Semi di amaranto stringe nelle mani
rassomigliano a pugni chiusi.
Mi guarda, gli occhi quarzo sono i punti deboli della sua corazza d’argento.
Apre i suoi pugni e migliaia di piccole briciole affondano nel terreno.
Sono semi di amaranto, meravigliose piante nascono e tutto si tinge di quel colore,
Che sembra rosso solo agli stolti.
E' così che inizia a piovere acqua fresca.
La pioggia ci avvolge in un velo sottile,
Ci libera dal resto del mondo,
Che non vedrà quanto luminose sono le gemme dei nostri cuori.
-Vorrei poter salvare per sempre le persone cui tengo-.
-Sai che non è possibile- sussurra lei.
-Ce la sto mettendo tutta-.
-Non c’entra, rilassati e non pensare agli orologi-.
-Forse è questa pioggia che è malinconica? Non sono in grado di aiutare nessuno di loro-.
Mi guarda, con il suo corpo gracile e consumato,
Le gambe esili e gli occhi miopi.
Alza lo sguardo al cielo e gli ordina di smettere di piovere.
E così succede.
Lei ha un piano per me, io guardo il colore dell'amaranto e non faccio domande.
Accetto il destino che la donna ha scelto.
Accompagnandomi al castello dell'impero, dove è primo ministro Frank il Santo, consiglia di indossare l’armatura più bella che ho.
Così faccio.
Apro l'armadio è scelgo tra tante la migliore che posso offrire.
La mia corazza dorata raffigura la storia di Valchiria,
Colei che decide chi in battaglia può vivere o morire,
Io però non sono Odino, né ho un cavallo alato,
Sono un semplice cavaliere depresso.
Arrivati al castello, Jack il Santo guarda la corazza
Guarda la corazza e solo quello,
Come se dentro la corazza nulla dimorasse.
Come un cavaliere inesistente di cui si legge solo il curriculum e non si guardano i suoi occhi.
Jack il Santo non chiede il mio nome,
Jack il Santo non vuol sapere della mia storia,
Jack il Santo non vuol sapere se ho mai pianto davvero.
Mi affida il ruolo di sentinella della torre ovest,
La più piccola delle Torri, la prima dell'assedio, l'affida a me insieme al CavaliereAmico1.
Così sono diventato sentinella e ho difeso tutte le persone aristocratiche che passeggiavano nel castello,
Tutte quelle più ricche, con i deretani al profumo di limone e lavanda, che non amavo.
Nè i loro cuori né i loro culi, però ero lì a farlo, perché avevo paura di fare altrimenti.
Invece,
Le persone che ho amato vivevano nei villaggi circostanti che bruciavano un giorno si ed uno no, a causa delle razzie dei barbari.
Si è vero,
Ero solo in quella torre, ma al sicuro.
Mi chiedevo, ogni giorno, se i miei cari fossero ancora vivi, se ancora mi amassero, se si ricordassero di me, ma come potevo saperlo nascosto dall'alto di una torre?
Io volevo dirgli che li amavo ancora, mi mancavano tanto, però da quell'altezza la mia voce si perdeva nel vento.
Passarono gli anni, tanti anni,
Che alcuni villaggi fuori al castello erano morti,
Altri invece si erano trasformati in grandi città.
Parlavo di rado con CavaliereAmicon1, un giorno dissi:
-Da questa torre abbiamo visto come nel mondo sono cambiate le cose, stando qui seduti, non abbiamo mosso un dito per cambiare le cose-
-Di che ti lamenti? sei una sentinella, hai il posto fisso, lascia che la tua indole si rilassi,
si addormenti per un po,
magari per sempre.
Lascia che il cervello riposi, non pensare molto,
Non sei il protagonista di un mondo che cambia,
Sai che gran fatica cambiare il mondo?
Noi abbiamo il posto fisso, attendiamo la vecchiaia e nient’altro-.
Cercavo nella sua armatura un indizio che mi conducesse al desiderio tenace che ha un uomo di cambiare le cose,
Nessun dettaglio però si palesò.
Era, tutto sommato, un uomo silenzioso allora gli dissi:
-Quella donna esile tanti anni fa mi ha fregato ed oggi sono un uomo solo-
-Siamo sentinelle, la solitudine è la nostra migliore amica.
Come la notte, e tutte le torce che illuminano l’oscurità quando la Luna è pigra-.
-Voglio tornare indietro-
-Indietro non si torna, rilassati e non pensare agli orologi-.
Un pomeriggio di qualche anno dopo, la città fuori al castello era diventata una grande metropoli,
Ed un gruppo di ragazzi universitari e non, venne a protestare sotto le mura del castello.
Frank il Santo era diventato re e pretendeva un castello ancora più grande a discapito dei villaggi e città circostanti, pesanti erano le tasse, più pesanti del suo ego, del suo peso,
Pesanti le sue parole piene di avidità.
E vidi gli arcieri con archi bianchi, angelici, scoccare tante frecce quanti erano i cuori dei rivoluzionari.
Li vidi cadere a terra , non impugnavano spade ma solo libri e pagine che si liberavano in aria per poi cadere al suolo.
Ogni libro, cadendo, aprì una crepa nel terreno.
Ogni crepa diventò un tunnel che portava dentro il castello.
Scacco matto.
Io ero una sentinella, ma in quel momento compresi che volevo essere un rivoluzionario, era troppo tardi. Condannato al mio destino, lo accettai a fatica,
Una sorta di malsana coerenza inutile.
Dentro quei tunnel scavati da pagine e pagine di libri, ci passò tutta la rivoluzione.
Un giorno di fine agosto, se non erro, quando il Sole era alto assai e l'umidità una moglie gelosa, ci fu il famoso assedio, tutte le mura, comprese le torri, si riempirono di un rosso che sembrava amaranto.
Li vidi da lontano:
cavalierenemico1 e cavalierenemico2 avanzavano affannando nelle loro armature, giunsero infine alla torre ovest, ed affrontarono me e cavaliereamico1, che morì subito, al primo affondo di spada, troppo adagiato nel posto fisso che rammollito com'era diventato non vide neanche partire il colpo.
Morì in silenzio.
I due poi mi accerchiarono, io provai ad intavolare un dialogo disperato:
-Io volevo stare dalla vostra parte, lo giuro-
E il primo affondo entrò nel fianco ferendomi.
-Sono stato fregato dalla paura di restar con i più deboli, ma vi giuro che soltanto i più deboli ho sempre amato-
Il secondo affondo mi ferì la gamba destra.
Provai a reagire, ma i miei attacchi andavano a vuoto. Ero patetico.
Un uomo nascosto nella sua armatura dorata.
Guardai oltre le mura, potevo buttarmi giù e farla finita, ma non avevo il coraggio.
Così tolsi prima l’elmo, e poi l’armatura tutta.
Il mio corpo era pieno di sangue, ma finalmente la sentivo, la leggerezza.
La leggerezza di scegliere di essere un uomo e non un ammasso di ferraglia a comando. I miei occhi, finalmente, risplendevano alla luce che filtrava senza nuvole.
Ho fatto una scelta, ed ho scelto di non portare una corazza, di non appartenere a nessun altro, di aprire gli occhi e mostrarli al mondo.
Ho scelto finalmente di non essere un cavaliere inesistente, ma non ero il solo.
I due cavalieri nemici tolsero anche loro l’armatura e mi invitarono a riprendere il combattimento.
Uno dei due mi rassomigliava, eravamo due gocce d’acqua, l’altro era un uomo robusto e un po’ goffo nei movimenti.
Fu proprio quello goffo a scagliarsi contro di me, evitai il fendente e gli conficcai la mia spada nelle viscere.
Lo vidi morire e cominciai a piangere.
Ogni lacrima liberava anni di depressione su quella torre.
Anni buttati a guardare una distesa di territori che cambiava continuamente.
Anni lasciati andare via come semi d'amaranto che si perdono nel vento.
Pensavo a tutto questo, sono stato uno sciocco.
Distratto, il cavaliere che mi rassomigliava ne approfittò per trafiggermi il cuore.
-Come ti senti?- poi disse
-In pace con i miei rimpianti. Tu sei il coraggio che non ho mai avuto, per questo hai gli occhi uguali ai miei, ma un pò diversi-.
Quando la battaglia terminò i rivoluzionari persero.
Jack il Santo divenne il re più spietato della storia.
Prosciugò tante città per costruire il castello più grande di tutti i tempi, in futuro sarà ammirato e fotografato da migliaia di turisti, ma non la mia torre ovest, che fu abbattuta perché tutte le sentinelle erano morte, incapaci di resistere all'assalto dei nemici, i nostri nomi dimenticati presto dopo essere stati riempiti di vergogna, ed al suo posto fu costruita una torre più bella e più alta, da cui si vedeva tutto, ma talmente alta che, in fondo, non si vedeva un bel niente.
Voto: | su 0 votanti |
Nessun commento è presente