profumavano l’aria, caminetti scoppiettanti riscaldavano l’ambiente e una splendida orchestra di musicisti in frac suonava una musica frizzante e spensierata. Per tutta la sera osservò i suoi ospiti. Balli, scherzi, risate, tutto sembrava procedere al meglio; tuttavia, se si cercava di prestare più attenzione, in effetti c’era un invitato che sembrava avere un’ombra sul volto ed era il suo fidato amico Titanio. Possibile che fosse lui il responsabile dell’incantesimo? Kronos iniziò ad andare indietro con i ricordi, tornava ai piccoli gesti e ad alcuni segnali di insofferenza a cui non aveva dato importanza e sempre più si convinceva che davvero il suo amico potesse essere il responsabile delle sue sventure. Mano a mano che questa convinzione si impossessava di lui, cresceva nel suo cuore la rabbia per la sofferenza che gli era stata procurata ma soprattutto perché si trattava pur sempre del tradimento di un amico. Si guardò intorno, il suo castello del Tempo Perduto era una vera meraviglia, frequentato ogni giorno da ospiti allegri e simpatici che lo amavano. Titanio poteva godere di tutto questo e il principe era un sovrano davvero buono. Tuttavia, forse, nelle sue giornate sempre piene di compiti, spesso senza compagnia, aveva iniziato a sentire la solitudine. Giunse l’ora del saluto degli ultimi ospiti. Restava solo Nimeon che si attardava davanti al camino osservando affascinata la luce d’arcobaleno che ondeggiava sul salone semideserto. Si sentivano ancora le risate degli amici che si allontanavano quando il principe decise di avvicinarsi al suo consigliere e di tentare con la pozione magica. Aveva paura di sbagliare ma ormai la sua convinzione lo spingeva con insistenza a quel gesto. Prese dal tavolo i calici di cristallo, li riempì con un delizioso vino di violetta e in uno di questi aggiunse la pozione verdastra. “Signori, questo ballo è stato davvero un gran successo disse Kronos e aggiunse: “propongo un ultimo brindisi con voi, amici più cari”. Servì il vino di violetta all’Alchimista, all’orchestra ed infine a Titanio. In un attimo giunse da sud un vento leggero carico di mille lucciole che dai grandi finestroni aperti invasero il salone, le candele si spensero mosse dal vento e tutti furono presi da grande meraviglia. Fu un momento e subito, come per magia, il vento cessò e gli ospiti si trovarono nel salone buio, illuminato solo dalla flebile luce di quei graziosi animaletti. I servitori si preoccuparono di portare alcune lampade ad olio e quando finalmente poterono vedere i loro volti, notarono immediatamente l’espressione di Titanio, un po’ confuso ma particolarmente sereno e sorridente. Il principe chiamò Nimeon e gli chiese di correre fuori a controllare se le torri fossero tornate splendenti. Dopo pochi minuti tornò trafelato con la notizia, che non solo splendevano più di prima, ma le unità ideali avevano ripreso il loro posto, ma le aveva ridato l’antica sacralità. Il principe, che prima di servire la deliziosa bevanda era in collera con il suo consigliere, sentì che la rabbia stava lasciando il posto alla tenerezza per quel suo caro amico che forse aveva sofferto a causa della sua scarsa sensibilità. No, non l’avrebbe cacciato dal castello e non avrebbe fatto parola con nessuno dell’accaduto. Quel vento di lucciole sarebbe rimasto un mistero per tutti. Non restava che festeggiare, con la certezza nel suo cuore che sarebbe stato più attento in futuro a non far sentire solo neanche uno dei suoi amici. Ordinò all’orchestra di riprendere a suonare e, in una luce rosata e bellissima, si fece strada un’alba nuova. C è un alba nuova dietro quei monti scuri, rosa come la pelle tua, non preoccuparti è sicuro, so che accadrà deve cadere questo muro. C è un alba nuova negli occhi della gente chiara come l’ingenuità; dopodomani te lo giuro sprofonderà, deve cadere questo muro si scioglierà in tempo breve come neve. C è un alba nuova, c è un alba nuova , c è un alba nuova. Scommetto che rinascerà su questa terra buona; un frutto che tu mangerai un giorno a cena con quell’entusiasmo che c’era e quella schiettezza sincera, se cerchi ce l’hai la forza di credere. C è un alba nuova (Mango).



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Racconto scritto il 04/02/2018 - 11:59
Da Savino Spina
Letta n.1324 volte.
Voto:
su 2 votanti


Commenti


DEVO DIRTI MOLTO INTERESSANTE E BELLO ma tanto lungo che quando arrivi in fondo non ricordi l'inizio buona giornata

GIANCARLO POETA DELL'AMORE 04/02/2018 - 12:40

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