Era veramente una strana visione, quell’uomo. Sul bordo della strada, dal lato del muretto che dava sulla valle, camminava con un passo che attirava istintivamente l’attenzione.
La giornata di luglio era caldissima, opprimeva con un calore secco che asciugava il respiro e bruciava la testa; ma lui non sembrava sentire disagio e andava come senza peso, uno zainetto che gli pendeva svogliatamente dalla spalla destra.
L’autista dell’auto che passava aveva meccanicamente rallentato, forse era un paesano – a tre chilometri dal paese? – . Passandogli a fianco lo guardò, non lo conosceva; l’altro girò lo sguardo. Uno sguardo luminoso e un sorriso; lo confuse, di più, quando lui lo salutò con la mano, gli fece pensare ad una persona anomala; non era il caso di fermarsi. In Sicilia a quell’ora non era normale sorridere.
Altre persone gli passarono vicino. Nessuno lo fermò, qualcuno non girò nemmeno lo sguardo.
L’aria rovente lo scaldava; il profumo d’elicrisia, così forte da stordire, lo esaltava e commuoveva;
la vista dei campi come dune gli riempiva gli occhi, le macchie squadrate dei campi di grano bruciati completavano la profondità; le cicale, con il loro urlo, lo ricoprivano. Ogni senso era appagato, l’anima leggera, il passo forte.
Quella strada gli produceva un sentimento forte: arrivare ma non perdere neanche un istante un metro, un profumo, una sensazione … un dolore, un ricordo
Laggiù in fondo attraverso l’aria che tremolava ora si vede il paese, campanili come minareti, case abbracciate alla collina in un tutt’uno, da secoli. Qua sotto sul torrente secco ruderi: il mulino; ricordi, tracce della storia, il viso di un vecchio sorridente in una foto quasi sbiadita.
L’ultima curva, rallenta, lì dietro c’è in ombra l’attraente salitina del cimitero, il muro di bianco denso chiama; le cicale tacciono, il marcio dei fiori prepara all’ingresso.
Sono ancora sguardi dubbiosi ed interrogativi. La vecchia vede quell’uomo seduto per terra, di fronte a quelle tombe, uno zaino aperto; “tu chi sì”, uno sguardo senza curiosità la guarda e un sorriso stanco le risponde. Da siciliana capì, “sabbenedica”, rispose andandosene.
Comincia il paese, ma prima delle case se ne vedeva l’odore, mischiato con il tanfo ed i profumi selvaggi. Non c’è nulla di tenue in Sicilia, non ci sono vie di mezzo. Odori e sensazioni, ricordi sempre e solo violenti.
Da un locale escono gli effluvi dolci di granita e limone, raccontano il fresco lì nell’ombra scura dell’interno; il vecchio bar, il tavolino, le sedie fuori. Avanti la strada, le case con le cassine abbassate, le sedie fuori delle porte, vuote, c’è troppo caldo anche per i vecchi che non aspettano più niente. L’uomo si siede con un movimento lento e chiude gli occhi con il sole sul viso. Non viene nessuno a chiedere, nel paese si usa così. Dal bar esce con il profumo delle mandorle dei dolci una musica laggiù dal retro. La strada è come quella dei mille paesi cresciuti sulla provinciale, è tutto lì strada, piazza, teatro, incontro. Si riaccendono i ricordi luci forti proiettate dai sentimenti. Sul muro di fronte la vita passata comincia a scorrere come un cinema; nomi e sorrisi, vivi e morti. L’uomo solleva la mano come per salutare.
La giornata di luglio era caldissima, opprimeva con un calore secco che asciugava il respiro e bruciava la testa; ma lui non sembrava sentire disagio e andava come senza peso, uno zainetto che gli pendeva svogliatamente dalla spalla destra.
L’autista dell’auto che passava aveva meccanicamente rallentato, forse era un paesano – a tre chilometri dal paese? – . Passandogli a fianco lo guardò, non lo conosceva; l’altro girò lo sguardo. Uno sguardo luminoso e un sorriso; lo confuse, di più, quando lui lo salutò con la mano, gli fece pensare ad una persona anomala; non era il caso di fermarsi. In Sicilia a quell’ora non era normale sorridere.
Altre persone gli passarono vicino. Nessuno lo fermò, qualcuno non girò nemmeno lo sguardo.
L’aria rovente lo scaldava; il profumo d’elicrisia, così forte da stordire, lo esaltava e commuoveva;
la vista dei campi come dune gli riempiva gli occhi, le macchie squadrate dei campi di grano bruciati completavano la profondità; le cicale, con il loro urlo, lo ricoprivano. Ogni senso era appagato, l’anima leggera, il passo forte.
Quella strada gli produceva un sentimento forte: arrivare ma non perdere neanche un istante un metro, un profumo, una sensazione … un dolore, un ricordo
Laggiù in fondo attraverso l’aria che tremolava ora si vede il paese, campanili come minareti, case abbracciate alla collina in un tutt’uno, da secoli. Qua sotto sul torrente secco ruderi: il mulino; ricordi, tracce della storia, il viso di un vecchio sorridente in una foto quasi sbiadita.
L’ultima curva, rallenta, lì dietro c’è in ombra l’attraente salitina del cimitero, il muro di bianco denso chiama; le cicale tacciono, il marcio dei fiori prepara all’ingresso.
Sono ancora sguardi dubbiosi ed interrogativi. La vecchia vede quell’uomo seduto per terra, di fronte a quelle tombe, uno zaino aperto; “tu chi sì”, uno sguardo senza curiosità la guarda e un sorriso stanco le risponde. Da siciliana capì, “sabbenedica”, rispose andandosene.
Comincia il paese, ma prima delle case se ne vedeva l’odore, mischiato con il tanfo ed i profumi selvaggi. Non c’è nulla di tenue in Sicilia, non ci sono vie di mezzo. Odori e sensazioni, ricordi sempre e solo violenti.
Da un locale escono gli effluvi dolci di granita e limone, raccontano il fresco lì nell’ombra scura dell’interno; il vecchio bar, il tavolino, le sedie fuori. Avanti la strada, le case con le cassine abbassate, le sedie fuori delle porte, vuote, c’è troppo caldo anche per i vecchi che non aspettano più niente. L’uomo si siede con un movimento lento e chiude gli occhi con il sole sul viso. Non viene nessuno a chiedere, nel paese si usa così. Dal bar esce con il profumo delle mandorle dei dolci una musica laggiù dal retro. La strada è come quella dei mille paesi cresciuti sulla provinciale, è tutto lì strada, piazza, teatro, incontro. Si riaccendono i ricordi luci forti proiettate dai sentimenti. Sul muro di fronte la vita passata comincia a scorrere come un cinema; nomi e sorrisi, vivi e morti. L’uomo solleva la mano come per salutare.
Racconto scritto il 10/12/2013 - 12:34
Letta n.1328 volte.
Voto: | su 5 votanti |
Commenti
Nessun commento è presente
Inserisci il tuo commento
Per inserire un commento e per VOTARE devi collegarti alla tua area privata.