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Lo sbarco in Emilia

Benedetta ironia ! Me la porto dietro da sempre, non solo come “ derniere touche “ ad un carattere brillante e intraprendente, a volte. Come stile di vita, sempre. Ne sono succube da che sono nato e mi ha causato tante gioie e non poche polemiche. Le gioie sono addebitabili alla simpatia cui spesso si confonde. Le polemiche, i dolori sono spesso frutto di malintesi poco intenzionali. Non mi sono mai definito una “malalingua”, ma che sia una linguaccia piccante è arcinoto.
Così, successe, quel sabato sera di tanti anni fa, ad una di quelle feste in casa, tipiche degli anni ’70, in cui, in mancanza degli odierni spinelli, pillole magiche e quant’altro potesse far eccitare le menti, che il perno dell’attenzione fossi io e la mia verve inevitabilmente ironica. Sotto la lente d’ingrandimento era stato posto il gioco del poker che in quel periodo era molto di moda presso i giovani, maturi, montanti e squattrinati. Odio fare le famose filippiche, né, tantomeno prendere posizioni che non mi competono, però, come al solito, avevo la necessità di dire la mia, a modo mio. Infatti lo feci, tra frizzi e lazzi e molte risate. Ricordo che a costarmi caro fu proprio l’incipit con cui feci la mia entrèe. Parlai di trascorsi alle foci del Mississipi da cui partivano i battelli che trasportavano famosi, mitici cultori di quel gioco. E così via. Tra l’ilarità generale proseguii, esaltandomi nel gioco delle parole e dei pensieri critici. La vidi, messa di lato e in disparte, con un vestitino rosso su un corpo di bambina cresciuta in fretta, carina, pensierosa, con occhi solo per me e attenta alle mie… elucubrazioni. La cosa mi diede fastidio solo per il breve attimo in cui i miei occhi si posarono su di lei. Sembrava distaccata, asettica. Me ne dimenticai.
Due o tre giorni dopo ero intento a “sistemare” il mio mini appartamento, quando fui interrotto dallo squillo discreto del campanello d’ingresso. Con molta reverenza, almeno così gli dissi, accolsi sua maestà, la bellezza incontrastata, maschile, del mio entourage. Stefano entrò e sorrise della mia battuta, ma notai che qualcosa l’imbarazzava. Non era da lui. Lo misi a suo agio offrendogli un caffè. Iniziò a parlare raccontandomi delle bellezze dell’ultima donna che stava seguendo. Si, perché lui le donne non le corteggiava, le seguiva. Che fossero poi le donne ad essere preda del suo fascino era altra cosa! Lo stoppai subito perché non mi piacciono le celebrazioni. Mi spiegò solo che, un’amica di questa sua, ormai inevitabile, conquista, sapendo della nostra amicizia, l’aveva reso latore di un messaggio per me ! Per niente inorgoglito dal messaggino di una donna che non conoscevo e che, in teoria, avrebbe potuto essere anche la Strega di Benevento, chiesi ulteriori spiegazioni ed acquisii così che a mandarmi il messaggino era lei, la ragazza con l’abitino rosso, che si vantava di conoscermi ed essere bravissima a giocare a poker, per cui mi sfidava sicura di poter vedere il colore delle mie mutande, nell’occasione. Parliamoci chiaro, non ho mai posseduto un mazzo di carte, di qualsiasi genere. Non amo il gioco, mi piace veder giocare gli altri per poi piazzare la mia battuta salace sugli attenti cultori di questi. Ma quale Mississipi, quali battelli ! Per potermi divertire a modo mio con un mazzo di carte non ero mai andato oltre il bar sotto casa e le sfide cui avevo assistito non si svolgevano tra danarosi magnati ma tra baldi tranvieri e frustrati ferrovieri!
Tuttavia commisi l’errore di cedere al mio orgoglio maschile, mi sarebbe molto piaciuto essere ammirato da tutti e, in particolare, da quella ragazzetta che ancora mi resisteva.
Inutile dire che accettai la sfida, però li pregai di portare le carte. Le mie dovevano ancora inventarle e, quando lo avessero fatto, non le avrei acquistate, per scarso interesse!
Una strana allegria mi pervase. Per l’occasione indossai una camicia coloratissima, di quelle che si vedono nei telefilm ambientati a Los Angeles. D’altra parte per me tutta quella situazione era solo un’avventura scherzosa, carnevalesca.
Quando i miei ospiti arrivarono cercai di metterli a proprio agio offrendo le mie riserve di liquori e dolciumi. Ma loro, lei in particolare, la Fernanda, mi pressò perché andassi al sodo. Non so se per darsi un tono o per insipiente sicumera, si sedette al tavolo e dispose i soldini in piccole pile di fronte a se. Sorrisi per questa messa in scena poiché ben sapevo che si giocava di poco, per cui non avrei dovuto chiedere, eventualmente, alcun mutuo. Mi ritrovai così, per la prima volta nella mia vita, seduto ad un tavolo da gioco, a confronto con avversari agguerriti che bramavano i miei possedimenti. Ed è vero quanto affermo se è vero che Fernanda abbassò gli occhi sulle carte per rialzarle solo alla fine del gioco!
Densi nuvoloni si addensavano sulla mia pretestuosa e immaginaria bravura.
Ora, non voglio fare il solito discorso delle pentole e dei coperchi, del diavolo o dei Santi, della classica botta di…fortuna, fatto sta che inanellai sontuosi punteggi e vinsi tutto ciò che c’era da vincere. E di più. Per consentire ai miei ospiti di rifarsi giocai anche a credito, col risultato che, quando decisero di smettere, mi erano tutti debitori di sommette, che non mi avrebbero arricchito di certo ma facevano venire il prurito al mio orgoglio messo in discussione. Il mio amico e la sua giovane fiamma, non mi ridiedero mai quella somma. Da lei la pretesi! Disse che lei stessa me l’avrebbe portata. Terminato il gioco, finì anche la serata e, per me restò solo come una bella serata di divertimento.
Evidentemente, però, non era destinata ad essere considerata tale da tutti i partecipanti. Me ne accorsi due o tre giorni dopo quando alla mia porta si presentò Fernanda. Era tesa, imbarazzata, quasi tremante dal nervosismo. Peccato che il mio cognome non fosse Bonomelli, sebbene non mi manchino doti di sedazione. La feci entrare e lei, sempre nervosamente e con disprezzo, sbattè sul tavolino d’ingresso la piccola somma che mi doveva. Non ci diedi nemmeno un’occhiata. Prendendola per mano la condussi dentro a sedere. Quindi con le mie migliori qualità narcolettiche, le parlai con molta serietà e comprensione. Cosa che raramente mi riesce. Il mio fare canzonatorio non prescinde la mia compostezza. Ed ebbi nuovamente successo su di lei. Pian piano si sciolse e si mostrò per quello che era realmente. Una gran brava ragazza, attratta dalle facezie di un bulletto di quartiere.
Questo non me lo doveva fare! In queste situazioni, ci vuole poco per coinvolgermi emotivamente. Mi conosco. So che poi, nonostante il mio modo guascone di esprimermi, nonostante l’apparenza di rampollo “rampante”, di giovane Casanova, riesco solo a parlare col cuore e ad esternare una sensibilità mai doma.
Diventammo amici, benché la sua loquacità non fosse l’arma migliore a sua disposizione. Lo fummo finché, complice il film Anonimo Veneziano che mi coinvolse totalmente, davanti casa sua, la baciai e…all’anima dei sentimenti repressi o poco espressi, quella sera finii al pronto soccorso. Infatti nella foga di ricambiare il bacio, mi diede un morso fortissimo al labbro causando un taglio con conseguente emorragia!
Quello fu il mio unico sbaglio con lei. L’avevo baciata non da innamorato, solamente da emozionato!
Pagai caro, oh si che lo pagai. Mi si appiccicò addosso e non mi lasciò più, minando il mio innato desiderio di libertà. Il mio non voleva essere l’inizio di uno sbarco in Emilia di un promettente libertador terroncello né l’esemplare maschio rampante di una categoria mai in estinzione. I playboy.
Ho sempre avuto un cuore capiente di cui ho fatto buon uso sempre. Certo, avrebbe bisogno di un po’ di manutenzione…strutturale ma l’ho messo sempre a disposizione degli affetti più cari. Per situazioni più importanti forse è inutilmente più capiente ma stabilmente occupato da sempre.
Lo dissi anche alla Fernanda che non se ne diede per intesa. Fu così che, una sera, dopo averla accompagnata a casa…sua, dovetti farla scendere dall’auto trascinandola per un braccio dopo aver chiarito che quella sarebbe stata l’ultima volta per noi. L’ho comunque sistemata nella zona migliore del mio cuore, lato mare ! Questa ed altre situazioni non mi fecero, tuttavia, chiudere la seconda porta, la più importante del mio cuore, quella che custodiva e custodì il solo affetto che ho sempre mantenuto nella sua unicità, alla faccia degli innumerevoli “sbarchi” dovuti alle peregrinazioni della mia vita. La lasciai aperta perché lo spazio non le difetta, ed io ho solo una necessità: amare !



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Racconto scritto il 06/04/2018 - 09:34
Da Nino Curatola
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