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Poeta di strada

Poeta di strada


Apparso dal nulla… nel nulla è sparito.
Ma dico io: ci si può innamorare sino al punto di giocarsi tutto? Marito, posizione sociale e un agiato futuro?
Devo essere impazzita… è quasi mezzanotte, da più tre ore sto vagando, con le valige in macchina, per le strade di Milano; chiedendo ad ogni disperato accampato sui marciapiedi dove posso trovare il Poeta.
Ora basta! Mio marito mi ha già chiamato tre volte, implorandomi di tornare a casa. Dice che proverà a cambiare, a riempirmi di quelle dolci, ingannevoli parole, grazie alle quali mi conquistò… Già… ma come farà a immedesimarsi in ciò che non è mai stato? Da ottimo dottore commercialista, al massimo potrebbe declamare il modo per farmi pagare meno tasse; ma sicuramente non sarebbe in grado, come non lo è mai stato, di coccolarmi con la delicata dolcezza di un vero poeta.
Ma si, dai, fattene una ragione, Sofia: doveva andare così! Questa volta, forse, il destino ha fatto la cosa giusta; non poteva esserci futuro degno, nonostante l’amore, tra noi due. Non mi resta che tornarmene a casa. In fondo un marito pragmatico, grazie alla sua posizione sociale può donarmi una vita tranquilla… forse anche serena, pur non amandolo.


In due anni, credo d’averlo amato solo leggendo o ascoltando le sue dolci frasi, che alla prova dei fatti si dimostrarono solo un clamoroso plagio… bastardo!
Avrei dovuto scegliere il lavoro che mi veniva offerto dall’avvocato Sicuri, invece che quello da segretaria del notaio Proclami. Facile dirlo adesso. Ma allora, essendomi appena laureata a costo di non pochi sacrifici economici, quei cento euro in più al mese mi facevano comodo.
E poi, come potevo sapere che lì, in ufficio, avrei incontrato Luca. Allora non ero al corrente che fosse il commercialista del notaio, oltre che suo socio in altre attività immobiliari.
Eppure quando il notaio me lo presentò, mi fece una buona impressione. La presenza fisica m’intrigò fin da subito, non lo nego. Ma poi, conoscendolo meglio, il suo animo poeticamente arido, relegò in secondo piano tutto il resto.
La prima volta che m’invitò a cena accettai con entusiasmo: e già da quella sera mi venne il dubbio che non sapesse dove stesse di casa il romanticismo.
Mentre io cercavo di portare il dialogo sulle mie passioni letterarie, lui mi parlava di regole fiscali che cambiando ogni giorno lo facevano impazzire.
Al termine della quarta cena, con lezione fiscale incorporata, tirò fuori il massimo del suo romanticismo. «Che ne dici di metterci insieme?»
Già, proprio così me lo chiese, senza nessuna emozione apparente; non un increspatura, un’inflessione nella voce che potesse rimandare, anche lontanamente, all’esprimere amore.
Con molto tatto cercai di spiegargli che non eravamo fatti l’una per l’altro; interessi intellettualmente diversi e incompatibili ci dividevano, non avrebbe funzionato!
Luca non fece una piega, accompagnandomi a casa rimase in silenzio. Sbirciando di lato lo vedevo incupito con lo sguardo fisso sul nastro d’asfalto. “L’ha presa male, sono stata troppo diretta”, pensavo dispiaciuta.
No, non se l’era presa; il bastardo stava solo rimuginando il modo di farmi cadere nella sua rete.
«Buona notte Sofia», disse salutandomi. Poi, mentre aprivo la portiera dopo aver ricambiato il saluto, aggiunse: «Da domani conoscerai l’altro Luca, ti stupirò liberando il mio animo poetico».
«E dove lo tenevi nascosto? Nelle segrete stanze del tuo cuore, o in mezzo alle denunce dei redditi dei tuoi clienti?» gli chiesi ironicamente.
Luca sorrise e, mentre scendevo dalla macchina, rispose, con uno slancio poetico che non gli facevo: «Lo conservavo come il bene più prezioso, da donare all’unica donna degna del mio amore».
Devo ammetterlo, un briciolo di pelle d’oca mi colse in quell’attimo. “Non un granché originale, ma non male come inizio”, pensai. Poi, ripensandoci mentre guardavo le luci della macchina allontanarsi, ridendo mi chiesi: «Ma dove l’avrà letto, in qualche pagina di Liala?»

Il giorno seguente iniziò a bombardarmi di sms; brevi e originali pensieri, piccoli gioielli poetici che colpirono nel segno. Molto sensuale. Ma perché celare il tuo animo poetico?” pensavo e mi chiedevo leggendo i messaggi sul cellulare.
Dopo una settimana iniziarono ad arrivarmi lunghe lettere vergate di suo pugno, in cui narrava del suo amore per me, di come avesse immaginato il nostro felice futuro e altro ancora.
«Quello che scrivi e bellissimo, ma il tempo dell’attesa è per me un tormento. E allora mi chiedo, e ti chiedo: perché le lettere, quando con i messaggi il tuo pensiero m’accarezza quasi in tempo reale?» gli domandai incontrandolo nello studio del notaio, visibilmente attratta dall’animo poetico dell’insospettabile commercialista.
Un sorriso imbarazzato e un laconico: «Ti risponderò con la prossima lettera», fu tutto quel che seppe dire, prima di scusarsi e salutarmi dicendo che era atteso urgentemente da un cliente.
Come promesso la risposta arrivò per lettera. Una narrazione da pelle d’oca spessa un metro, con la quale, dopo aver confessato la sua incapacità ad esprimere a voce i propri sentimenti, scriveva che nel tremolio del suo segno calligrafico ci avrei potuto leggere il battito accelerato del suo cuore, ogniqualvolta scriveva o anche solo pensava a me. E dopo altre frasi pregne di sentimento, concludeva scrivendo: “Considera ogni mio scritto un atto chirografo che certifica il mio amore, sommessamente urlato davanti al mondo”. E mentre la rileggevo mi scioglievo conquistata dalla sua timidezza, oltreché dal modo squisito d’esporre il suo pensiero, narrando di un amore impermeabile allo scorrere e alle avversità del tempo… Così lo leggevo un anno fa, quando entusiasta accettai la sua proposta di matrimonio.
Pe capire se il matrimonio si possa definire la tomba dell’amore, dovrei chiederlo a chi si ama veramente… Sicuramente, il nostro, fu fin da subito la tomba delle lettere e dei messaggi d’amore. Lettere e messaggi che perirono all’istante, il giorno del fatidico “sì”.
Quelle lettere, dopo tre mesi gliele sbattei sotto il naso, imputandogli di non rispettare i patti scritti e descritti in quei contratti chirografi. «Ho sposato il poeta, il narratore che sapeva farmi impazzire scrivendo queste lettere! Non il commercialista che si porta il lavoro dell’ufficio sin dentro il letto!» urlavo strappando le lettere.
Luca non si scompose, mentre le lettere come coriandoli gli cadevano addosso, replicò pacatamente: «Il commercialista è quello che, a differenza del poeta squattrinato che offre la sua arte per strada, ti permette di fare la bella vita». Poi afferrò la borsa dal tavolo e se ne andò in ufficio.
«Il poeta squattrinato che offre la sua arte per strada», ripetei quando fu uscito. E dopo averci riflettuto un attimo, mi chiesi: «Cosa avrà voluto dire?» Poi scrollando le spalle passai ad altro argomento: a come coccolarmi spendendo un po’ di denaro del mio ricco marito.
Un mese fa, quando ormai non ci pensavo più, trovai per caso la risposta che avrebbe svelato il subdolo inganno messo in piedi da Luca per farmi innamorare.


La vita nella cittadina di provincia mal si addiceva alla moglie del ricco commercialista, così un sabato d’inizio estate decisi di trascorrere una mezza giornata a Milano, distante un’ora di macchina, facendo un po’ di shopping nel quadrilatero della moda.


Avevo chiamato una mia storica amica che non incontravo, fisicamente, da più di sei mesi, da quando si era trasferita a Milano. Luisa, così si chiama, accettò con entusiasmo di farmi compagnia durante la mia trasferta meneghina.
Sedute ai tavoli esterni di un bar, con splendida vista sui magnifici finestroni istoriati e le guglie del duomo, ci raccontavamo le nostre esperienze di vita. «Eccolo lì il poeta!» fece lei, cambiando repentinamente argomento, indicando con un cenno del capo un uomo trasandato che deambulava sfiorando i tavoli.
«Chi, quel barbone?» le chiesi sprezzante, osservando il soggetto.
Mentre lo guardavo avanzare nel suo triste disordine, risalendo disgustata la figura paludata di stracci pesanti e lerci, venni attratta dal suo sguardo magnetico: due occhi neri e profondi parevano cercare qualcuno o qualcosa in mezzo ai tavoli. “Come può un uomo ridursi in quello stato”, pensavo cercando d’intuirne la reale età, celata dietro la folta barba nera.
Quando passò accanto a noi, un brivido mi percorse, sentendomi letteralmente denudata da due occhi che lanciavano lampi di passione.
Arrestò il suo sguardo dentro di me per un lungo attimo. Così lungo che Luisa, quando lui si allontanò dopo avermi regalato un sorriso complice, si sentì in dovere di chiedermi se lo conoscessi.
«Mai visto prima d’ora!» risposi seguendolo con lo sguardo. Fu in quel momento che notai il quaderno, dalla copertina nera goffrata, sporgere piegato dalla tasca posteriore dei jeans sdruciti. “Uguale a quella dei quaderni che usavo alle elementari”, mi sovvenne. Prima di chiedere a Luisa: «Che se ne fa di un quaderno?»
«Lo usa per scrivere lettere e poesie d’amore, per conto terzi», rispose lei. Poi, sospirando, aggiunse ironicamente: «Chissà quanti amorazzi son sbocciati, grazie a quel quaderno».
E davanti al mio sguardo interrogativo, mi spiegò che: il poeta di strada era ormai un’istituzione tra i frequentatori abituali della piazza, che bazzicava ormai da quasi due anni accettando da un bicchiere di grappa sino a qualche euro per le sue prestazioni poetiche. Poi, aggiungendo che era reperibile giorno e notte essendo un senza dimora che dormiva sotto i portici, passò a spiegarmi il suo modus operandi.
Così venni a scoprire che il poeta di strada, per ispirarsi richiedeva una fotografia del soggetto a cui erano destinate le sue liriche; che scriveva poesie, lettere d’amore, oppure brevi messaggi da inviare tramite sms, indipendentemente dal sesso del destinatario delle dolci missive; e, infine, che dopo aver steso in brutta copia il testo sul suo quaderno, strappava il foglio e lo consegnava al cliente, al quale raccomandava vivamente di copiarlo pari pari, senza aggiungere o togliere nemmeno una virgola, e poi d’inviare la missiva all’amata o all’amato.
Al ché, mi venne spontaneo chiederle se avesse mai approfittato del servizio offerto dal poeta di strada.
Luisa abbassò lo sguardo. «Sì… ci provai un anno fa… Ma nonostante le bellissime frasi del poeta, il nostro rapporto non andò a buon fine», rispose timidamente in tono deluso. Poi, sospirando, aggiunse: «Avrei dovuto usare parole dettate dal mio cuore, non la narrazione di un esperto che non provava nulla per Riccardo… Il sentimento, negli affari di cuore, non lo puoi delegare alle frasi dettate da un estraneo».
Povera Luisa, pensavo tornandomene tristemente verso casa. Fu in quel momento che iniziai a rimestare nel mio recente passato; così, collegando le lettere che scrisse per conquistarmi al fatto che Luca si recava spesso a Milano per lavoro, ebbi la quasi matematica certezza che si fosse servito della… chiamiamola pure: consulenza del poeta di strada.
«Devo assolutamente rivederlo… parlargli… capire…» dicevo attendendo che il cancello automatico si aprisse.


Passai l’intera Domenica a rileggere le lettere d’amore, rimesse insieme con lo scotch dopo che le avevo strappate gettandole in faccia alla mia “per niente dolce metà”, giudicandole il cavallo di Troia usato da Luca per conquistarmi, e a riflettere sul da farsi.
E rileggendole vedevo lo sguardo passionale del poeta emergere tra le righe dello scritto. Un mix micidiale che mi chiarì le idee. «Domani andrò da lui!» annunciai in un moto d’orgoglio a me stessa, osservando il mio sguardo riflesso dallo specchio del bagno, prima di coricarmi.


Seduta allo stesso tavolo dove lo vidi per la prima volta, spaziavo nervosamente con lo sguardo all’intorno. “Ormai è da più di un’ora che sono qui a fremere come una ragazzina al primo appuntamento, temo che oggi non si farà vedere”, pensai guardando l’orologio. Poi: «Eccolo», sussurrai illuminandomi, alzando lo sguardo.
Avanzava, com’era solito fare, lentamente, gettando lo sguardo sui tavoli. Io lo guardavo, persa nel profondo nero dei suoi occhi. Quando si accorse che il mio sguardo non defletteva dal suo, sussultò esitando un attimo, prima di spostarsi al centro della via e, puntando lo sguardo lontano, passare oltre.
«E’ no! Non ho atteso tutto questo tempo invano, non te la puoi cavare facendo l’altezzoso!» sbottai balzando dalla sedia.
Allungando il passo lo raggiunsi poco più avanti, lo affiancai e camminandogli accanto attesi la sua reazione.
«Ti serve qualcosa?» mi chiese stizzito, arrestandosi all’improvviso.
«Sì, il tuo aiuto!» risposi prontamente.
«Il mio aiuto», disse sorridendo amaramente. Poi, allargando le braccia, proseguì: «Ma mi hai visto? Non sono in grado d’aiutare me stesso… e vorresti che aiutasti te… Lascia perdere, va’». E riprese a deambulare guardando avanti.
«Una mia amica, mi ha detto che scrivi bellissime lettere d’amore», insistetti affiancandolo nuovamente.
«Luisa si sbaglia», disse, continuando a camminare.
«Non si sbaglia. E pronunciando il suo nome l’ho stai implicitamente confermando», replicai. Aggiungendo: «Quello che non riesco a capire, è perché l’altro giorno non l’hai degnata di uno sguardo».
«Si vede che qualcun’altra l’aveva rapito, il mio sguardo», ribatté con un trasporto che mi fece tremare le ginocchia. Poi, accorgendosi del mio turbamento, si corresse: «La verità è che la gente come te e la tua amica, non gradisce essere riverita da un invisibile… Ed io mi adeguo al vostro desiderio».
Sentendomi ingiustamente colpevolizzata, reagii rassicurandolo: «Beh, non so Luisa, ma a me non disturba affatto dialogare con te».
Lui si guardò attorno. «In questo preciso istante, perlomeno trenta persone ci stanno osservando… inorriditi!» affermò, rafforzando il concetto sgranando gli occhi.
Mimando l’inorridimento generale, mi strappò un moto di riso. «E chi se ne frega!» ribattei subito dopo. Poi, indicando i tavoli all’esterno di un caffè, aggiunsi: «Posso offrirti qualcosa, mentre parliamo d’affari?»
Lo sguardo arcigno dell’uomo assunse un’espressione rilassata. «Mi chiamo Leonardo», disse presentandosi.
«Io no!» esclamai lasciandolo basito, avviandomi verso il primo tavolo libero.
Chiamai il cameriere, ordinai un caffè per me e una grappa per lui. Leonardo posò quaderno e penna sul tavolo, attese che il cameriere si allontanasse, poi mi chiese, sorridendo: «Allora, signora Io no, in cosa posso esserti utile?»
«Intanto, chiamandomi con il mio vero nome», risposi.
«E quale sarebbe il tuo vero nome?» mi chiese ancora.
Il giochetto rischiava di diventare stancante. «Mettiamo le carte in tavola: lo conosci benissimo il mio nome… hai voluto una mia foto prima di scrivere d’amore per conto del mio futuro marito», sbottai innervosendomi.
«Se poi l’hai sposato, devo aver fatto davvero un buon lavoro… Sofia», confermò lui senza scomporsi.
«Ma quale buon lavoro!» replicai stizzita alzando la voce. Poi accorgendomi di essere osservata abbassai il tono: «Mi hai fatto una carognata… Mi sono innamorata dell’uomo che sapeva narrare l’amore come nessuno… e sono finita dentro il letto di un arido professionista… Hai rovinato la mia vita, riesci a comprenderlo?»
Leonardo accarezzando la lunga barba s’immerse in una profonda riflessione, prima d’esprimersi: «Non so che dire, mi spiace… se potessi porvi rimedio lo farei… Con Luisa non funzionò e me lo disse, con altri non so, non li ho più visti… Quando mi hai detto che lo avevi sposato, non sapevo se essere felice per la conferma di un successo… o deluso», disse iniziando ad aprirsi.
«Con Luisa non funzionò perché lei lo amava veramente, Riccardo. Avrebbe dovuto conquistarlo con le sue di parole, e non con le poesie d’amore scritte da chi non lo poteva amare», iniziai dicendo, analizzando i nostri due casi, mentre Leonardo ascoltava con interesse. «Con me funzionò perché le poesie le scrivesti, non per Luca, ma per te. Luca mi ama, di questo ne son certa. Ma io amavo la narrazione del poeta, e quando l’altro giorno ho incrociato il tuo sguardo… ho capito d’amare anche l’uomo, oltre al poeta», conclusi svuotata di ogni energia psichica.
«Devi essere impazzita! Ma quale poeta; sono solo un povero disgraziato che si atteggia, per cuccare qualche euro a dei grulli che non sanno a che santo votarsi per conquistare il cuore dell’amata, o dell’amato», replicò lui, autoflagellandosi per amor mio.
Andammo avanti per una buona mezz’ora; io decisa a strappargli l’impegno ad incontrarci nuovamente in un posto più riservato; e lui decisissimo a rifiutare le mie avance, adducendo la scusa che non ci sarebbe stato futuro per noi.
Ma il desiderio, condiviso, di fare l’amore almeno una volta, fece il miracolo, e alla fine fissammo l’appuntamento per il giovedì; quando lui mi avrebbe atteso al capolinea della metropolitana, poi con la mia macchina ci saremo recati in un motel poco distante.


E furono momenti d’intenso amore, che nonostante i nostri buoni propositi replicammo molte altre volte. Ogni giovedì mi recavo al capolinea dove il mio poeta mi attendeva, poi si andava in posti panoramici e solitari sopra il lago, e lì si faceva all’amore distesi nell’erba, oppure, quando non trovavamo un posto abbastanza tranquillo, riparavamo in qualche alberghetto.
E mentre si rientrava felici, Leonardo prendeva il suo quaderno e narrava del nostro amore, poi strappava il foglio e porgendomelo mi salutava, dicendo: «Conservalo, e quando vorrai rammentare questi giorni pregni d’amore e di follia… leggendolo sarà come riavvolgere il nostro perduto tempo». Ogni volta che ci lasciavamo la stessa identica frase, e ogni volta, baciandolo, replicavo laconica: «A giovedì».


Non volevo, non accettavo l’idea che il nostro rapporto potesse finire, amavo troppo il mio dolce poeta. Fu così che un giorno presi il coraggio a due mani e gli dissi che volevo restare per sempre accanto a lui: ottenendo la reazione opposta a quella sperata.
«Non può esserci futuro per noi! Questa storia è durata fin troppo, meglio finirla qua!» mi disse, usando un tono insolitamente duro.
Ma io, ben sapendo che mi amava e lo stava facendo per impedirmi di compiere una pazzia, insistetti nel mio proposito di lasciare mio marito. Al ché, Leonardo sbottò: «Ferma la macchina! Voglio scendere!»
Provai a farlo recedere, spiegandogli che eravamo ancora lontani dalla città; ma quando schiuse la portiera, urlando che sarebbe comunque sceso dalla macchina in corsa, accostai di lato.
«Addio Sofia, non cercarmi mai più!» esclamò lapidario sbattendo la portiera.
Lo vidi allontanarsi sul ciglio della strada, e il cuore parve spezzarsi.


Provai a dimenticarlo, ma ogni volta che leggevo la cronaca poetica dei nostri incontri, vergata di suo pugno sui fogli strappati dal quaderno, il desiderio di rivederlo prendeva il sopravvento.
Così oggi, mentre mio marito era in ufficio, scrissi una lunga lettera nella quale gli spiegavo che amavo un altro uomo, poi caricai le valige in macchina e mi recai dal mio poeta di strada.
Dopo averlo atteso invano fino a sera, dove sapevo bazzicava da sempre, presi la macchina e provai a cercarlo tra gli invisibili: niente, di lui si erano perse le tracce!


“Forse Leonardo, consapevole che prima o poi sarei tornata alla carica, se n’è andato a poetare in qualche altra città”, mi ritrovo a pensare, sulla via di un mesto ritorno.


Eccolo lì, mio marito, sulla porta di casa che mi attende, pronto a perdonarmi e a donarmi l’amore di un arido commercialista, provando a inventarsi l’animo poetico che non ha mai posseduto.
Ma come farà, ora che Cyrano se n’è andato?


FINE




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Racconto scritto il 02/09/2018 - 18:48
Da vecchio scarpone
Letta n.917 volte.
Voto:
su 0 votanti


Commenti


ti ringrazio.
Ciao Antonio.
Giancarlo

vecchio scarpone 04/09/2018 - 14:52

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Molto bello questo racconto.

Antonio Girardi 04/09/2018 - 11:33

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non sapevo del riconoscimento, ti ringrazio d'avermelo segnalato, devo dire che mi fa molto piacere che la scelta sia caduta su: Prima che sorga l'alba, uno degli ultimi racconti che ho scritto e che meglio mi rappresenta. (ne avrei altri di nuovi, ma purtroppo sforano il numero di caratteri e il sistema non mi permette di pubblicarli) detto ciò, questo racconto è, al pari di: Aattimo condiviso, che mi pare di aver pubblicato tempo fa su oggiscrivo, la mia miglior immersione nel genere sentimentale.Purtroppo, spesso e volentieri, alla fine dei miei racconti non trionfa l'amore, ma la realtà pratica che spinge l'essere umano verso le scelte più convenienti per la pancia a discapito di quelle del cuore. Ti ringrazio.
Ciao Paola,serene pedalate autunnali.
Giancarlo

vecchio scarpone 04/09/2018 - 10:19

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Me lo ricordo questo racconto...
La fantasia non ti manca di certo, ma nel racconto c'è una profonda verità: un conto è dividere la vita con qualcuno, illudendosi che sia amore perché magari conviene, un conto è L'AMORE, che vive di vita propria e non ha regole....
Bello Giancarlo e complimenti per il meritato riconoscimento mensile

PAOLA SALZANO 04/09/2018 - 08:50

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beh, il poeta era sparito, e poi il commercialista, perdonando il tradimento e promettendo di cambiare ha dimostrato di amarla... anche se, ora voglio proprio vedere come riuscirà a mutare da arido a poetico, senza Cyrano che gli fa da suggeritore. Ti ringrazio.
Ciao Grazia.
Giancarlo

vecchio scarpone 03/09/2018 - 22:52

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...è un bel racconto, una bella storia...però anche lei che torna dal marito?!!!!
sempre bello leggerti Giancarlo!
Buonanotte

Grazia Giuliani 03/09/2018 - 22:27

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questo racconto è il mio omaggio alla poesia e a coloro che la praticano con amore e passione. Se ci fossero più poeti... e magari meno commercialisti (intesi come l'alta finanza che decide i destini delle nazioni, e dei risparmi sudati messi da parte con fatica dai lavoratori), il mondo sarebbe migliore. Più Laiza Azzurra e meno Bernard Madoff per tutti! Mi viene da declamare. Ti ringrazio.
Ciao, poetessa Laiza.
Giancarlo

vecchio scarpone 03/09/2018 - 21:50

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Non ho parole Giancarlo, nn ho parole davvero.
sei fantastico

laisa azzurra 03/09/2018 - 21:15

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