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La freccia al centro del bersaglio.

Non gli ho mai parlato di noi, di quando tornavamo tardi con gli occhi stanchi e il sorriso di chi ha trovato il suo posto nel mondo.
Non gli ho mai raccontato delle corse in moto col cuore in gola, di come mi chiedevi di stringerti forte, tanto da perdere il respiro.
Ma con te, il respiro lo perdevo io, ad ogni sguardo, ad ogni carezza, ad ogni parola non detta.
Non gli ho mai detto che con te avevo progettato la mia vita, il nostro futuro, e che quando sei andato via ricominciare da capo è stato come non riconoscersi più, come non essersi mai saputa.
Non gli ho mai spiegato perché non volessi essere toccata sull’addome, lì dove solo da te mi facevo tenere; non gli ho mai spiegato i miei indescrivibili cambiamenti d’umore quando mi sollevava abbracciandomi, facendo scricchiolare le ossa tra le spalle e la schiena; non gli ho mai spiegato perché non volessi soprannomi dolci e particolari.
Ho sempre rimandato la sua presentazione alla mia famiglia per paura che lui gli potesse piacere più di te, perché a me nessuno è piaciuto più di te.
Ho sempre cercato invano di non pensarti quando mi stringeva la mano, di non scambiare le tue abitudini con le sue, di non andare nei nostri posti simbolici, di non farmi fare il solletico e di non addormentarmi sul suo petto.
Gli ho tenuto nascosto che quando parlavo con le mie amiche, o con sua madre, spesso confondevo il suo nome con il tuo e ho tenuto per me anche la consuetudine di stringere forte gli occhi durante i baci, solo per poterti immaginare al suo posto.
Gli ho negato di vedere l’alba in spiaggia perché non avrei potuto spiegare le lacrime che avrebbero percorso il mio viso.
Non gli ho mai detto che il solitario e la fedina che mai ho tolto dall’anulare sinistro me li hai regalati tu.
Ho iniziato ad andare a ballare solo con le ragazze della mia compagnia, perché trovavo un riferimento alla nostra storia in ogni canzone e non avere davanti nessun altro avrebbe potuto attenuare il dolore di non averti accanto.
Di quelle serate ricordo ogni instante: vederti ballare tenendo il tempo, succhiarti il labbro indurendo la mascella e cantare socchiudendo gli occhi erano e sono rimaste tra le cose che più mi hanno mandato fuori di testa.
Per non parlare del tuo modo di stringermi dai fianchi e sollevarmi per poi baciarmi dolcemente, come se io fossi l’unica cosa di cui avresti per sempre avuto bisogno, per poi prendermi sotto braccio sorridendo, quando la musica si spegneva, per tornare a casa, anche se era proprio tra quelle braccia la mia casa.
Dopo di te non ho mai più contato i giorni che mancavano per vederlo, non ho più tenuto conto delle coincidenze, non ho più ricordato le date, mentre ciò che riguardava te non l’ho mai più dimenticato.
Non ho più neanche voluto che qualcuno mi mettesse lo zucchero nel caffè e tantomeno ho più ordinato i biscotti di pasta frolla.
Ho cambiato abitudini, modi di fare, preferenze e modi di ragionare eppure non è bastato a cambiare il caos che è tornata ad essere la mia vita quando le nostre strade si sono separate.
Ho sempre risolto da sola i complessi che nel cuore della notte diventavano martellanti, ho pianto da sola da quando tu non ci sei stato più, e non me la sono mai sentita di chiamarlo come facevo con te, forse perché non mi avrebbe risposto e rassicurato al tuo stesso modo, o solo perché temevo l’aspettativa del paragone.
Credo di non essere mai stata brava a dimostrarti l’immenso che eri per me, ma penso di essermi goduta fino in fondo ogni attimo che mi hai regalato, ogni risata, ogni bacio sulla fronte, ogni lacrima e tutte le volte che sei stato l’unica vera luce nell’oscurità delle mie paure.
Dopo di te sono diventata io la paladina di me stessa, e non ho permesso più a nessuno di farmi da guerriero, di difendermi, di proteggermi, perché io non avevo bisogno di spade, ma di complicità, di essere capita senza bisogno di tante parole, di sentirmi appartenuta, dipendente, avevo bisogno di sentire che nessuno, a parte te, doveva volermi.
Ho iniziato ad odiare i ragazzi ricci, scuri, un po’ mediterranei perché, nonostante i tratti distintivi, in realtà non ti somigliavano affatto.
Ad oggi, amore mio, sono fermamente convinta che se tu avessi provato a riconquistarmi, senza sforzo ci saresti riuscito e senza esitazione io sarei tornata ad essere tua.
Ho finto di non ricordare, di non pensarci più, di andare avanti, ma non si dimenticano certi occhi,
certe attenzioni, non si dimentica come ti travolge una passione del genere, non si dimenticano le palpitazioni del vero amore.
Così, fingeremo di andare avanti, di conservare il ricordo di quello che è stato, come un prezioso diamante chiuso in un cassetto, mentendo a noi stessi e al resto del mondo alla domanda “ci pensi ancora?”; divorati dal rimpianto che forse avremmo dovuto perdonare, ricominciare; strozzando i nostri sentimenti ancora vivi e desiderosi; ricordando ad ogni occasione e ad ogni coincidenza che siamo stati qualcosa di inspiegabile e che rimarremo l’uno per l’altro il sogno irrealizzato di una vita perfetta.
Passeranno gli anni, passeranno le stagioni, ma la luce incantevole della nostra storia d’amore resterà splendente a ricordare che la felicità esiste e forse non avremmo dovuto farcela sfuggire.



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Racconto scritto il 01/08/2018 - 11:10
Da Martina Ciano
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