I passi lenti di un cuore in catene...
La sabbia si aggrappava alle mie scarpe, quasi volesse fuggire da quell'immenso tappeto grigio dove ogni granello si mescolava all'altro... I passi lasciati dietro di me segnavano il percorso intrapreso: una lunga passeggiata lambita dal regolare infrangersi delle onde sul bagnasciuga. Il sole, ormai sfinito dalle ore, traspariva dietro nuvole argentee fendendo con i suoi raggi i miei semichiusi occhi che inseguivano un gabbiano nel suo lento e sontuoso volare. La calma musica che cela una conchiglia nel suo guscio è un arcano mistero che da secoli ripercorre le note di un tempo, in cui una mano misteriosa dipingeva l'universo e il SUO pensiero modellava uomini e donne di infinite epoche e stagioni... Solo il mio cuore continuava ad essere inquieto... tremava come quelle bandiere poste sulle aste di lidi vuoti e deserti che attendono il pullularsi dei corpi sull'arsa sabbia di Agosto... mentre l'obiettivo di una videocamera immortalava il giorno e gli eventi ad esso legato... e il mio pensiero correva libero e ardimentoso su binari non evocati, non richiesti, non percorsi... e prendeva vita qualcosa di sconosciuto, di ansiogeno, qualcosa che non mi apparteneva o che ho cercato di estirpare per evitare che sporcasse quel sospirato e religioso silenzio, unica fede che ho mai riconosciuto, e tornasse nella mente quell'idea straziante di solitudine che tende a far si che gli uomini si innamorino, cercando nella persona amata il punto a nessuno rilevato.. che è dato in dono solo a chi scruta... ascolta con amore. Perché è così che ci si innamora: da vicino, ma non troppo; ci si innamora da un angolo acuto un poco in disparte in una stanza, presso una tavolata, seduto su un gradino mentre le ali bianche e grigie di un gabbiano spezzano il rosso di un tramonto di fine inverno.
Racconto scritto il 30/10/2013 - 12:12
Da Salvo Romano
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