Il buio della notte mi fa spesso compagnia. Ed io, amante della solitudine, avvolto nel solito lungo cappotto di lino e al riparo della tesa del mio cappello da cowboy, percorro imperterrito, guidato dalle insegne luminose dei locali, la strada che costeggia la riviera della mia città. Saranno mesi ormai che tutte le sere, dopo cena, esco fuori a passeggiare. Sempre gli stessi posti, sempre gli stessi passi contati e ricontati fino all'infinito. Sigaretta in bocca come da routine, arrivato in prossimità dei giardini di Villa Guizzanti, solitamente spogli ma stasera stranamente brulicanti di bambini che rincorrono un pallone, mi soffermo un secondo a ricordare quando da piccolo mia madre mi accompagnava qui per giocare con i miei amichetti. Mi sembra ancora di rivederla, seduta laggiù in fondo in quella panchina, sempre pronta a rimproverarmi se commettevo qualcosa di sbagliato. Bei momenti quelli. Gettato via il mozzicone fumante rimastomi incastrato fra le dita, riprendo a camminare. Il mio viaggio non finisce qui, devo arrivare fino alla fine della strada, all'angolo di Via Ricciardi, perche' al Bleubar, il pub ormai diventato la mia seconda casa, stasera ci sarà la gara mensile di comici. Chissà se troverò posto per sedermi visto che sono in ritardo, di solito per queste occasioni il locale si affolla come un formicaio. Le luci delle insegne oggi sembrano più luminose, ma forse saranno i miei occhi. Eccomi arrivato. Come prevedevo è strapieno, ma lo sgabello al banco del bar dove mi siedo tutte le sere come sempre è libero, quasi come aspettandomi innamorato. Sedutomi, con il solito gesto della mano rivolto verso il barman ordino la solita birra ed inizio a guardarmi intorno. Coppiette, gruppi di amici, ed intere famiglie intente ad ascoltare le parole che escono dalla bocca del comico. Sul palco si sta esibendo Jonnhy Stecchino, o Jonnhy il Secco forse. Ah, non riesco neanche a ricordarmi come si chiama. La sua loquacità sputa fuori frasi in quantità industriale, e tutti intorno a me alla fine della battuta ridono a crepapelle, ma a me quello che dice insolitamente non fa divertire. Cosa mi sta succedendo. La serata non ha lo stesso sapore delle altre, addirittura la birra mi sembra che non abbia lo stesso sapore di sempre. Forse sarà tutta colpa di questa maledettissima parola che mi rimbalza in testa in continuazione da ieri. Felicità. Non riesco a fare altro che pensare ininterrottamente a questa parola, felicità. Chissà perchè. Sarà meglio che me ne vada, tanto qui sono inutile. Lasciati sul bancone i soldi per pagare la consumazione con qualche spicciolo in più come mancia, speranzoso che possa servire in un giorno futuro anche solo per uno sguardo rivoltomi dalla cameriera più carina che abbia mai incontrato, riparto verso casa. Una boccata d'aria sicuramente sarà utile per rasserenarmi. Camminando a testa bassa lungo la strada ormai deserta, un rumore attira la mia attenzione. Alzo lo sguardo e vedo l'insegna della ferramenta del signor Balbi che funziona ad intermittenza. Non sarà mica un segno. Mi volto, e di fronte a me ci sono di nuovo i giardini di Villa Guizzanti. Oramai vuoti, i bambini di prima se ne sono andati, domattina presto avranno scuola. E giù in fondo ancora la panchina dove si sedeva mia madre. Come un rabdomante in cerca di risposte, quasi inconsciamente mi inoltro nella penombra e mi siedo. Solo, abbracciato da uno strano silenzio. E ancora felicità. Come un enigma, di nuovo la parola felicità. Irraggiungibile. Ecco, questo è l'aggettivo giusto che tutti solitamente accostano alla parola felicità. E poi ci sono i soliti modi di dire. I soldi non fanno la felicità, per quanto potrai sforzarti di rincorrerla non riuscirai mai ad agguantarla, e blablabla, blablabla e blablabla. Poi un fruscio. E da dietro un cespuglio spunta fuori un cane randagio. Mi guarda con due occhioni enormi, e si siede davanti a me fissandomi. Sicuramente avrà fame, quindi con un gesto della mano mi muovo come per fargli capire che non ho niente da dargli. Ma lui niente, immobile continua a fissarmi. Allora inizio a pensare. Forse non è lui che deve chiedere qualcosa a me, ma in realtà sono io che devo chiedere qualcosa a lui. In quel preciso momento si alza, mi si avvicina ed affettuosamente mi lecca una mano. Io, con un gesto altrettanto affettuoso, senza neanche pensare lo accarezzo. E così, improvvisamente capisco. Che la felicità si trova sempre accanto a noi, anche nei piccoli gesti quotidiani, basta solo saperla vedere.
Racconto scritto il 26/08/2018 - 19:02
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Commenti
Già la felicità è dietro l'angolo e aspetta solo noi individuarla!
Ilaria Romiti 26/08/2018 - 21:24
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