Il tutto iniziò con un incontro assolutamente casuale.
Ero al bar vicino alla facoltà di fisica, stavo prendendo un caffè e vicino a me vidi un tipo che aveva un qualcosa di familiare, lo guardai, poi lo riconobbi.
Un mio compagno delle superiori, Carlo, era il tipo che mi stava difronte.
Parlammo del più e del meno, mi disse che era un docente universitario ed era specialista in qualcosa, non ricordo cosa, nella facoltà lì vicino.
Chiese di me. Gli dissi che stavo lavorando in un ufficio a due passi dal bar.
Passarono i mesi e ci capitò diverse altre volte di incontraci al bar.
Dopo circa un anno dal nostro primo casuale incontro, la mia salute iniziò a dare segnali preoccupanti.
Inizialmente pensai ad un male di stagione ma qualcosa mi diceva di “stare in campana”.
Abitavo da solo in un monolocale, a due passi dal posto di lavoro.
Il mio unico parente era un fratello che abitava a mille chilometri e che sentivo o vedevo raramente.
Non sono mai stato un tipo espansivo, ognuno si trova il carattere che si ritrova.
Non sono un orso ma neanche un “trascinatore”.
Andai dal medico, esposi le mie preoccupazioni, i miei problemi di salute e lui mi propose di fare delle analisi.
Feci tutta una serie di esami, sia del sangue, sia strumentali, sia una curiosa puntura alla schiena che, se non erro, si chiama rachicentesi, insomma, per farla breve, dopo tutto questo esaminare, venne fuori che avevo una brutta malattia.
Inizialmente il medico che aveva l'ingrato compito di darmi i risultati non voleva dirmi nulla.
Vedevo, dalla sua faccia, dalle sue espressioni, che c'era sotto qualcosa di brutto.
Insistetti per avere la verità.
Dissi che ero solo e che avrei dovuto gestire la cosa da solo e se il risultato degli esami fosse stato negativo era mio diritto saperlo per poter organizzare la mia esistenza.
Alla fine cedette e mi disse la verità.
Non potete immaginare lo shock.
Solo come un cane, senza nessuno che potesse realmente essermi d'aiuto.
I medici mi spiegarono che esistevano varie forme di quella patologia e la mia, giusto per distruggere di più la mia anima, era la forma peggiore.
Andai a lavorare ancora per qualche tempo, ma più per distrarre la mia mente, per vedere gente prima che la malattia potesse impedirmelo.
Contattai mio fratello e raccontai cosa mi stava succedendo.
Lui fu molto evasivo, sembrava che … insomma non si precipitò a casa.
Mi disse, senza tanta convinzione, e sapendo che di certo non l'avrei fatto, di trasferirmi da lui, a 1000 chilometri di distanza, in una casa già relativamente piccola per sei persone a cui mi sarei aggiunto, per di più malato, io.
Una situazione difficile.
Al bar incontrai nuovamente Carlo.
Vide che qualcosa in me non quadrava.
Gli dissi della malattia, del fatto che ero solo, e via discorrendo.
Non lo so perché gli dissi tutte quelle cose, probabilmente per sfogarmi, per avere una metaforica spalla su cui piangere.
Lui fu molto cortese, ascoltò il mio sfogo senza interrompermi, mi diede qualche consiglio su dove andare per avere un sostegno psicologico, ma anche pratico.
Poco prima di andarsene mi chiese se volevo partecipare ad un esperimento.
Lo guardai come si potrebbe guardare uno che ti dice un qualcosa che con la situazione contingente non c'entra un benedetto tubo.
Lui sorrise, poi, con estrema calma e semplicità, mi spiegò in cosa consisteva.
Stava lavorando ad un progetto sull'interazione tra computer e uomo.
Chiese se fossi stato disponibile a “trasferire” la mia “anima” in un sofisticato programma.
Mi spiegò che, nel caso avessi dato il mio consenso, sarei stato il primo.
Mi disse che le difficoltà da affrontare erano tante e che il mio nome sarebbe passato alla storia.
Ripeté più volte il concetto: Nome alla storia, pensai che una volta andato non me ne sarebbe importato un bel fico secco del mio nome alla storia.
Comunque, dissi di si. Non avevo nulla da perdere.
Carlo incominciò a venire a casa mia, assieme al suo gruppo di lavoro.
Mi fecero mille domande, presero le misure della mia casa, annottarono gli oggetti che stavo usando.
Mi dissero che il programma aveva bisogno di un po' di tempo per essere messo appunto.
Come dettomi dai medici, iniziai ad avere problemi alle gambe.
La malattia avanzava.
Nell'ultimo periodo della mia esistenza terrena, mi trovavo ricoverato all'ospedale.
Carlo chiese il consenso per attaccarmi tutta una serie di sensori, acconsentì, che dovevo fare?
Improvvisamente, dal letto dell'ospedale mi ritrovai a casa mia.
Dalla porta entrò Carlo, sorridette.
-Mario, ci siamo riusciti! - mi disse con tono entusiastico.
-Vuoi dire che...
-Si! siamo dentro il programma. Abbiamo messo i tuoi genitori, con le caratteristiche che ci hai detto tu. Per ora non puoi andare lontano. Il programma prevede che ti puoi spostare per non più di 10 chilometri.
-Posso camminare!
-Certo! Puoi camminare, parlare, puoi fare tutto.
Carlo uscì dalla stanza con un enorme sorriso stampato sul viso.
Ero stordito da quella situazione, non sapevo che fare.
Dopo qualche minuto sentii la porta aprirsi, era mia madre.
I realizzatori del programma, come da me richiesto, avevano inserito mia madre e mio padre ma non mio fratello, almeno così dissero.
-Ciao Mario – fece mia madre.
-Ci...ao – risposi. Non riuscii a smettere di guardarla. Non sapevo se piangere o ridere dalla felicità.
-Perché fai quella faccia lì? Allora, vieni a darmi una mano a portare la spesa o pensi che entri in casa da sola?
-Arrivo! - continuai a fissarla, poi mi avvicinai e l'abbracciai forte.
In quel momento capii che lei non era lei, infatti svanì sotto le mie braccia.
Carlo entrò, si avvicinò, chiese scusa e ribadì che quello era un prototipo, il primo in assoluto e che dovevamo aspettarci problemi di vario genere.
Non solo mia madre svanì ma mi dissero che la figura di mio padre, che sarebbe dovuto apparire insieme a mia madre, non sarebbe, per problemi che oggettivamente neanche mi importavano, apparso per diverso tempo.
La mattina dopo di questa nuova “vita”, decisi di uscire, mi incamminai per vedere cosa c'era attorno a me.
Presi l'auto, che avevo preteso esistere, e vagai per un po'.
La gente in giro era poca e quasi tutti erano vestiti in modo molto simile.
Rientrai a casa, accesi il televisore, Carlo mi disse, in uno dei nostri incontri, che i canali televisivi, ma anche internet, erano quelli che vedevano e seguivano “tutti”.
Fui tentato di mandare un email ad un collega di lavoro.
Avevo promesso di non farlo ma... fu più forte di me.
Mandai un messaggio di poche righe, avrei pagato qualsiasi cifra per vedere la faccia di Giulio, il collega.
Quella “bravata” mi costò una reprimenda da parte di Carlo.
Questo programma faceva parte di un esperimento che non doveva avere contaminazioni con l'esterno.
Mi dissero che da quel momento in poi tutte le mie attività sarebbero state strettamente controllate e che avrebbero impedito qualsiasi comunicazione con l'esterno.
Iniziavo a sentirmi in trappola.
Passarono i giorni.
Dei miei neanche l'ombra.
La mattina facevo una corsetta, la sera guardavo la televisione o internet, giusto per farmi capire di non “sgarrare”, le comunicazioni con l'esterno erano state disabilitate, potevo comunicare solo con quelli del programma, basta.
Chiesi di mandarmi qualcuno per parlare, di farmi incontrare gente.
Feci presente che gli accordi non erano quelli.
Il clima iniziò a scaldarsi.
Con il passare del tempo notai una minore attenzione nella cura del programma.
C'erano meno persone in giro, i pochi presenti rispondevano a monosillabe, non potevi imbastire nessun discorso di nessun tipo con loro.
Dopo un mese, circa, all'improvviso tutto cambiò.
Aprì la porta di casa e notai subito il traffico, prima quasi inesistente, non solo, le vetture erano di molte marche diverse.
Andai a prendere l'auto e un tipo mi fermò.
Restai a bocca aperta, era la prima volta che accadeva.
-Scusa, sai dove si trova la libreria Dettori? - chiese lo sconosciuto.
-Come dice, scusi?
-Sono nuovo e … - il tipo non sembrava essere stato generato dal computer, qualcosa non quadrava.
-Anche lei fa parte del programma? - domandai allo sconosciuto.
-Già! Vedi, mi hanno promesso...
-Guarda, anche a me hanno promesso un sacco di cose. Tu sei la prima persona con cui posso veramente parlare, fare un discorso sensato.
-Capisco! Che si fa?
-Cioè? Che vuoi fare?
-Mi avevano detto che qui avrei trovato la mia famiglia ma...
-Fammi indovinare, non hai trovato nessuno.
-Si!
-Mi sa che ci hanno detto un sacco di balle per farci accettare. Però... però... forse il fatto che sei arrivato potrebbe essere un buon segno. Quanti giorni ci sei?
-Cinque.
-Che fai per passare il tempo?
-Nulla.
-Come nulla?!
-Passeggio, guardo la tv, guardo molto internet. Le persone che avevo chiesto non ci sono.
-Come l'hanno giustificato?
-Come, scusa?
-Si, come hanno giustificato il fatto che sei solo come un cane?
-Hanno problemi di finanziamenti e non possono ampliare il programma.
-Cavolate! Penso che lo sapessero benissimo ben prima di iniziare quali fossero i limiti. Sono stati dei disonesti.
-Ci staranno sentendo?
-Lo spero bene!
Contento dell'aver qualcuno con cui parlare, passai quasi tutta la giornata con il tipo.
La sera, aprendo la porta di casa, trovai Carlo con il suo gruppo ad aspettarmi.
-Ciao Mario.
-Ciao, hai sentito tutto il discorso?
-Si, l'ho sentito. Allora... è vero, alcune promesse...
-Alcune?!
-Fammi continuare. Alcune promesse non le abbiamo potute mantenere. Alcuni finanziatori si sono ritirati all'ultimo e abbiamo dovuto fare salti mortali per non sopprimere il programma.
-Volevate “spegnermi”?
-Abbiamo fatto di tutto per evitarlo. Siamo riusciti a trovare altri finanziatori, solo che dobbiamo aggiungere delle variabili che ci hanno imposto.
-Cosa vuol dire?
-Vuol dire che altre figure si aggiungeranno. La buona notizia è che potremo rispettare gli accordi iniziali, quindi ci saranno i tuoi genitori e alcuni tuoi amici, come da te richiesto.
-La cattiva?
-La cattiva? Bhé … ci saranno dei nuovi personaggi che interagiranno con te.
Non mi pare che sia una cosa...
Aspetta a dirlo. Comunque, domani o dopo dovrebbero arrivare i tuoi.
Ero al bar vicino alla facoltà di fisica, stavo prendendo un caffè e vicino a me vidi un tipo che aveva un qualcosa di familiare, lo guardai, poi lo riconobbi.
Un mio compagno delle superiori, Carlo, era il tipo che mi stava difronte.
Parlammo del più e del meno, mi disse che era un docente universitario ed era specialista in qualcosa, non ricordo cosa, nella facoltà lì vicino.
Chiese di me. Gli dissi che stavo lavorando in un ufficio a due passi dal bar.
Passarono i mesi e ci capitò diverse altre volte di incontraci al bar.
Dopo circa un anno dal nostro primo casuale incontro, la mia salute iniziò a dare segnali preoccupanti.
Inizialmente pensai ad un male di stagione ma qualcosa mi diceva di “stare in campana”.
Abitavo da solo in un monolocale, a due passi dal posto di lavoro.
Il mio unico parente era un fratello che abitava a mille chilometri e che sentivo o vedevo raramente.
Non sono mai stato un tipo espansivo, ognuno si trova il carattere che si ritrova.
Non sono un orso ma neanche un “trascinatore”.
Andai dal medico, esposi le mie preoccupazioni, i miei problemi di salute e lui mi propose di fare delle analisi.
Feci tutta una serie di esami, sia del sangue, sia strumentali, sia una curiosa puntura alla schiena che, se non erro, si chiama rachicentesi, insomma, per farla breve, dopo tutto questo esaminare, venne fuori che avevo una brutta malattia.
Inizialmente il medico che aveva l'ingrato compito di darmi i risultati non voleva dirmi nulla.
Vedevo, dalla sua faccia, dalle sue espressioni, che c'era sotto qualcosa di brutto.
Insistetti per avere la verità.
Dissi che ero solo e che avrei dovuto gestire la cosa da solo e se il risultato degli esami fosse stato negativo era mio diritto saperlo per poter organizzare la mia esistenza.
Alla fine cedette e mi disse la verità.
Non potete immaginare lo shock.
Solo come un cane, senza nessuno che potesse realmente essermi d'aiuto.
I medici mi spiegarono che esistevano varie forme di quella patologia e la mia, giusto per distruggere di più la mia anima, era la forma peggiore.
Andai a lavorare ancora per qualche tempo, ma più per distrarre la mia mente, per vedere gente prima che la malattia potesse impedirmelo.
Contattai mio fratello e raccontai cosa mi stava succedendo.
Lui fu molto evasivo, sembrava che … insomma non si precipitò a casa.
Mi disse, senza tanta convinzione, e sapendo che di certo non l'avrei fatto, di trasferirmi da lui, a 1000 chilometri di distanza, in una casa già relativamente piccola per sei persone a cui mi sarei aggiunto, per di più malato, io.
Una situazione difficile.
Al bar incontrai nuovamente Carlo.
Vide che qualcosa in me non quadrava.
Gli dissi della malattia, del fatto che ero solo, e via discorrendo.
Non lo so perché gli dissi tutte quelle cose, probabilmente per sfogarmi, per avere una metaforica spalla su cui piangere.
Lui fu molto cortese, ascoltò il mio sfogo senza interrompermi, mi diede qualche consiglio su dove andare per avere un sostegno psicologico, ma anche pratico.
Poco prima di andarsene mi chiese se volevo partecipare ad un esperimento.
Lo guardai come si potrebbe guardare uno che ti dice un qualcosa che con la situazione contingente non c'entra un benedetto tubo.
Lui sorrise, poi, con estrema calma e semplicità, mi spiegò in cosa consisteva.
Stava lavorando ad un progetto sull'interazione tra computer e uomo.
Chiese se fossi stato disponibile a “trasferire” la mia “anima” in un sofisticato programma.
Mi spiegò che, nel caso avessi dato il mio consenso, sarei stato il primo.
Mi disse che le difficoltà da affrontare erano tante e che il mio nome sarebbe passato alla storia.
Ripeté più volte il concetto: Nome alla storia, pensai che una volta andato non me ne sarebbe importato un bel fico secco del mio nome alla storia.
Comunque, dissi di si. Non avevo nulla da perdere.
Carlo incominciò a venire a casa mia, assieme al suo gruppo di lavoro.
Mi fecero mille domande, presero le misure della mia casa, annottarono gli oggetti che stavo usando.
Mi dissero che il programma aveva bisogno di un po' di tempo per essere messo appunto.
Come dettomi dai medici, iniziai ad avere problemi alle gambe.
La malattia avanzava.
Nell'ultimo periodo della mia esistenza terrena, mi trovavo ricoverato all'ospedale.
Carlo chiese il consenso per attaccarmi tutta una serie di sensori, acconsentì, che dovevo fare?
Improvvisamente, dal letto dell'ospedale mi ritrovai a casa mia.
Dalla porta entrò Carlo, sorridette.
-Mario, ci siamo riusciti! - mi disse con tono entusiastico.
-Vuoi dire che...
-Si! siamo dentro il programma. Abbiamo messo i tuoi genitori, con le caratteristiche che ci hai detto tu. Per ora non puoi andare lontano. Il programma prevede che ti puoi spostare per non più di 10 chilometri.
-Posso camminare!
-Certo! Puoi camminare, parlare, puoi fare tutto.
Carlo uscì dalla stanza con un enorme sorriso stampato sul viso.
Ero stordito da quella situazione, non sapevo che fare.
Dopo qualche minuto sentii la porta aprirsi, era mia madre.
I realizzatori del programma, come da me richiesto, avevano inserito mia madre e mio padre ma non mio fratello, almeno così dissero.
-Ciao Mario – fece mia madre.
-Ci...ao – risposi. Non riuscii a smettere di guardarla. Non sapevo se piangere o ridere dalla felicità.
-Perché fai quella faccia lì? Allora, vieni a darmi una mano a portare la spesa o pensi che entri in casa da sola?
-Arrivo! - continuai a fissarla, poi mi avvicinai e l'abbracciai forte.
In quel momento capii che lei non era lei, infatti svanì sotto le mie braccia.
Carlo entrò, si avvicinò, chiese scusa e ribadì che quello era un prototipo, il primo in assoluto e che dovevamo aspettarci problemi di vario genere.
Non solo mia madre svanì ma mi dissero che la figura di mio padre, che sarebbe dovuto apparire insieme a mia madre, non sarebbe, per problemi che oggettivamente neanche mi importavano, apparso per diverso tempo.
La mattina dopo di questa nuova “vita”, decisi di uscire, mi incamminai per vedere cosa c'era attorno a me.
Presi l'auto, che avevo preteso esistere, e vagai per un po'.
La gente in giro era poca e quasi tutti erano vestiti in modo molto simile.
Rientrai a casa, accesi il televisore, Carlo mi disse, in uno dei nostri incontri, che i canali televisivi, ma anche internet, erano quelli che vedevano e seguivano “tutti”.
Fui tentato di mandare un email ad un collega di lavoro.
Avevo promesso di non farlo ma... fu più forte di me.
Mandai un messaggio di poche righe, avrei pagato qualsiasi cifra per vedere la faccia di Giulio, il collega.
Quella “bravata” mi costò una reprimenda da parte di Carlo.
Questo programma faceva parte di un esperimento che non doveva avere contaminazioni con l'esterno.
Mi dissero che da quel momento in poi tutte le mie attività sarebbero state strettamente controllate e che avrebbero impedito qualsiasi comunicazione con l'esterno.
Iniziavo a sentirmi in trappola.
Passarono i giorni.
Dei miei neanche l'ombra.
La mattina facevo una corsetta, la sera guardavo la televisione o internet, giusto per farmi capire di non “sgarrare”, le comunicazioni con l'esterno erano state disabilitate, potevo comunicare solo con quelli del programma, basta.
Chiesi di mandarmi qualcuno per parlare, di farmi incontrare gente.
Feci presente che gli accordi non erano quelli.
Il clima iniziò a scaldarsi.
Con il passare del tempo notai una minore attenzione nella cura del programma.
C'erano meno persone in giro, i pochi presenti rispondevano a monosillabe, non potevi imbastire nessun discorso di nessun tipo con loro.
Dopo un mese, circa, all'improvviso tutto cambiò.
Aprì la porta di casa e notai subito il traffico, prima quasi inesistente, non solo, le vetture erano di molte marche diverse.
Andai a prendere l'auto e un tipo mi fermò.
Restai a bocca aperta, era la prima volta che accadeva.
-Scusa, sai dove si trova la libreria Dettori? - chiese lo sconosciuto.
-Come dice, scusi?
-Sono nuovo e … - il tipo non sembrava essere stato generato dal computer, qualcosa non quadrava.
-Anche lei fa parte del programma? - domandai allo sconosciuto.
-Già! Vedi, mi hanno promesso...
-Guarda, anche a me hanno promesso un sacco di cose. Tu sei la prima persona con cui posso veramente parlare, fare un discorso sensato.
-Capisco! Che si fa?
-Cioè? Che vuoi fare?
-Mi avevano detto che qui avrei trovato la mia famiglia ma...
-Fammi indovinare, non hai trovato nessuno.
-Si!
-Mi sa che ci hanno detto un sacco di balle per farci accettare. Però... però... forse il fatto che sei arrivato potrebbe essere un buon segno. Quanti giorni ci sei?
-Cinque.
-Che fai per passare il tempo?
-Nulla.
-Come nulla?!
-Passeggio, guardo la tv, guardo molto internet. Le persone che avevo chiesto non ci sono.
-Come l'hanno giustificato?
-Come, scusa?
-Si, come hanno giustificato il fatto che sei solo come un cane?
-Hanno problemi di finanziamenti e non possono ampliare il programma.
-Cavolate! Penso che lo sapessero benissimo ben prima di iniziare quali fossero i limiti. Sono stati dei disonesti.
-Ci staranno sentendo?
-Lo spero bene!
Contento dell'aver qualcuno con cui parlare, passai quasi tutta la giornata con il tipo.
La sera, aprendo la porta di casa, trovai Carlo con il suo gruppo ad aspettarmi.
-Ciao Mario.
-Ciao, hai sentito tutto il discorso?
-Si, l'ho sentito. Allora... è vero, alcune promesse...
-Alcune?!
-Fammi continuare. Alcune promesse non le abbiamo potute mantenere. Alcuni finanziatori si sono ritirati all'ultimo e abbiamo dovuto fare salti mortali per non sopprimere il programma.
-Volevate “spegnermi”?
-Abbiamo fatto di tutto per evitarlo. Siamo riusciti a trovare altri finanziatori, solo che dobbiamo aggiungere delle variabili che ci hanno imposto.
-Cosa vuol dire?
-Vuol dire che altre figure si aggiungeranno. La buona notizia è che potremo rispettare gli accordi iniziali, quindi ci saranno i tuoi genitori e alcuni tuoi amici, come da te richiesto.
-La cattiva?
-La cattiva? Bhé … ci saranno dei nuovi personaggi che interagiranno con te.
Non mi pare che sia una cosa...
Aspetta a dirlo. Comunque, domani o dopo dovrebbero arrivare i tuoi.
Racconto scritto il 13/02/2018 - 21:39
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