Indaffarato come non mai, dalla scrivania del suo ufficio impartiva ordini a destra e a manca.
Chiamava poi richiamava assistenti a collaboratori stressandoli sino al limite di rottura.
Gli rimanevano poco più di due ore per sistemare i suoi affari, dopodiché avrebbe affidato le chiavi dell’ufficio all’amico e socio, Alfio, e avrebbe preso il volo per un mese; forse due, o anche più; non si era posto nessun limite temporale, sarebbe tornato solo quando, e se, avesse sistemato il suo disagio interiore.
Aveva deciso di dare una svolta alla sua vita, e avrebbe cercato il nuovo sé stesso fino alla fine della terra. Avrebbe rimesso piede nel suo ufficio, ci fosse voluto anche più di un anno, solo quando avesse trovato il modo di rendere meno vampiresca, più umana, la gestione del lavoro e, di riflesso, il rapporto con i clienti.
Doveva assolutamente trovare il modo di affrancarsi dalla dipendenza che lo legava a doppio filo al dio denaro. Compito, se non improbo, abbastanza difficile da realizzare per chi di mestiere faceva il promotore finanziario, gestendo patrimoni di una clientela che da lui tutto si sarebbe atteso, meno che veder calare i ricchi dividendi di fine anno.
Quello che voleva scoprire in quel suo lungo pellegrinaggio, era il senso della vita… e dell’amore,
da lui mai veramente frequentato.
«Posso entrare?» chiese Alfio palesandosi davanti alla porta aperta dell’ufficio.
«Entra, ho appena finito di trasferire il portafoglio clienti sul tuo terminale.»
Alfio si accomodò sulla poltroncina davanti a lui. «Hanno accettato tutti?»
«Tutti, meno tre!»
«Pensavo peggio… Come sei riuscito a convincerli ad affidare i loro interessi al mio ufficio?»
«Ho spiegato loro che abbiamo creato e fatto crescere questa società insieme, che mettere i loro risparmi nelle tue mani equivaleva a lasciarle nelle mie… Mi sono speso per te, spero che non mi deluderai.»
Il sorriso di Alfio tradì un leggero risentimento. «Edoardo, guardami negli occhi! L’ho mai fatto in tutti questi anni?»
«No… è stato sciocco solo pensarlo, scusami.»
«Di nulla. Ma dimmi, hai spiegato loro che la data del tuo rientro è ancora da stabilire?»
«Certo che sì! La regola che mi sono dato rapportandomi con loro è: dire sempre la verità. Ho spiegato che una grave malattia mi avrebbe tenuto lontano dal lavoro per un tempo indefinito; nella migliore delle ipotesi, non inferiore a un mese.»
Alfio rise. «E ci hanno creduto?» domandò scuotendo il capo.
Lo sguardo di Edoardo s’imbrunì. «Non ci trovo niente da ridere! Tu consideri malattie solo quelle che aggrediscono il corpo… Ma ce ne sono di ben peggiori, quelle che colpiscono la mente… e, di riflesso, l’animo.»
«Sono passati due anni, ma il ricordo continua a macerarti il cervello.»
«Come e forse più di prima, Alfio… Sono distrutto dentro, come e forse più di prima. Se avessi visto lo sguardo di quel pover’uomo ridotto sul lastrico dai miei investimenti spregiudicati, lo saresti anche tu», confermò Edoardo con voce arrochita.
«E’ stata paura, solo paura, tu non sei responsabile. Gli hai ben spiegato a cosa andava incontro, e lui, ingordo per i lauti guadagni che si prospettavano, ha accettato.»
«Non è così che dovevano andare le cose. Tu pensi che mi sia spaventato a morte quando mi ha puntato la pistola in faccia… No, ti sbagli. Ammetto che sul momento rimasi agghiacciato… Ma quell’uomo aveva gli occhi troppo buoni, non avrebbe mai sparato contro qualcun altro; per questo ha finito per girare l’arma verso di sé e spararsi in bocca! E’ questo il mio cruccio: non aver saputo leggere prima, nel profondo del suo sguardo, la debolezza di fondo che al primo intoppo l’avrebbe spinto al suicidio», replicò esplicitando, nel tono e nello sguardo, il rimorso per il tragico fatto accaduto nel suo ufficio due anni prima.
«Se in due anni, nonostante l’aiuto di una psicologa di grido, non sei riuscito a fare nessun passo avanti, dubito che ci riuscirai pellegrinando da una regione all’altra della Spagna… A proposito, come ha preso la notizia, la psicologa?»
Edoardo sorrise amaro. «Direi abbastanza bene. Credo che abbia capito anche lei che questa è la mia ultima occasione per uscire dal tunnel.»
Alfio evidenziò tutto il suo disappunto alzandosi di scatto dalla poltroncina. «Ma io dico: si può dopo aver visto un documentario in televisione, decidere di fare una simile follia? Come si può credere di risolvere problemi psicologicamente insormontabili, camminando fino all’oceano atlantico? E poi, il tuo stato psicofisico ti permetterà di reggere lo stress di un viaggio così lungo e faticoso?»
«Se ho deciso di farlo, significa che si può. Tralasciando la condizione psicologica, che ben conosci, per quanto riguarda la condizione fisica, non ti devi preoccupare: prima d’imbarcarmi nell’impresa mi sono sottoposto a test d’idoneità sportiva, poi mi sono ben allenato camminando di buon passo ogni fine settimana per ore. Conosci la mia pignoleria, non lascio mai nulla al caso… ce la farò! Entro un mese o poco più bagnerò i piedi nell’oceano.»
«Sì, va bene, ti bagnerai nell’oceano. E dopo? Sei sicuro di annegare anche i fantasmi che albergano la tua mente e tornare un uomo nuovo?»
Edoardo scosse il capo. «Questo ora non te lo so dire… Ne riparleremo al mio ritorno. Ora fammi gli auguri», rispose alzandosi dalla poltrona, ponendosi di fronte all’amico.
«Auguri, Edoardo, abbi cura di te», disse Alfio abbracciandolo.
«E tu dei miei clienti», ribatté con una battuta, strappando un sorriso all’amico preoccupato.
Quattro giorni dopo, di buon mattino, il quarantenne Edoardo: zaino in spalla, scarpe da trekking ai piedi e cartina topografica in mano, muoveva i primi passi della lunghissima camminata che lo attendeva, partendo da Saint-Jean-Pied-de-Porte.
Aveva rifiutato l’aiuto dell’amico Alfio che, ben volentieri, si era proposto di cercare per lui dei confortevoli hotel dove riposare al termine di ogni tappa. «Ti ringrazio, ma non serve, dormirò negli ostelli dei pellegrini. Voglio incontrare ragazzi di ogni nazionalità, parlare con loro, capire le loro motivazioni», gli aveva risposto lasciandolo basito.
«Non durerai una settimana là fuori… Sono pronto a scommettere che mi chiamerai dopo tre giorni dicendomi di prenotarti dei confortevoli hotel», aveva ribattuto, convinto di ciò che andava affermando, Alfio.
Edoardo aveva messo su uno sguardo ferocemente determinato. «Non lo fare, perderesti!» lo aveva avvertito con ancor più convinzione.
«Ok, forse non mi chiamerai per trovarti dove dormire; comunque, per qualsiasi altra cosa considerami a tua completa disposizione», aveva insistito Alfio, cercando la maniera per essere utile all’amico.
«Facciamo così: se incontrerò francesi, spagnoli, inglesi o tedeschi, tu sai che non avrò nessun problema a interloquire con loro. Ma se dovessi incontrare un cinese, della cui lingua sono del tutto digiuno; prenderò il cellulare, che mi ero ripromesso di usare solo nei casi di estrema necessità; ti chiamerò e, approfittando della tua disponibilità, ti userò come traduttore simultaneo», aveva concluso ironicamente Edoardo.
Dopo trentacinque giorni, trascorsi camminando dall’alba al tramonto su strade per lo più sterrate, passando dal freddo dei monti al caldo asfissiante delle pianure, e dopo aver attraversato la Navarra, La Roya, Castiglia e Leon, aveva raggiunto stremato la Galizia; ultima regione da percorrere per raggiungere Capo de Finesterre e bagnare i piedi nell’oceano.
Pochi giorni ancora e il suo pellegrinaggio sarebbe terminato. Con la delusione ben radicata nello sguardo per non essere riuscito a risolvere nemmeno in minima parte i suoi problemi esistenziali, camminava ripercorrendo mentalmente il tragitto lasciato alle spalle e gli incontri avuti con altri pellegrini lungo il percorso.
Due incontri l’avevano particolarmente colpito. Il primo con una ragazza in un ostello vicino a Pamplona; la poveretta piangeva come una disperata ma non, come sarebbe stato logico supporre, per il lancinante dolore procuratole dalle profonde e sanguinolente piaghe che si era procurata camminando a piedi scalzi, ma bensì perché impossibilitata a proseguire l’ancor lungo pellegrinaggio.
Non riusciva a comprendere quale assurda motivazione l’avesse spinta ad autoflagellarsi in quel modo; trovava assurdo il voler percorrere l’intero cammino a piedi scalzi per onorare una fede che chiedeva rettitudine nei comportamenti, ma non certo il martirio.
Il secondo, e ben più pregnante incontro, lo aveva avuto dialogando a lungo con Gustav, un ragazzo austriaco.
Percorrendo insieme un tratto di cammino fra Burgos e Leon, Gustav, grazie al modo scanzonato d’affrontare l’epica, smontandola, de “El Camino”, aveva sconvolto la visione quasi mistica che aveva percepito fino allora dello spirito che animava i pellegrini, spingendoli ad affrontare fatica e privazioni pur di raggiungere l’agognata meta.
«Lavoro alla manutenzione delle piste da sci del mio paese sei mesi all’anno, gli altri sei li dedico alla mia passione. Più di tre mesi fa ho lasciato i monti del Tirolo e, rigorosamente a piedi, sono giunto fin qua», aveva spiegato il ragazzo dai cappelli biondi come i campi di grano che facevano da cornice al sentiero, gli occhi azzurri come il cielo che li sovrastava, e la serenità del giusto dipinta sul volto.
«Devi avere delle motivazioni molto forti per affrontare una simile prova… eppure, ascoltandoti sembri l’uomo più felice del mondo… Cosa vai cercando realmente nel tuo pellegrinaggio, forse la fede, o che altro?» gli aveva chiesto incuriosito Edoardo.
«Ma quale fede! Non cerco né lei, né altro. Cammino per il gusto di camminare!» era stata l’improbabile risposta di Gustav, che lo aveva lasciato a bocca aperta.
«Vuoi farmi credere che ti sei sobbarcato tre mesi di cammino, sfidando le intemperie, solo per il gusto di faticare?» gli aveva chiesto uno sconcertato e incredulo Edoardo.
«Sì!» aveva risposto seccamente Gustav, senza esitare. Aveva anche sorriso, poi, leggendo il disappunto nello sguardo di Edoardo, aveva aggiunto: «Non ti sto prendendo in giro. L’anno scorso ho fatto a piedi la traversata delle alpi, dal Tirolo al Piemonte… e ritorno! Questa camminata al confronto è una passeggiata di salute».
«Ma chi te lo fa fare? Non riesco a comprendere le motivazioni che ti spingono a spendere la gioventù in un modo, se non inutile, perlomeno faticoso.»
«Faticoso? Io trovo faticoso stendermi in spiaggia ad arrostire sotto il sole. Trovo inutile sprecare il mio tempo chiuso in una discoteca dove il frastuono e l’alcol la fanno da padrone. Il divertimento, o se preferisci il giusto riposo, è solo questione di punti di vista. Tu dici di essere un consulente finanziario; presumo abituato agli agi…»
Edoardo aveva annuito.
«Molto bene!» aveva esclamato Gustav. «Per la prima volta in vita tua hai deciso di buttare alle ortiche i privilegi della tua condizione sociale, per provare a immergerti in una realtà diversa; a te, per certi versi ignota. Che cosa speri di ricavare da questo lungo cammino?»
Mentre Edoardo era intento a elaborare mentalmente la risposta, Gustav lo aveva bruciato sul tempo: «Te lo dico io cosa troverai alla fine del cammino… nulla!»
Poi, sfidando lo sguardo stranito di Edoardo, aveva affondato il colpo: «Dammi retta: tornate a casa, questo non è il tuo mondo. Alla fine ti ritroverai solo più stanco di quando sei partito. La cultura del camminare non appartiene né a te, né a molti altri con i quali ho condiviso qualche ora, o anche giorno di cammino… Lasciate camminare chi veramente lo sa fare. Tu sai muovere il denaro? Torna a fare quello, magari in modo meno rapace, ma tornatene al tuo lavoro… E’ un consiglio d’amico, non ti offendere».
Edoardo aveva riflettuto a lungo prima di replicare: «Tornerò al mio lavoro quando avrò trovato quello che cerco! Sono venuto fin quaggiù per questo e non mi arrenderò. Dovessi percorrere “El Camino” avanti e indietro mille volte… non mi arrenderò!»
«Testardo sei testardo! Ma non lo so se basterà a raschiare il marcio sedimentato nell’animo. Per quel che può valere, ti auguro di riuscirci», aveva concluso il ragazzo, leggendo una feroce determinazione nello sguardo di Edoardo.
Poco prima di Leon le strade dei due, oramai amici, si erano divise. Gustav aveva inopinatamente deciso di fermarsi per qualche giorno in città; mentre Edoardo aveva proseguito il cammino verso l’oceano.
Si erano salutati commossi, abbracciandosi fraternamente. Ma quando Edoardo gli aveva chiesto il numero di cellulare per restare in contatto, Gustav lo aveva gelato: «Vuoi il mio numero? E per che fare! Lo sappiamo benissimo entrambi che non ci incontreremo più… Domani io camminerò insieme a un nuovo amico al quale dirò le stesse cose che ho detto a te, e tu farai altrettanto. Quando torneremo a casa, il lavoro e tutto il resto faranno sì che di quest’incontro non resti che un labile ricordo, destinato a diluirsi e alla fine dissolversi nel tempo».
Camminando solitario dentro un fresco bosco di castagni, ripensava al modo in cui Gustav aveva liquidato la loro fresca amicizia; derubricandola a conoscenza casuale destinata a cadere nel dimenticatoio. “Che tipo strano, ama camminare, dialogare con chi incontra per strada, ma non crede nell’amicizia, o almeno in quella duratura… Quando capisce che il rapporto rischia di farsi troppo stretto, con una scusa ti pianta in asso e se ne va solitario per conto suo. Chissà, forse il suo modo di porsi nei confronti del prossimo, è l’unico possibile per non crearsi fantasmi difficili da scacciare”, rifletteva percorrendo l’ombreggiato sentiero.
Oramai quasi convinto di aver sprecato il suo tempo, aveva messo in conto di bagnare i piedi nell’oceano senza riuscire a cavare un ragno dal buco; a pochi giorni dalla meta i fantasmi che albergavano la sua mente erano ancora tutti lì, a quel punto più che la fatica della lunga marcia era la delusione a pesare sui muscoli. “Basta! E’ inutile continuare, mi fermerò al primo paese che incontrerò appena fuori da questo bosco e me ne tornerò a casa… Ho sfidato il destino e ho perso. Non mi resta che tornare alla vita di sempre, sperando di saperla ancora governare», pensava camminando lentamente con sguardo abbattuto.
Troppo frettolosamente aveva concluso, tirando le somme del suo inutile cammino, che il destino di ognuno è inciso, in un qualche misterioso modo, nel “DNA” e per questo immodificabile. Ben presto, prim’ancora di lasciare il fresco bosco di castagni, la magia spirituale de “El Camino” avrebbe nuovamente stravolto le barcollanti certezze appena enunciate.
Un nuovo e più pregnante incontro, forse quello decisivo, si approssimava.
FINE
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Non sai quanto piacere mi fa sapere che trovi piacevole leggere i miei racconti. Ma farne una scoprpacciata mi pare troppo, ne potresti trovare alcuni un po' pesanti. Mi par di capire, leggendoti, che ti piacciono le storie romantiche, con o anche senza lieto fine. Mi permetto di segnalartene un paio che, credo,ti piaceranno. Il primo, che è anche il primo post che pubblicai sul sito (nel lontano 2016), diviso in due parti perchè troppo lungo è "La diversa percezione del tempo. l'altro, che fra l'altro è uno dei miei racconti d'amore preferiti, è "Attimo condiviso". Non posso che ringraziarti, per aver trovato un po' di tempo per leggere e commentare questo mio racconto.
Ciao Laisa.
Giancarlo
Ciao Paola.
Giancarlo
nn sai quanto mi spiace nn leggere e nn commentare i tuoi racconti...
tu sei bravo, bravo davvero.
quando avrò un pò di tempo, me ne farò una scorpacciata
Mi meraviglio sempre di come riesci a districarti tra vari generi con grande facilità: qui ti dimostri un esperto conoscitore dell'animo umano, quando ci mostri i tuoi personaggi sotto varie sfaccettature psicologiche, come nel caso di Edoardo.
Una curiosità: il finale è lasciato aperto con intenzione, o c'è un seguito?
Ciao Giancarlo, quando posso ti leggo con piacere