Fuori ormai era calato il buio, la stanchezza della giornata iniziava a farsi sentire, fu Rod a dare l’idea di riposarci un po’e mangiare qualcosa, e sinceramente visto la difficoltà e i pericoli affrontati quel giorno, sarebbe stata cosa saggia riprendere le forze mangiando, e facendoci una bella dormita. Per fortuna lo zaino impermeabile fece bene il suo lavoro, mangiamo quel poco che era rimasto dal pranzo ma bastò per riprendere energia e poi c’era sempre la grappa, che Rod custodiva con gelosia morbosa, “neanche l’avesse pagata”.
Stavolta i bicchieri erano quattro,
“A me ne spetterebbero due” disse Jason ammiccando l’occhio verso di me.
“E quale sarebbe il motivo” chiese Rod sornione.
“Perché un uccellino mi ha detto che avete festeggiato senza di me”
“Touche” rispose Rod, sentendosi scoperto.
L’atmosfera era serena, era bello essere di nuovo insieme. Sam era lì, in silenzio che guardava Rod e Jason litigare come due bambini per avere un altro bicchierino di grappa. Chissà quali erano i suoi pensieri, a cosa si aggrappava per non cadere vittima della disperazione dettata dalla situazione in cui eravamo incappati. Io ormai ero abituato da tempo a dissociarmi totalmente dai pensieri che mi procuravano dolore o semplicemente ritenevo negativi, capacità che dagli sguardi, dagli atteggiamenti e dal modo di affrontare le difficoltà, riscontravo anche in ognuno di loro.
“Ragazzi non l’abbiamo ancora fatto, perché avevamo altro a cui pensare, penso che ora sia arrivato il momento che Sam ci racconti cosa a provato e in che situazione si trovava quando si è accorta di essere rimasta sola?”
“Ok, ci sto a patto che iniziate voi a raccontare la vostra”
Ad un tratto i loro visi si fecero tesi e i loro sguardi deviarono verso il pavimento.
“ Qui ci vuole un altro bicchierino” intervenne Rod in mio aiuto.
“Va bene inizio io”
Mandai giù la grappa, e cominciai a raccontare del pomeriggio in cui tutto ebbe inizio, di come usci di casa salutando mia madre, di quanto gli fossi legato e di quanto mi sentivo in colpa per non esserle stato da sostegno dopo la morte di papà. Del senso di angoscia che provai quando mi accorsi che qualcosa non andava e della paura che diventò reale quando tornai a casa e mia madre era sparita. Del mio viaggio in città, di come incontrai Jason e Rod, e di come quell’incontro aveva cambiato in me la percezione della gravità della situazione.
“Il resto lo conoscete, ora sotto a chi tocca”
Fu Rod a prendere la parola e con un velo di tristezza cominciò a parlare.
“Ero uscito con la macchina per andare a trovare mio padre ricoverato in ospedale da pochi giorni perché aveva avuto un piccolo infarto, che fortunatamente non lasciò danni seri, mi fermai ad una stazione di servizio per rifornire e ne approfittai per andare un attimo al bagno, dovetti aspettare un bel po’ perché a quell’ora il bar era pieno, e la coda per il bagno era lunga. Quando finalmente toccò a me per poco non me la feci addosso, ero talmente assorto che non notai il silenzio che calò improvvisamente, soltanto uscendo nell' antibagno per lavarmi le mani notai che non c’era più fila, eppure ero sicuro che dietro di me ci fossero almeno una decina di persone. Strano pensai. Lasciai il bagno e aprì la porta a soffietto che lo separava dal bar, non c’era più nessuno, la paura mi fece rientrare subito dentro pensando ad una rapina ma mentre sbirciavo da dietro la porta notai che non c’era nessun movimento, nessun rumore, una rapina non poteva essere fatta nel tempo di una pisciata, uscì fuori dal bar, tutto era fermo, immobile, silenzioso, anche la strada che a quell’ora era intasata dai pendolari che rientravano da lavoro era deserta. Fu in quel momento che iniziai a farmela nuovamente sotto ma stavolta dalla paura, salì in macchina e dopo qualche chilometro per strada vidi un ragazzo fermo sul lato opposto. Fermai la macchina senza pensarci due volte, e fu in quel momento che incontrai Jason. Giunti in città nottammo subito che la portata della tragedia era immane, passammo all’ospedale da mio padre ma come pensavo era deserto. Così decidemmo di andare al centro commerciale dove incontrammo Criss. E questo è tutto”.
“A quanto pare tocca a me” disse Jason, con in faccia l’espressione di chi avrebbe fatto volentieri a meno di rievocare tali ricordi. Non lo biasimavo per questo, a nessuno di noi piaceva pensare a tutto ciò che avevamo appena perso, soprattutto perché non sapevamo se l’avessimo mai ritrovato.
“Era il classico pomeriggio che precedeva il weekend, avevo appena finito di lavorare e mio padre per premiarmi della buona settimana di lavoro mi concesse il sabato libero. Sì prospettava per me una bella serata con gli amici, lasciai papà in segheria e andai a casa a farmi la doccia e prepararmi per la serata. Come sempre mia madre mi aspettava in cucina con il solito panino con marmellata di lamponi. Era la mia classica merenda fin da bambino. Dopo aver mangiato chiesi a mia madre di prepararmi sul letto i vestiti per uscire, intanto andai a farmi una doccia. Non so di preciso quando accadde tutto perché finita la doccia mi feci la barba e mi sistemai i capelli. Andai in camera mia e non trovai i vestiti ai piedi del letto, cosa insolita perché mia mamma era molto premurosa e attenta nei miei confronti essendo l’unico figlio maschio in mezzo a tre sorelle più grandi che ormai erano sposate e vivevano in città. Uscì dalla mia camera per andare da lei in cucina, ma di lei non c’era traccia, pensai subito che fosse successo qualcosa a mio padre e che fosse andata da lui. Uscì in mutande e corsi verso la segheria, la sega a nastro era ancora accesa ma non c’era nessuno. Rientrai in casa presi il cellulare e inizia a chiamarli ma non ci fu risposta. Fu in quel maledetto momento che iniziai a preoccuparmi, mi vestì e corsi verso la strada che distava un centinaio di metri, notai subito che stranamente era deserta, solo una macchina in lontananza veniva verso di me. Era Rod, e il resto lo sapete già”.
“Ora tocca a me” esclamò Sam.
“Mi spiace tantissimo che ognuno di voi abbia perso una famiglia, anche se non nego di avere sempre invidiato chi ne aveva una in questo momento sono contenta di non doverne piangere la scomparsa. Sono stata abbandonata all’età di tre anni e da allora sono stata affidata ad un istituto e a varie famiglie in affidamento. I tentativi di farmi adottare fallirono uno dopo l’altro, non è facile dopo che passi tanto tempo in istituto con bambini come te, riuscire ad adattarsi alla vita in casa, alle ore passate da sola o con la babysitter, quindi puntualmente tornavo in istituto e intanto gli anni passavano, io diventavo grande, finché maggiorenne andai a vivere con una collega di lavoro. Lavoravamo come commesse in un negozio di animali, quel venerdì pomeriggio ero di riposo, avrei iniziato a lavorare il sabato mattina alle dieci, quindi decisi di passare il tempo a guardare film sdraiata sul letto in camera mia finché non mi addormentai, e li rimasi fino all’indomani quando suonò la sveglia. Al risveglio mi preoccupai perché Mary non era lì, avrebbe dovuto lavorare fino alle dieci di sera ma il suo letto non era neanche disfatto, questo non era da lei, guardai il cellulare ma non aveva neanche mandato un messaggio per avvisarmi, pensai subito che le fosse successo qualcosa di brutto, chiamai al lavoro per chiedere se fosse accaduto qualcosa ma stranamente rispondeva la segreteria. Mi vestì di corsa e usci di casa, in strada non c’era nessuno, i negozi aperti senza nessuno dentro. Andai alla polizia ma anche lì non c’era anima viva. Presa dal panico iniziai a girare senza meta finché presi la decisione di andare in città forse li, pensai, non sarà successo niente di tutto ciò, finché percorrendo la statale vidi in lontananza il profilo di un enorme torre simile a un tubo, che nei giorni prima non avevo mai visto. Poi l’unica auto per strada parcheggiata sul ciglio proprio in corrispondenza di quella strana struttura. La curiosità e il bisogno di saperne di più fece il resto, facendomi arrivare a voi”
Ora finalmente ognuno di noi poté affermare di aver posto le basi per una vera amicizia, ora sapevamo l’uno dell’altro qualcosa di più di un semplice nome. L’ultimo giro di grappa fece il suo dovere, ci addormentammo in vista di un nuovo giorno.
Stavolta i bicchieri erano quattro,
“A me ne spetterebbero due” disse Jason ammiccando l’occhio verso di me.
“E quale sarebbe il motivo” chiese Rod sornione.
“Perché un uccellino mi ha detto che avete festeggiato senza di me”
“Touche” rispose Rod, sentendosi scoperto.
L’atmosfera era serena, era bello essere di nuovo insieme. Sam era lì, in silenzio che guardava Rod e Jason litigare come due bambini per avere un altro bicchierino di grappa. Chissà quali erano i suoi pensieri, a cosa si aggrappava per non cadere vittima della disperazione dettata dalla situazione in cui eravamo incappati. Io ormai ero abituato da tempo a dissociarmi totalmente dai pensieri che mi procuravano dolore o semplicemente ritenevo negativi, capacità che dagli sguardi, dagli atteggiamenti e dal modo di affrontare le difficoltà, riscontravo anche in ognuno di loro.
“Ragazzi non l’abbiamo ancora fatto, perché avevamo altro a cui pensare, penso che ora sia arrivato il momento che Sam ci racconti cosa a provato e in che situazione si trovava quando si è accorta di essere rimasta sola?”
“Ok, ci sto a patto che iniziate voi a raccontare la vostra”
Ad un tratto i loro visi si fecero tesi e i loro sguardi deviarono verso il pavimento.
“ Qui ci vuole un altro bicchierino” intervenne Rod in mio aiuto.
“Va bene inizio io”
Mandai giù la grappa, e cominciai a raccontare del pomeriggio in cui tutto ebbe inizio, di come usci di casa salutando mia madre, di quanto gli fossi legato e di quanto mi sentivo in colpa per non esserle stato da sostegno dopo la morte di papà. Del senso di angoscia che provai quando mi accorsi che qualcosa non andava e della paura che diventò reale quando tornai a casa e mia madre era sparita. Del mio viaggio in città, di come incontrai Jason e Rod, e di come quell’incontro aveva cambiato in me la percezione della gravità della situazione.
“Il resto lo conoscete, ora sotto a chi tocca”
Fu Rod a prendere la parola e con un velo di tristezza cominciò a parlare.
“Ero uscito con la macchina per andare a trovare mio padre ricoverato in ospedale da pochi giorni perché aveva avuto un piccolo infarto, che fortunatamente non lasciò danni seri, mi fermai ad una stazione di servizio per rifornire e ne approfittai per andare un attimo al bagno, dovetti aspettare un bel po’ perché a quell’ora il bar era pieno, e la coda per il bagno era lunga. Quando finalmente toccò a me per poco non me la feci addosso, ero talmente assorto che non notai il silenzio che calò improvvisamente, soltanto uscendo nell' antibagno per lavarmi le mani notai che non c’era più fila, eppure ero sicuro che dietro di me ci fossero almeno una decina di persone. Strano pensai. Lasciai il bagno e aprì la porta a soffietto che lo separava dal bar, non c’era più nessuno, la paura mi fece rientrare subito dentro pensando ad una rapina ma mentre sbirciavo da dietro la porta notai che non c’era nessun movimento, nessun rumore, una rapina non poteva essere fatta nel tempo di una pisciata, uscì fuori dal bar, tutto era fermo, immobile, silenzioso, anche la strada che a quell’ora era intasata dai pendolari che rientravano da lavoro era deserta. Fu in quel momento che iniziai a farmela nuovamente sotto ma stavolta dalla paura, salì in macchina e dopo qualche chilometro per strada vidi un ragazzo fermo sul lato opposto. Fermai la macchina senza pensarci due volte, e fu in quel momento che incontrai Jason. Giunti in città nottammo subito che la portata della tragedia era immane, passammo all’ospedale da mio padre ma come pensavo era deserto. Così decidemmo di andare al centro commerciale dove incontrammo Criss. E questo è tutto”.
“A quanto pare tocca a me” disse Jason, con in faccia l’espressione di chi avrebbe fatto volentieri a meno di rievocare tali ricordi. Non lo biasimavo per questo, a nessuno di noi piaceva pensare a tutto ciò che avevamo appena perso, soprattutto perché non sapevamo se l’avessimo mai ritrovato.
“Era il classico pomeriggio che precedeva il weekend, avevo appena finito di lavorare e mio padre per premiarmi della buona settimana di lavoro mi concesse il sabato libero. Sì prospettava per me una bella serata con gli amici, lasciai papà in segheria e andai a casa a farmi la doccia e prepararmi per la serata. Come sempre mia madre mi aspettava in cucina con il solito panino con marmellata di lamponi. Era la mia classica merenda fin da bambino. Dopo aver mangiato chiesi a mia madre di prepararmi sul letto i vestiti per uscire, intanto andai a farmi una doccia. Non so di preciso quando accadde tutto perché finita la doccia mi feci la barba e mi sistemai i capelli. Andai in camera mia e non trovai i vestiti ai piedi del letto, cosa insolita perché mia mamma era molto premurosa e attenta nei miei confronti essendo l’unico figlio maschio in mezzo a tre sorelle più grandi che ormai erano sposate e vivevano in città. Uscì dalla mia camera per andare da lei in cucina, ma di lei non c’era traccia, pensai subito che fosse successo qualcosa a mio padre e che fosse andata da lui. Uscì in mutande e corsi verso la segheria, la sega a nastro era ancora accesa ma non c’era nessuno. Rientrai in casa presi il cellulare e inizia a chiamarli ma non ci fu risposta. Fu in quel maledetto momento che iniziai a preoccuparmi, mi vestì e corsi verso la strada che distava un centinaio di metri, notai subito che stranamente era deserta, solo una macchina in lontananza veniva verso di me. Era Rod, e il resto lo sapete già”.
“Ora tocca a me” esclamò Sam.
“Mi spiace tantissimo che ognuno di voi abbia perso una famiglia, anche se non nego di avere sempre invidiato chi ne aveva una in questo momento sono contenta di non doverne piangere la scomparsa. Sono stata abbandonata all’età di tre anni e da allora sono stata affidata ad un istituto e a varie famiglie in affidamento. I tentativi di farmi adottare fallirono uno dopo l’altro, non è facile dopo che passi tanto tempo in istituto con bambini come te, riuscire ad adattarsi alla vita in casa, alle ore passate da sola o con la babysitter, quindi puntualmente tornavo in istituto e intanto gli anni passavano, io diventavo grande, finché maggiorenne andai a vivere con una collega di lavoro. Lavoravamo come commesse in un negozio di animali, quel venerdì pomeriggio ero di riposo, avrei iniziato a lavorare il sabato mattina alle dieci, quindi decisi di passare il tempo a guardare film sdraiata sul letto in camera mia finché non mi addormentai, e li rimasi fino all’indomani quando suonò la sveglia. Al risveglio mi preoccupai perché Mary non era lì, avrebbe dovuto lavorare fino alle dieci di sera ma il suo letto non era neanche disfatto, questo non era da lei, guardai il cellulare ma non aveva neanche mandato un messaggio per avvisarmi, pensai subito che le fosse successo qualcosa di brutto, chiamai al lavoro per chiedere se fosse accaduto qualcosa ma stranamente rispondeva la segreteria. Mi vestì di corsa e usci di casa, in strada non c’era nessuno, i negozi aperti senza nessuno dentro. Andai alla polizia ma anche lì non c’era anima viva. Presa dal panico iniziai a girare senza meta finché presi la decisione di andare in città forse li, pensai, non sarà successo niente di tutto ciò, finché percorrendo la statale vidi in lontananza il profilo di un enorme torre simile a un tubo, che nei giorni prima non avevo mai visto. Poi l’unica auto per strada parcheggiata sul ciglio proprio in corrispondenza di quella strana struttura. La curiosità e il bisogno di saperne di più fece il resto, facendomi arrivare a voi”
Ora finalmente ognuno di noi poté affermare di aver posto le basi per una vera amicizia, ora sapevamo l’uno dell’altro qualcosa di più di un semplice nome. L’ultimo giro di grappa fece il suo dovere, ci addormentammo in vista di un nuovo giorno.
Racconto scritto il 27/04/2020 - 14:50
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