Un uomo anziano vive da solo, poco lontano dal centro abitato, ma da parecchi giorni non riceve più notizie del figlio Giovanni, medico senza frontiere in missione in Africa. Riceve spesso brevi telefonate e lunghe lettere in cui si dilunga a descrivere miseria, violenza e morte e dell’aiuto che cerca di offrire, insieme ai colleghi, alla gente locale.
L’ansia lo fa star male e in attesa di notizie, chieste agli uffici di riferimento, passeggia per i suoi campi, coltivati da lui fin dalla gioventù, ma si spinge oltre, ammirando quello straordinario paesaggio, inoltrandosi in un boschetto con l’animo disperato. Si ferma ai piedi di un olivo monumentale dalla lunghissima vita, piangendo in cerca di un conforto. L’albero si agita mosso dal vento e sembra percepire la sua paura, una luce argentea sembra attorniarlo e una voce profonda lo invita a raccontargli tutto. Sembra una anima saggia, un patriarca della natura pronto ad aiutare un uomo avanti negli anni, in preda allo sconforto. Le sue paure vengono sopite da quell’essere con le sembianze di albero e, coincidenza stranissima, giunto a casa riceve notizie del figlio ricoverato per lievi ferite in ospedale in seguito ad un incidente con l’auto. L’uomo più tranquillo continua a recarsi all’albero, ormai suo amico e parla con lui senza porsi domande sulla stranezza della cosa. Il figlio finalmente torna, ma non è solo. Ha portato con se un bimbo, rimasto orfano a causa della guerra e che ha deciso di adottare.
Un giorno insieme si recano tutti all’albero, per verificare ciò che l’anziano ha raccontato. Ma davanti al grande olivo non succede nulla a prova che si tratta di una fantasia. Ridono tutti, ma l’uomo sa che ciò che ha visto era reale e non potrà mai dimenticare la pace nell’anima che quel grande albero di olivo gli ha donato.
Il sole illuminava la grande stanza, semplice come il suo abitante, mentre si alzava con fatica dal letto. Una volta in piedi si muoveva più agilmente ma si accorgeva che gli anni, ormai tanti, pesavano ogni giorno di più. Nel suo piccolo si destreggiava ancora abbastanza facilmente e infatti dopo aver consumato la colazione e dopo aver messo in ordine la piccola casa, vista la bella giornata, uscì per il solito lavoro nei campi. Lo spiazzo davanti casa era colmo di luce e i suoi fedeli amici a quattro zampe, Tom e Bianca, vedendolo arrivare, si rizzarono in piedi per i rituali di gioia. I due cagnolini erano consapevoli che una volta alzato, Giuseppe si sarebbe occupato di numerose cose da fare, a cominciare dalla visita nel recinto dove numerose gallinelle si muovevano liberamente e deponevano uova. Finito questo rituale, l’anziano uomo e i fedeli cagnolini si recavano nei campi, coltivati a oliveti e vigneti e non mancavano certo numerosi alberi da frutta. Dalla morte di sua moglie si era dovuto abituare a vivere una condizione solitaria che aveva preferito trascorrere nella casa di campagna, poco distante dal paese. L’altra abitazione, ubicata nel centro del paese, l’aveva lasciata a suo figlio Giovanni che da qualche mese era lontano, partito come volontario medico senza frontiere. Quella scelta lo riempiva di orgoglio, ma lo colmava anche di paura, perché si trovava in un luogo dell'Africa dilaniato dalla guerra e dalla povertà. Gli giungevano con frequenza le lettere di suo figlio, lunghe lettere piene di angoscia per ciò che vedeva in quei luoghi, per tutto ciò che avrebbe potuto fare e quel poco che riusciva ad ottenere. Descriveva di una terra antica e bellissima, logorata dalla sofferenza, una sofferenza ignorata dal mondo nel suo grido silenzioso. Da qualche giorno non riceveva lettere, né tanto meno una di quelle brevi telefonate che con difficoltà il figlio riusciva a fare. Forse era impegnato e non poteva, diceva a sé stesso Giuseppe, ma l’angoscia, col trascorrere dei giorni, si faceva spazio sempre più e lo faceva star male. Camminava tra i suoi amati alberi di olive, già carichi del prezioso frutto, pronto ormai per la raccolta e che la successiva fase avrebbe trasformato nel prezioso olio, verde e profumato, utilissimo in cucina e per una piccola vendita che riusciva a realizzare ogni anno con i turisti e viaggiatori che transitavano nei pressi della sua proprietà.
Un vento fresco da pochi giorni soffiava con insistenza, a dispetto di quelle splendide giornate di sole e infastidiva Giuseppe durante il percorso tra le stradine di campagna, insieme al piccolo corteo dei due cagnolini che una volta finita la corsa di gioia, si erano messi al passo con lui, rallentando l’andatura e abbassando frequentemente il musetto sul terreno attirati dagli innumerevoli odori che esso emanava.
Al ritorno Giuseppe metteva sul tavolo il pane che lui stesso cuoceva al forno una volta a settimana, lo accompagnava con pezzi di formaggio e con uova, pranzando in modo semplice e sostanzioso. Il profondo silenzio che regnava, solitamente non gli dispiaceva, essendo di carattere chiuso, ma in quei giorni, con la pena che lo feriva in mille modi, anche quel silenzio gli era divenuto intollerabile. Non aveva pace e nel pomeriggio decise di telefonare alla sede della onlus di volontariato di cui suo figlio faceva parte, ma la signorina che gli rispose disse di non avere notizie e che si sarebbe interessata.
I giorni passarono e Giuseppe con la disperazione nel cuore telefonò nuovamente, senza esito.
Innervosito usci e camminò, camminò con le gambe doloranti e incerte, a volte inciampando su piccoli sassi che fuoriuscivano dal terreno, camminò senza guardare, andando oltre i suoi confini, soffermandosi ad ammirare il panorama di quella parte di territorio siciliano, collinoso e tappezzato da aranceti, oliveti e vigneti. In fondo guardando l’orizzonte, si scorgeva la striscia blu del mare, una pennellata di mediterraneo che lambiva spiagge sabbiose e le candide scogliere.
Giuseppe camminava con la mente affollata da pensieri, da cattive ombre e da brutti presagi. Senza rendersene conto, continuando a camminare, si addentrò in un fitto boschetto, quasi un luogo inviolabile e sacro, affollato da numerosi alberi dalle forme modellate e contorte dalle intemperie del clima in cui si distingueva un grande oleastro, quasi un sovrano che dominava imponente sugli altri alberi. Un olivo gigante, dall’aspetto rugoso, con una grande chioma di foglie argentee mosse spesso dal vento. L’uomo sostò meravigliato contemplandolo e ricordò di una leggenda che la tradizione popolare narrava su quest’olivo, forse magico e abitato al suo interno dalle fate, ragion per cui non bisognava maltrattarlo, occorreva parlargli con gentilezza e rispetto, soltanto così la sua anima ricca di saggezza avrebbe risposto. Testimone silenzioso degli avvenimenti umani e di quei luoghi, il grande olivo recava scolpiti in sé i racconti del vento, della siccità e del fuoco, del passaggio di uomini e di animali, del gelo e delle tempeste improvvise, del caldo torrido d’estate. Egli stava lì, da un tempo remoto e i suoi numerosi rami, ricoperti da fori e caverne scavate da miliardi di insetti e tane di animali, ospitava anche un’anima buona e gentile.
Istintivamente l’uomo, senza riflettere molto e in cerca di conforto, si avvicinò al grande tronco e sfogò la grande paura che ormai gli dilatava l’anima, mentre improvvise lacrime gli scendevano sul viso stanco.
- Grande albero, aiutami, ho bisogno di sapere dov’è mio figlio! Mi sembra di impazzire!
Ma ecco che una magia si stava realizzando davanti ai suoi occhi: una strana luce si diffondeva attorno all’albero e una voce profonda sembrava provenire dal suo interno.
- Non aver paura, mio amico umano,vedrai che presto avrai notizie di tuo figlio, devi solo pazientare. Lo spirito antico dell’albero lo confortava, mentre muoveva il fogliame che sembrava agitarsi come se partecipasse a quella tristezza, mentre una musica trascinata dal vento si diffondeva nell’aria. In quell’agro siciliano il tempo e la realtà, in quell’attimo si annullavano e si trovavano quasi trasportati in un’altra dimensione.
- Deve trattarsi di una suggestione – pensava l’uomo mentre guardava quell’aura di luce che lo avvolgeva e improvvisamente sentì una gran pace scendere su di lui, rimuovendo paure e angosce.
-Vai a casa e riposa– tornò a dirgli l’albero – io sarò qui ad aspettarti. -
Infine quella luce si affievolì e tutto tornò come prima, come se quell’incantesimo si fosse dileguato. Giuseppe pensò di avere sognato, ma trovò strano che i due cagnolini Tom e Bianca, fossero rimasti in disparte, in rispettoso silenzio al cospetto di un evento soprannaturale a cui potevano solo assistere.
L’uomo giunse a casa che era già buio, ma sentiva l’animo più sereno e mentre preparava la cena lo squillo del cellulare risuonò impetuoso:
- Papà sono Giovanni!
- Figlio mio, ma dove sei? Che ti è successo?
- Ho avuto un incidente con la macchina, che è andata distrutta. Io ho riportato solo poche ferite e mi hanno necessariamente trattenuto in ospedale, anche perché avevo perso conoscenza. Per questo non avevi mie notizie. -
- Ora sono tranquillo, riprenditi e torna presto!
- Tra un mese sarò a casa-
I giorni trascorsero in fretta e Giuseppe si recava ogni giorno al suo amico olivo. Quel gigante della natura era davvero magico e ogni volta che si trovava al boschetto, si animava ed emanava l’aura di luce, mentre un dialogo empatico e profondo si accendeva tra i due esseri. Un interloquire colmo di emozioni che trovava un linguaggio che permetteva di comunicare anche oltre le parole. Giuseppe percepiva che quel colloquio confortava le sue paure e riusciva a plasmare la solitudine e la stanchezza degli anni e in quella comunicazione empatica e profonda, sentiva vibrare attorno una energia colma di amore e di pace che ormai da tempo non conosceva più.
Una fredda mattina di novembre mentre stava sullo spiazzo davanti casa, illuminato dal sole mattutino, Giuseppe vide Tom e Bianca scattare in avanti abbaiando di gioia, correndo verso una figura che avanzava insieme ad una più piccola. Si trattava di Giovanni, ancora in divisa con un bimbo di colore a cui dava la mano. Dopo gli abbracci, Giovanni gli spiegò che il bambino Zamir, rimasto orfano, era stato trovato sotto le macerie di una casa ancora vivo. Lo aveva curato, ma il piccolo aveva ferite dell’anima che era difficile curare.
- Ho deciso di adottarlo. Che ne pensi?
- Dico che hai fatto bene! È uno splendido bimbo a cui possiamo dare tanto amore. Sono diventato nonno! Disse ridendo e anche Zamir e Giovanni risero.
Giuseppe era finalmente felice, e i giorni successivi trascorsero tranquilli.
Zamir aveva fatto amicizia con Tom e Bianca che non lo lasciavano più. Adesso il bimbo vestiva bene e il visetto scavato dal dolore, aveva acquisito una espressione più distesa e gioiosa e i suoi grandi occhi scuri parlavano da soli.
Giuseppe non seppe resistere e raccontò loro dell’olivo. Naturalmente fu preso in giro, ma decisero di andarlo a vedere tutti quanti insieme.
Camminarono lungo i campi silenziosi, infine giunsero nello spiazzo dove dominava il solitario olivo, diverso dagli altri. Sembrava quasi che dormisse nella sua immobilità e anche se ormai erano giunti al suo cospetto, egli continuava il suo sonno. Un antico albero di olivo che non produceva nemmeno più olive, ecco cos’era.
- Be non succede nulla? Lo canzonò Giovanni, mentre Zamir rideva
- Ma ti dico che è successo veramente!
Infine era passato per visionario, ma Giuseppe era consapevole che così non era e che esisteva un’altra verità, destinata a rimanere celata. Forse la grande anima che vi alloggiava non voleva che si sapesse troppo in giro di quella magia. La gente, in preda alle più strane paure, avrebbe finito per tagliarlo e bruciare i suoi vecchi rami. Era più saggio lasciare circolare la leggenda, percepita come una favola d’altri tempi e far passare Giuseppe per visionario.
Mentre tornavano verso casa, l’anziano voltò il capo per guardare ancora una volta il suo albero e con meraviglia si accorse che la chioma si muoveva, quasi un segno di saluto. Giuseppe sorrise e non disse nulla perché aveva capito che quel fenomeno misterioso doveva rimanere un segreto che legava un uomo ed una strana creatura della natura. Chissà forse non era solo quell’olivo ad avere quel potere, quella sensibilità pronta a rivelarsi ad un animo capace di ascoltare e percepire le voci e i sussurri di una vita parallela e che nel suo scorrere crea un legame unico e indissolubile con quello umano.
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