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GIULIA (La figlia di nessuno)

Giulia
(La figlia di nessuno)


Viveva in una grande e bella casa di un paesino dell'entroterra della bella Sicilia una donna sensibile e cordiale di nome Matilde, sposa di un gentiluomo, che aveva il vizio di giocare frequentemente a carte. La casa si affacciava sulla piazza larga e lunga, palcoscenico di quei cittadini, attori più o meno protagonisti che abitavano il paese. Il sole era la fiaccola potente del luminoso giorno, mentre di notte cornice e luce della piazza erano gli antichi lampioni. Tutte le feste, le cerimonie tristi, gli incontri ed anche molti scontri avvenivano lì.
La signora Matilde, malata di cuore, usciva raramente e più raramente passeggiava. I suoi occhi cerulei perforavano i vetri dell'imposta di un balcone e di là rubavano immagini, ricordi, attese, lontane amicizie, desideri e tra questi il più soave, il più forte a cui una donna anela: un figlio. Aveva conosciuto l'amore di cuore e di sesso, ma il frutto che lo stesso produce a lei rimase ignoto.
Una donna assolve al suo ruolo, e della suprema fatica può vantarsi, allevando ed educando poi l'essere intelligente che nel suo grembo tenne. Questo vuoto le pesava gravemente, ma lo sentiva di più pensando all'avvenire: i sentimenti, infatti, rimangono senza il loro naturale oggetto e la vita appare ogni giorno senza appoggio e senza sicurezza, poiché sarà priva di quegli esseri che rendono l'amore e l'affetto che hanno ricevuto.
Donna Matilde, così era chiamata, nella sua dolorosa solitudine, però, non si arrese e decise di adottare un figlio di quella grande e sfortunata famiglia che è l'infanzia abbandonata. Infatti, molte famiglie non hanno il calore di un bimbo, ma anche molti bimbi non hanno il calore della famiglia. Questa maternità, però, forse più dell'altra, per donna Matilde fu fonte di tanti dolori.
Tutto è bello o così appare alla luce della fantasia, ma quando la vita è vissuta nella sua cruda realtà, allora tutto è ben diverso: la speranza è un inganno e i ricordi sono amarezze. La vita è il dramma di ogni essere vivente, che recita la sua parte finché davanti a sé il sipario non si chiude.
Viveva nella stessa casa di donna Matilde una domestica, Angelina, che sempre l'accudiva, essendo le sue forze poco valide. Un giorno la signora espresse il suo cruccio e il suo desiderio a quella donna. "Siediti, Angelina". Le disse: "Attenderai poi ai tuoi lavori. Siediti. Ora voglio parlare con te. Una domestica è una lavoratrice un po' diversa rispetto agli altri lavoratori, tu sei retribuita per il lavoro che svolgi, però tu vivi qui, dormi qui e sai quali sono i miei affanni e i miei desideri. Tu vivi qui, vicino a me, tu fai parte da qualche anno di questa famiglia; pertanto, io ti considero non una domestica, ma un'amica vera, poiché io noto con quale premura mi accudisci, con quale zelo ed anche con affetto". Angelina ascoltò con attenzione le gentili parole che le rivolse la signora, mentre dagli occhi della stessa tristi e luminosi cadevan giù per le gote le lacrime che adornavano il suo bel viso, che trasmetteva con grazia il grande desiderio che nel suo cuor cullava. Si confidò la signora: "Vorrei tanto, anche se non posso dare alla luce un bimbo, che questo vuoto il Signore me lo colmasse". La domestica a quelle parole, piene di dolore e di tanto desiderio di assolvere al compito di madre, subito rispose:" Il suo sogno, signora, si potrebbe avverare, ma bisogna trovare e quindi pagare la persona giusta che di queste cose ben s'intende. Spero di potere esaudire quanto da lei sperato". Da quel momento nacque nel cuore di donna Matilde un sentimento di amicizia per Angelina, che da quel giorno fu ancora più gioviale. Gioiva il cuore di Matilde al pensiero di aver trovato un'amica, che finalmente le aveva dato una speranza.
I giorni se ne andavano più lieti, la signora di casa volle uscire e con la domestica, sua amica, volle passeggiare. Angelina in quella casa era una serva, ma più di prima fu trattata da ospite gradita; infatti da quel giorno fu ammessa a consumare i suoi pasti a tavola con la signora ed il marito della stessa. Si scherzava, si parlava e si gioiva al pensiero che un bimbo o una bimba avrebbe allietato la vita di Matilde e di suo marito, don Vincenzo. Vincenzo era un uomo docile e simpatico che voleva bene alla sua Matilde, anzi, sapendo suonare la chitarra, il banjo e il mandolino, tante volte cantava belle canzoni, accompagnando le parole con la musica di qualche suo strumento. Matilde ascoltava ed offriva il sorriso al suo consorte, che però qualche attenzione la prodigava anche ad Angelina, che con gli occhi esprimeva il suo consenso. Tra i due ci fu subito un'intesa e così germogliò un'altra storia d'amore o come tale intesa.
Angelina era nata a Roma, ma, abbandonata dalla madre, era cresciuta in un brefotrofio della stessa città, che lasciò all'età di ventidue anni, lavorando quindi in diverse città e in varie famiglie come domestica. Un giorno s'innamorò di un giovane ed accarezzò il sogno di formare una famiglia, ma quando il sogno sembrava prossimo alla sua realizzazione, un crudele capriccio della sorte spezzò tutto e nel cuore di Angelina rimase un' inguaribile ferita. Il giovane, venuto a conoscenza della gravidanza di Angelina, non molto tempo dopo si allontanò dalla stessa e non si fece più vedere. Angelina diede alla luce una bambina, che chiamò Giulia e che affidò allo stesso brefotrofio dove ella aveva trascorso parte della sua vita. Così volle il destino. Ma adesso si presentava l'occasione di poter rivedere la propria figlia per sempre, di poterla avere sempre vicino e nello stesso tempo di dare la gioia di fare da mamma alla signora Matilde, nonché di avere anche le attenzioni di don Vincenzo. Felice di quanto era accaduto, Angelina pose in essere il suo piano e, presi i relativi accordi con il brefotrofio, essendo lei la legittima madre, dopo qualche settimana si presentò alla signora Matilde, alla quale così disse immantinente: " Donna Matilde, il suo sogno si avvererà: infatti, mi è stato detto che in un brefotrofio di Roma c'è una bambina che col mio aiuto e con le mie conoscenze lei potrà subito avere qui a casa ed in seguito potrà anche adottare". Abbracciò Matilde la domestica, che le realizzava il suo sogno più ambito, e tosto, singhiozzando di gioia, le rispose: " Grazie amica mia, tu oggi hai dato ossigeno al mio cuore, io vivrò come tante mamme ed una bimba non sarà più sola". Felice, Matilde attese con gioia il marito ed appena lo sentì rientrare a casa, commossa, ma col volto sorridente, lo informò. Don Vincenzo fu subito d'accordo, anzi aggiunse che era giusto munificare Angelina per il servigio reso alla famiglia. Matilde chiamò la domestica e la sollecitò a vestirsi per uscire insieme con lei. Uscirono le due donne e si diressero verso un negozio di abbigliamento, dove la domestica provò dei vestiti e Matilde le regalò quello che per Angelina era il più bello. Ringraziata la padrona del suo gentile gesto, la domestica subito soggiunse:" Signora, quando lei sarà pronta, potrà andare a Roma a prendere la bambina, che si chiama Giulia ed ha cinque anni. Io ho già preso contatti con il brefotrofio". Ma donna Matilde, sfiorando con la mano la guancia di Angelina, replicò che a Roma per prendere la bambina sarebbe andata insieme con lei e con don Vincenzo. La domestica, che già si aspettava quella risposta, si avvicinò alla signora Matilde per darle un bacio e poi ritornò a svolgere i suoi quotidiani lavori. Passarono dei giorni, durante i quali Vincenzo si occupò del viaggio e Matilde con la sua domestica della futura accoglienza della bimba. Quando fu tutto pronto partirono per Roma, mentre l'anno millenovecentoquarantotto, che era quasi alla fine, si chiuse con tanta letizia nel cuore di quella famiglia, dove una bimba, Giulia, rese felici soprattutto le due donne, che l'amarono a loro modo tanto, essendo stato esaudito il desiderio delle stesse.
Matilde amava la sua bimba e l'educava con premi e castighi. Non poté fare di più una vera mamma. La bimba era bella e vivace, cresceva nell'aiuola dell'amore. Un giorno, però, la vera madre cominciò a poco a poco ad ingelosirsi, perché quel richiamo che la bimba rivolgeva alla signora le pesava, era greve per lei sentire pronunziare gioiosamente e spesso la parola mamma, rivolta a persona che, sebbene fosse tanto affettuosa, era sempre un'estranea.
La parola mamma, che in sé racchiude tanti sentimenti; la mamma che Angelina non aveva mai potuto chiamare per poi sentirsela vicino durante i pochi attimi di gioia o nei momenti di sconforto, che la vita spesso le offriva. Questi contrastanti sentimenti la turbavano sempre di più e la sua mente cercava spesso di equilibrare il tutto, ma più che la ragione la gelosia prevalse, spinta da quell'ignobile e turpe sentimento che ha nome invidia e che alberga, talvolta, nella mente di colui a cui la sorte è avara.
Più volte la domestica strinse forte al petto la sua Giulia senza proferir parole; dire figlia mia non poté osare, quella parola la poteva gridare solo nel suo cuore, dove nel profondo essa risuonava. Un attimo d'amore per Giulia or tanto le costava, così come allora le costò un attimo di sesso. Aveva fatto in modo di amare la figlia da vicino, di ricevere anche lei da quel Vincenzo un po' d'amore, ma le leggi morali della società corrotta impedivano che il vivere di Matilde nelle vesti di madre, di Angelina e di Vincenzo potesse avere una sua luce, in quanto ad ognuno di loro per certi versi il destino li fece privi di qualcosa. Matilde, un dì amata da Vincenzo, essendo malata di cuore, non poté più onorare il talamo di Venere; Vincenzo quindi colmava quel vuoto con Angelina, che per qualche attimo si sentiva donna e, come madre, ancor più vicina alla sua bambina. Il quadro descritto, però, se è reso palese alla gente, è un trittico, che la società condanna, pur se la stessa ne promuove i presupposti. Intanto l'invidia e la gelosia presero il sopravvento ed ebbero inizio piccole liti tra le due donne. La domestica mise in atto un suo piano; infatti faceva in modo di fraintendere tutto ciò che vedeva e quanto le diceva la signora. Cercò di convincere Vincenzo di lasciare Matilde e poi di andare via per convivere altrove con lei e sua figlia. La sua richiesta non fu accolta e quindi, sopportandosi, le due donne cercavano di convivere. Il comportamento di Angelina era esasperato, ma la signora Matilde, grata di quanto Angelina aveva fatto per lei, non riusciva a spiegarsi la causa di tali cattivi atteggiamenti, di quel repentino cambiamento, di quella mancanza di rispetto e soprattutto di affetto nei suoi confronti; pertanto, cercava di capirla e di non osteggiarla mai. Perplessa, Matilde volle parlarne con Vincenzo, il quale rispose che forse Angelina stava attraversando un brutto momento e che pertanto era necessario sostenerla ed aiutarla.
Accentuatasi sempre di più, quella insostenibile situazione ebbe fine con il licenziamento della
domestica, che dopo pochi giorni per intercessione di Vincenzo nei confronti della moglie fu riassunta.
La pace familiare si sconvolse ed anche Giulia a volte riprendeva la domestica, rimproverandole
la sua cattiveria ed anche la sua mancanza di sensibilità verso quella persona gentile che era anche malata di cuore.
Un giorno Matilde, salendo all'ultimo piano della casa, dove c'era una grande terrazza, sentì un
brusìo in una stanza, si fermò ed ascoltò; capì che le voci dialoganti erano quelle di Vincenzo
e di Angelina, ma non comprese di che cosa stessero parlando. Ad un tratto, però, sentì schioccare un bacio e percepì anche qualche parola d'amore che i due si scambiarono. Sentì anche che la domestica diede dei soldi a Vincenzo, il quale, avendo il vizio del giuoco, molte volte perdeva e poi per pagare i suoi debiti ricorreva ai risparmi di Matilde e talvolta a sua insaputa vendeva qualche suo gioiello.
Accortasi dell'intesa che c'era tra la domestica ed il marito, con garbo richiamò separatamente
Vincenzo ed Angelina. Tanto fece per sua indole buona e per evitare che la sua Giulia ne venisse
a conoscenza. Ammise Vincenzo quanto gli era successo e le disse che sarebbe andato via al più presto, informandola che Angelina era la madre di Giulia e che l'avrebbe portato via con sé.
Esterrefatta di quanto aveva appreso da Vincenzo, Matilde chiamò la domestica, che, scoperta per le sue malefatte, non ebbe un comportamento civile e quindi con grida esasperate e parole degne di lei rese noto l'intrigo amoroso ed anche Vincenzo, accorso, perché spinto dalle grida assordanti di Angelina, rimase attonito e non si oppose punto, anzi in quell'occasione non ebbe pentimento. Proprio in quel giorno, in cui compiva i suoi dieci anni, Giulia conobbe la sua triste storia e quella intrecciata dalla madre; infatti, ascoltando, seppe che la sua vera madre era Angelina e che Vincenzo era il suo amante. La bimba fu subito chiamata dalla domestica e, portata al cospetto di tutti quanti loro, alla stessa Matilde chiese se voleva restare con lei ovvero andare con Angelina e con Vincenzo. Ma la bimba senza nessuna esitazione, avvicinandosi a Matilde ed abbracciandola, subito rispose:"Mamma, sei tu la mia mamma. Io resterò con te per sempre, io non ti lascerò mai".
Ma Angelina si oppose e così, presa la bambina per un braccio, la strappò a Matilde e la portò via repentinamente insieme con Vincenzo.
Le due giovani madri avevano rispettivamente sognato di formare una famiglia e per questo ognuna di loro aveva sacrificato ogni cosa. Ma ben presto l'orrenda realtà si era presentata. Rimase sola Matilde ed addolorata si distese nel suo letto amico, dove pochi mesi dopo avrebbe giaciuto per sempre. La bimba venne a conoscenza della morte di Matilde ed avrebbe voluto vederla per l'ultima volta, ma le fu impedito dalla madre ed anche da Vincenzo, che dalla gente di paese furono male giudicati per la tresca ordita alla signora, che con la morte pose fine al dramma. Accompagnato in silenzio da moltissimi dolenti, il feretro passava da quella strada, dove Giulia era andata ad abitare, e la stessa era già pronta dietro i vetri di un balcone con gli occhi in pianto e la tristezza in cuore a dare il suo ultimo saluto a quella donna, che per lei non fu madre naturale, ma lo fu di più sol per mero sentimento.
Accortasi Angelina che la bimba singhiozzava gridò alla stessa di togliersi di là e di non affacciarsi mentre il feretro passava, ma la bimba alle parole di Angelina non diede ascolto e rimase lì con gli occhi fissi, senza singhiozzare. Allora la madre, scuotendola alle spalle, le ordinò di andare nella sua stanzetta, dove spingendola con rabbia la chiuse. Lì c'era una piccola finestra dalla quale Giulia si affacciò e poco dopo, pinta dallo sconforto,ad un tratto gridando forte:"Tu sei la mia vera mamma, io muoio con te", e saltando disperatamente dalla finestra morì di schianto tra il clamore e le lacrime di tutti gli astanti.
Povera bimba, mi hai straziato l'animo, profondamente mesto, perché profondamente umano.
Non conoscesti la giovinezza ed il tuo mondo, già tetro, forse nel brefotrofio sarebbe stato più
limpido, fuori ti si oscurò del tutto. Non avesti un attimo di felicità, sentisti solo la necessità
di soccombere alla morte, che talvolta sembra l'unica risoluzione dell'assillante binomio
vita-infelicità.
Talvolta nel mondo cerchiamo un bene che non c'è e, non riuscendo a trovare nel nostro intimo la luce, ci assale l'angoscia, il tormento che scaturisce da tormento sempre uguale e sempre rinnovantesi; la tristezza avvilisce l'animo, sino a trascinarlo al limite della disperazione. Nascere, talvolta, è una sciagura e spesso ogni altro dolore che sopraggiunge ravviva gli altri che sono in dormiveglia.
La bimba lottava i suoi contrastanti sentimenti, che nei suoi dieci anni aveva accumulato, però la
sua resistenza venne meno. La bimba era stata abbandonata, un perpetuo dissidio agitava la sua
vita, poi aveva conosciuto l'amore della mamma: una punta di luce e di vita, che aveva presto
perduto, e in breve tempo aveva conosciuto anche l'odio, che poi l'aveva separata da tutti gli
affetti familiari. Non aveva più nessuno.
Quando viene meno la speranza che sorregge l'uomo, s'interrompe l'illusione, fiaccola della vita, e tutto muore.
La morte di Giulia, però, produsse un benefico effetto; infatti, raffinò l'animo di quell'essere che un dì la partorì e che dell'errore commesso presto si accorse. Il dolore di avere perduto per
sempre la figlia le diede tristezza senza fine e, abbandonandosi al ricordo, l'odio svanì, prevalse
il pentimento, ed il sentimento del sublime amore ammorbidì il suo cuore aspro ed irascibile,
esasperato dalla cattiveria umana, che anche lei, purtroppo, aveva conosciuto.
Angelina, quindi, dopo una lunga e profonda meditazione sentì l'esigenza di intendere e sopportare le vicende della vita con umiltà religiosa e, dopo un lungo dialogo con Vincenzo, decise che il suo ruolo di domestica l'avrebbe espletato solo per missione al servizio di un'altra famiglia più grande: quella dei poveri e dei sofferenti. Quindi fu accompagnata da Vincenzo in un convento di suore e dopo aver preso i voti fu inviata come missionaria tra quelle popolazioni bisognose, dove per tanti anni visse e dove poi morì.
La vita di ogni uomo è già predeterminata dal momento in cui viene alla luce. Gli uomini
credono di poter cambiare il destino, di poterlo superare, talvolta, con la forza dei loro sentimenti, ma le leggi della vita inesorabilmente stroncano anche i sentimenti. La vita è la vita e l'uomo finisce per accettarne le leggi nella loro durezza; con eroica pazienza, infatti, logora le proprie forze giorno per giorno contro l'ostilità della sorte.
Or voi siete sotterra, attori di questo piccolo mondo, ma il dolore di chi ascoltò questo dramma,
che un dì un vecchio del paese visse e quindi raccontò, non si è spento.
Anch'io, che non vissi questa lontana storia, ricordandola ed oggi descrivendola, piango le
sventurate, mentre le lacrime, bagnandomi le gote, chiudono la narrazione e la sua triste fine.
martedì 27 giugno 2000 ore 11.00.39


Gino Ragusa Di Romano
Dal mio libro “Accenti d’amore e di sdegno” Pellegrini Editore – Cosenza 2004




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Racconto scritto il 03/12/2013 - 16:34
Da Gino Ragusa Di Romano
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