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Albert Voss 1944

Sono tornato in Germania alla fine del 1941.
Ero molto combattuto se restare a Seattle, dove in pratica ho sempre vissuto, o tornare a Arnsberg, dove sono nato.
Alla fine, convinto da alcuni parenti, partiti qualche tempo prima di me, e da alcuni comportamenti scorretti nei miei confronti da parte di alcuni colleghi e presunti amici, i quali, tra l'altro, non mi identificavano come uno di loro ma come “il tedesco”, ho preso la decisione di tornare.
Sono stato in diversi fronti, soprattutto nell'Europa dell'Est poi, dopo l'entrata in guerra degli americani e l'apertura del fronte occidentale, sono finito a fare l'interprete per l'esercito.
Una volta mi capitò un sergente di Seattle.
Curiosamente abitava non lontano da dove abitavo io ma non l'avevo mai incontrato prima.
Lui rimase sorpreso nel sentirmi parlare addirittura col suo stesso accento.
Cercai di ottenere qualche informazione ma non disse nulla, anzi, confidando nel fatto che gli altri presenti non capivano, o capivano poco, la lingua, incominciò a darmi del traditore, dell'infame.
Cercai di tenere i nervi saldi ma dal tipo non riuscivo a ottenere nulla.
. Come ti chiami? - chiesi al sergente.
. Phil Logan. Matricola...
. Non mi interessa la matricola. Senti Phil, forse lo stress della cattura ti ha annebbiato la mente. Sei nostro prigioniero.
. Lo so' benissimo!
. Insultarmi non ti porterà a nulla.
. Non ti dirò altro che il mio nome e il numero di matricola.
. Bene! Allora, in base alla relazione che io compilerò, tu potrai finire tra i prigionieri che potranno essere scambiati con i nostri oppure in un campo di prigionia in Polonia dove forse rimarrai fino alla fine della guerra. Posso lasciarti immaginare le condizioni.
. Con questo?
. Forse non immagini nemmeno cosa voglia dire finire in un campo di internamento in Polonia. Ti accenno un po'. Innanzitutto ti scordi di finire tra i prigionieri che verranno scambiati, poi il cibo e le condizioni di vita in generale saranno tali che sarai fortunato se a capodanno potrai mandare una lettera a casa tua... non so se mi sono spiegato?
. A dire il vero... no!
. Se nel mio rapporto dico che non vuoi collaborare e che, in base alle disposizioni datemi, non ci sono gli estremi per includerti in un discorso di scambio prigionieri... bhé direi che, in quel campo, con la guerra ancora in corso... un anno non duri mica. Non lo dico per spaventarti ma... è così! Bene... devo sentire altre 22 persone. Sono certo che tra queste, qualcuna mi dirà qualcosa. Phil, non sei indispensabile, abbiamo altri 22 tuoi commilitoni. Ho molto lavoro da fare... Buona fortuna Phil!
Faccio per andarmene. Phil resta silenzioso.
. Aspetta! - mi dice a voce bassa, quasi con vergogna.
Lo guardo, ha la testa bassa, rivolta verso il tavolo.
. Ho visto quanti prigionieri avete fatto. Vorrei pensarci un attimo.
. Phil, ho tanto lavoro da fare. Mi spiace averti incontrato in queste condizioni, mi sembri un bravo ragazzo ma... siamo in guerra e devo fare il mio lavoro.
. Aspetta... aspetta. Il nome apparirà nei rapporti?
. No. senti, se le informazioni che ci darai saranno ritenute valide sarai tra i primi ad essere scambiato.
. Come faccio ad esserne sicuro?
. Ti devi fidare. Sei in un mare di guai e, purtroppo per te, siamo noi ad avere il coltello dalla parte del manico. Ah... anche se cerchiamo di seguire la Convenzione di Ginevra, le nostre risorse, come potrai ben capire, non ci permettono di mantenere un certo standard, soprattutto nelle zone dell'Est, con i russi a due passi. Se ci dici qualcosa finisci in un campo di prigionia gestito dall'aeronautica nei dintorni di Coblenza. Non è un albergo ma è il meno peggio di tutti gli altri.
. Ok, ok. Senti da noi molti sono convinti che la guerra finirà entro natale ma io non ne sono tanto convinto. Non voglio finire in Polonia.
. Allora, so' già di che divisione sei, quindi...
. Cosa vuoi sapere?
Il ragazzo parlò, mi raccontò un mucchio di cose, la maggior parte di scarsa rilevanza militare ma che riportai comunque.
Seppi, in seguito, che fu tra le vittime di un bombardamento aereo americano.
Un cacciabombardiere colpì il mezzo che trasportava lui, ed altri prigionieri, verso il campo di prigionia.
Un po' di tempo dopo, il mio comandante mi chiese se volevo partecipare ad una missione segreta.
Chiesi di cosa si trattava, mi rispose che c'era bisogno di persone che parlassero un inglese fluente per intrufolarsi nelle linee nemiche, con mezzi e divise nemiche, e creare scompiglio.
Avevano chiamato la missione: Operazione Greif.
Il giorno fissato mi ritrovai vestito con una divisa americana in una jeep, sempre americana.
Attraversammo la linea del fronte, incontrammo quasi subito dei soldati americani.
Ci chiesero da dove stavamo arrivando, visto che più avanti c'era il fronte tedesco e rispondemmo che avevamo perso la strada dopo un attacco nemico, ci mostrammo disperati, credettero alla nostra versione e si accinsero a lasciare la postazione.
Incominciamo a rimuovere cartelli stradali e ad abbattere linee telefoniche.
Alcuni abitanti del posto ci guardarono cercando di capire cosa stessimo facendo, continuammo nella nostra opera.
Ad un certo punto la jeep fu a corto di benzina.
Vedemmo un gruppo di militari americani, chiesi loro dove potevamo trovare benzina.
Questi ci chiesero di quale reparto eravamo, cercammo di sviare le risposte ma i quattro continuavano a fare domande.
Uno di loro disse che c'erano dei sabotatori in zona.
Pare che gli abitanti del posto avessero visto dei militari americani abbattere delle linee telefoniche.
Cercammo di scherzarci un po' su questa storia ma quelli nulla, poi uno di loro sollevò il mitra e lo puntò verso di noi, a quel punto il mio camerata sparò al gruppetto che cadde a terra.
Lasciammo la jeep, oramai quasi senza benzina, e prendemmo quella dei quattro americani.
Per strada vedemmo altri soldati che avevano sentito gli spari, gli gridammo che i tedeschi erano arrivati fino a lì e avevano circondato la zona, gli dicemmo di scappare e loro scapparono, senza farsi tante domande.
Continuammo a marciare, cercando di creare il panico e danneggiare il nemico bloccandone le comunicazioni.
Ad un certo punto, però, fummo fermati ad un posto di blocco.
I tre componenti presenti al momento ci puntarono le armi contro.
. Scendete dal mezzo – disse uno di loro.
. Ci sono i tedeschi... stanno arrivando. - dissi con voce concitata.
. Scendete... ho detto!
Uscimmo dalla vettura.
. Ragazzi... avete capito cosa sta succedendo?
. Fai silenzio! Abbiamo notizia che delle spie tedesche vestite con uniformi americane...
. Senti... - cercai di ribattere ma il tipo mi bloccò subito puntandomi il mitra all'altezza del viso.
. Ora stai a sentire me... tutti voi statemi a sentire. Ci sono tedeschi vestiti con le nostre uniformi che vanno in giro in questo settore. Ne abbiamo già catturato alcuni. Come vi chiamate?
Il caporale Steiner, che aveva vissuto a Boston, riconosce nel giovane che ci stava davanti l'accento di quelle parti.
Cerca di distrarlo con lo scopo di trovare il momento buono per eliminare i tre.
. Mi chiamo Albert Trevor, seconda divisione, trentottesimo reggimento, terzo battaglione. Come te sono di Boston... sei di Boston... non è vero?
. Sentite, ho degli ordini precisi. Si, sono di Boston. Mi hai detto Trevor.
Il tipo abbassa il mitra e si avvicina al gabbiotto dove, probabilmente, c'è una linea telefonica.
Anche gli altri due, forse convinti di trovarsi davanti veramente degli americani, abbassano la guardia.
Il momento giusto è arrivato.
Facciamo fuoco sui tre che cadono a terra.
Stiamo per andarcene quando da una casa escono altri militari americani che iniziano a spararci contro.
Ne nasce un conflitto a fuoco.
Il caporale Steiner viene colpito.
Assieme agli altri due camerati, cerco di allontanarmi ma la zona è piena di soldati americani.
Ci dividiamo.
Oramai la nostra copertura è saltata.
Sento continui spari.
Corro come una lepre, sembra che non mi seguano.
Nel mio correre noto un portone socchiuso, entro dentro l'edificio.
Dopo un po' mi accorgo che una signora anziana, sicuramente la proprietaria della casa, mi sta guardando.
Mi dice qualcosa che non capisco.
Cerco di farle capire che sto cercando una persona che probabilmente è entrata nell'edifico, provo a prendere tempo e, sopratutto, a non spaventarla per evitare che dia l'allarme.
Metto via l'arma, a gesti cerco di far capire che cerco un uomo alto così.
La signora fortunatamente non sembra allarmata dalla mia presenza.
Dopo pochi minuti, sento la porta aprire.
Chiudo gli occhi.
Mi immagino entrare i soldati americani con le armi spianate.
Invece entra un esile ragazza bionda che mi fissa, poi guarda la nonna, le chiede qualcosa, sicuramente il perché sono lì.
Gli dico che stiamo cercando una persona che sembra essersi diretta verso questa zona, ma pare che dell'uomo non ci sia traccia, le dico che gli altri si sono già allontanati e che anche io stavo andando via.
La ragazza, che capiva un po' di inglese, sembra accettare la spiegazione.
La cosa importante è che non gridi e non attiri l'attenzione della pattuglia che intravedo dalla finestra.
Esco dalla casa cercando il modo di evitare la pattuglia e di rientrare integro nelle mie linee.



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Racconto scritto il 21/09/2020 - 16:52
Da Massimiliano Casula
Letta n.693 volte.
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