Prego. Prego chiudendo gli occhi e stringendo le mani l’una contro l’altra fino al punto che i miei palmi diventano bianchi come lenzuoli. La paura mi assale e continuo a pregare. Chissà se questa volta qualcuno lassù mi darà ascolto. Prego ancora ma il citofono emette quel maledetto stridulo. Spalanco di colpo gli occhi e divido le mani appoggiandole sul marmo freddo del tavolo della cucina. È lui. Speravo tanto che non venisse. Sono quasi tentata di non rispondere,di far finta di non esserci ma so che le cose andrebbero solo a peggiorare. Lui mi troverà. Mi ha sempre trovata. Il citofono mi richiama all’attenzione una seconda volta. Apro senza nemmeno rispondere. Ho le mani che mi tremano e la testa che mi gira mentre cerco di preparare il mio corpo ad un altro dolore. Sento i suoi passi sulle scale che pesano sul mio cuore come un macigno. Sono cattiva ma per un attimo spero che cadi su quella rampa e si faccia male. Ma non accade. Apro la porta con un sorriso quanto più possibile reale. Ma lui non ha quello stesso sorriso,non è felice di vedermi. Vuole solo una cosa e la otterrà: o con le buone o con le cattive e la maggior parte delle volte usa solo le seconde. “Ciao, David.”dico io cercando di controllare la paura. Lui non mi risponde. Mi sbatte spalle al muro e mi bacia. Il suo alito sa di rum e whisky e in cuor mio già so che anche oggi non sarà facile. “Ti desideravo”mi sussurra facendo scivolare una mano lungo la curva dei miei fianchi. “Lo so ed è per questo che ti aspettavo.” Cerco di essere ammaliante e dolce come piace a lui. Ma c’è sempre qualcosa che va storto nelle mie parole,qualcosa che lo fa arrabbiare e diventare una bestia. Poggia una mano sulla mia faccia e con uno spintone mi scaraventa a terra. La mia spalla sinistra attutisce il colpo ma comunque il dolore è forte perché la stessa scena è successa ieri e l’altro ieri e anche due giorni fa. “Allora perché mi hai fatto aspettare?”urla dandomi un calcio dritto nel fianco che mezzo secondo prima aveva accarezzato. Il mio respiro si ferma e mi sento soffocare. I miei occhi stanno per allagarsi ma evito che le lacrime spuntino fuori. Sarebbe solo un motivo in più per farmi picchiare. “David,mi dispiace.” “Oh,si certo. A te dispiace sempre. Volevi forse scappare?”mi chiede dandomi un altro calcio. Mi giro per terra ma subito mi pento perché riceve un calcio anche il fianco destro. “Volevi tradirmi,sgualdrina?”ho solo la forza di scuotere la testa ma sono a pancia sotto e lui non mi vede. “No!”mi sforzo di dire. La mia risposta lo fa fermare e così posso riprendere fiato. Si accovaccia accanto a me e ordina di alzarmi. Io ubbidisco per timore di farlo arrabbiare. Lui mi tira spingendomi contro il tavolo. Scosta una sedia facendola cadere rumorosamente a terra e prendendomi per la testa mi fa chinare sulla tavola. “Adesso devi farti perdonare.”mi sibila come il più velenoso dei serpenti mentre mi guarda in quella posizione. Ho il viso premuto contro il marmo e non posso rispondere. Lo sento solo armeggiare con i jeans e la mia gonna. Vorrei urlare e scappare via. Ma non ho la forza ne il coraggio. Perché speravo che cambiasse e invece non lo fa mai. La verità mi ha investito come un treno e io ora resto immobile sui binari della mia vita incapace di rialzarmi. David tentenna perché non riesce a sbottonarmi la gonna con una sola mano e allora lascia la presa sul mio capo e inizia a giocare con il suo pupazzo preferito. Io. Io che per lui non sono altro che questo. Inizialmente tutto era diverso. David era diverso. Non beveva,non fumava. Ma tradiva sua moglie. E l’aveva già tradita con altre ragazze. Io mi ero solo illusa di essere speciale. Io ero innamorata di David. Lo ero sempre stata fin dai tempi del liceo. Poi lui aveva sposato Margaret e io mi ero tirata indietro. Magari l’avessi fatto anche quella sera quando la nostra vecchia classe si incontrò. David mi riconobbe e apprezzò i miei cambiamenti. Furono subito scintille. Una passione malata mascherata da folle amore. Non ero contenta di quello che stavo facendo perché io e Margaret un tempo eravamo amiche ma continuavo perché David mi faceva sentire speciale,era dolce e delicato. Quando Margaret ci scoprì io mi sentii sporca come la cenere ma anche sollevata perché non le dovevo più mentire. Inizialmente mi stupii quando lei stessa venne a casa mia per ringraziarmi. Non capivo come una donna tradita potesse essere contenta che la sua famiglia venisse distrutta da una come me. Dopo il divorzio,con il suo grosso stipendio dimezzato,David si trasformò. All'inizio mi picchiava di rado,solo quando tornava da me furioso per qualche problema sul lavoro. Poi cominciò a bere. Si convinse che la sua storia con Margaret era finita per causa mia e da lì l’Inferno mi spalancò le porte. Il Dottor Jekyll lasciò il posto a Mr. Hide sempre più spesso. Non passava giorno senza che sentissi i fianchi dolermi o la pelle bruciare dopo i colpi subiti. Come in questo preciso momento. David mi picchia mentre fa l’amore con me. Ma si può chiamare amore tutto questo? Chiedo a me stessa sapendo bene che l’amore è un’altra cosa. Trattengo le lacrime fino alla fine quando lo sento mollare la presa dal mio sedere. Si allontana e mi dà un altro spintone. Io lo guardo dall’alto perché mi ritrovo per l’ennesima volta a terra,spinta di nuovo come un sacco della spazzatura gettato dove capita e poi sballottato nel camion dei rifiuti. È così che mi sento. Lui si veste e con un ghigno disgustato sputa sul tappeto rosso del salotto a pochi centimetri dal mio naso. Sei solo una puttana mi ripete ancora mentre si abbottona i jeans. Lo vedo allontanarsi e chiudere la porta. Solo quando sento il motore della sua auto farsi largo nella notte do libero sfogo a tutto il mio dolore.
Non so perché ci provo ancora. Non so perché questa mattina sono corsa alla polizia e ora aspetto in un ufficio dipinto di un azzurro tenue,dinanzi una scrivania piena di scartoffie. Già altre volte ho provato a denunciare David ma lui mi ha sempre trovata. E le cose non sono mai andate a migliorare. Come se il male mi seguisse come un’ombra,lui sa sempre dove sono,con chi sono, cosa faccio. La seconda volta che mi aveva sorpresa alla polizia mi aveva riportata a casa e picchiata a sangue. Non ero potuta scendere di casa per una settimana. Lui non voleva che gli altri capissero. Nelle altre stanze le voci si confondono. Un agente racconta e gli altri ridono. Ma il mio cuore piange. Non alzo gli occhi dalle mie gambe per paura di incontrare il volto di David che mi guarda cattivo e mi dice “Sei di nuovo qui?Quando torno facciamo i conti.” Rabbrividisco al solo pensiero e mi alzo. Me ne voglio andare,non voglio rischiare. Ma è una decisione presa troppo tardi. La porta dalla quale provenivano le risate si apre e una donna elegante nella sua divisa mi saluta. Io la guardo. Lei mi guarda e per un attimo non sento più nulla. Né le voci allegre né il mio cuore battere. Tutto si è fermato. Solo le mie palpebre continuano a sbattere per mettere a fuoco l’immagine. “Ma…mar..” non riesco a pronunciare nemmeno il suo nome ma Margaret sembra sorvolare. “Sapevo che prima o poi saresti venuta.” Lo sapeva?Che cosa sapeva?Sento mille occhi puntati verso di me e fra i tanti ci sono quelli di David. Lui mi punirà,questa volta mi ucciderà a furia di calci. “Siediti,Mia.”mi invita lei facendo il giro della scrivania. “No,io…non è come credi.” “So esattamente perché sei qui. Non hai nulla da spiegarmi.” La sua voce è dolce. Non è la stessa donna che venne a ringraziarmi quel giorno di tre anni fa. È diversa. Non è felice:nei suoi occhi leggo la mia stessa paura. La mia stessa incertezza. “So cosa stai provando.” Resto in piedi mentre le mi si avvicina. Sbottona la giacca blu e la sistema sullo schienale della sedia. Si sfila la camicia e si gira mostrandomi il fianco sinistro. Ha una brutta cicatrice di circa dieci centimetri. È il segno di un’ustione curata tardi. Le gambe mi cedono. Lascio cadere la borsa e mi accascio su una sedia scoppiando in lacrime. Nascondo il mio viso tremante tra le mani fredde come il ghiaccio. Sento Margaret avvicinarsi e inginocchiarsi al mio fianco. “David mi picchiò con un ferro dopo averlo riscaldato con il fuoco del camino. Non è l’unica ferita che mi porto dietro. Il mio cuore ne risente ancora. Non permettere a lui di arrivare a tanto,Mia. Non è giusto.” Non immaginavo che David fosse stato sempre così violento. Pensavo che in qualche modo,tutto quello che mi stava capitando me l’ero meritato. Invece scopro che David era sempre stato così. “Lui mi ha già trovata due volte. Mi troverà ancora e mi ucciderà.”blatero in preda al panico. Non oso immaginare cosa possa farmi se mi trovasse di nuovo alla polizia. Mi sento braccata, circondata. Mi sento in trappola come uno di quei grandi uccelli che colpito mentre stava volando in cielo viene rinchiuso in una gabbia che non gli permette di aprire nemmeno metà delle sue grandi ali. Come un’aquila reale che diventa preda di crudeli cacciatori che godono della loro conquista. Non sono stato altro per lui. Solo una conquista,una delle tante con la quale sfogare la sua orrenda follia. Solo allora mi rendo conto di quanto il nostro non sia mai stato amore, nemmeno passione. Solo un gioco,un gioco proprio di cattivo gusto. Sono così persa nella mia paura che quasi non riesco ad ascoltare Margaret. “Io ti aiuterò. Farò quello che il mio orgoglio tre anni fa mi ha impedito di fare.” “Io…io mi sono presa tuo marito.” “E questo per me è stato il più grande dei regali che il cielo potesse mandarmi. Ma sono stata un’egoista e complice dei tuoi mali perché ho taciuto e non ti ho aiutato. Ho permesso che quel mostro ti facesse tutto questo.” Per un attimo scopro i miei occhi e la vedo. È di nuovo la Margaret del liceo,quella dolce ragazzina che amava sempre legarsi i capelli in due morbide trecce e che mi riempiva il diario di dediche sdolcinate. Due amiche innamorate della stessa persona. Quella stessa persona che le aveva allontanate e che con il dolore le aveva riunite. È solo un attimo e poi vedo la Margaret adulta,una donna segnata dalla paura e dal dolore. La vedo piangere,la sento abbracciarmi e per un secondo tutti i dolori passano. La paura ci rende deboli e innocenti come bambini appena nati e proprio come bambini abbiamo bisogno di qualcuno che ci ripari da ogni pericolo finchè non siamo pronti a difenderci con le nostre mani.
Quel giorno non tornai a casa. Nemmeno la sera. Nemmeno il giorno dopo. David fu arrestato e rinchiuso in carcere solo dopo tre giorni dalla mia testimonianza. Mi aveva telefonata,mi aveva minacciata ma ero sicura che non mi avrebbe mai più trovata. Non questa volta. Non a casa di Margaret. La polizia lo trovò dinanzi la porta del mio appartamento stremato da quattro litri di vodka. Non sono tornata a casa,non in quel luogo in cui sono stata rinchiusa. Voglio respirare aria nuova e vivere come è giusto vivere aspettando il meglio. Perché il meglio tarda sempre ad arrivare ma quando lo fa ti rende felice e appagata. Ora abito con Margaret e ogni respiro è un sollievo e non più un dolore come lo era prima. Quando ero prigioniera della mia stessa vita. Non sono più rinchiusa in una gabbia: ora sono libera. Sono come un’aquila nel cielo che dopo essere sfuggita ai cacciatori può stendere le sua grandi ali e ritornare a volare.
Non so perché ci provo ancora. Non so perché questa mattina sono corsa alla polizia e ora aspetto in un ufficio dipinto di un azzurro tenue,dinanzi una scrivania piena di scartoffie. Già altre volte ho provato a denunciare David ma lui mi ha sempre trovata. E le cose non sono mai andate a migliorare. Come se il male mi seguisse come un’ombra,lui sa sempre dove sono,con chi sono, cosa faccio. La seconda volta che mi aveva sorpresa alla polizia mi aveva riportata a casa e picchiata a sangue. Non ero potuta scendere di casa per una settimana. Lui non voleva che gli altri capissero. Nelle altre stanze le voci si confondono. Un agente racconta e gli altri ridono. Ma il mio cuore piange. Non alzo gli occhi dalle mie gambe per paura di incontrare il volto di David che mi guarda cattivo e mi dice “Sei di nuovo qui?Quando torno facciamo i conti.” Rabbrividisco al solo pensiero e mi alzo. Me ne voglio andare,non voglio rischiare. Ma è una decisione presa troppo tardi. La porta dalla quale provenivano le risate si apre e una donna elegante nella sua divisa mi saluta. Io la guardo. Lei mi guarda e per un attimo non sento più nulla. Né le voci allegre né il mio cuore battere. Tutto si è fermato. Solo le mie palpebre continuano a sbattere per mettere a fuoco l’immagine. “Ma…mar..” non riesco a pronunciare nemmeno il suo nome ma Margaret sembra sorvolare. “Sapevo che prima o poi saresti venuta.” Lo sapeva?Che cosa sapeva?Sento mille occhi puntati verso di me e fra i tanti ci sono quelli di David. Lui mi punirà,questa volta mi ucciderà a furia di calci. “Siediti,Mia.”mi invita lei facendo il giro della scrivania. “No,io…non è come credi.” “So esattamente perché sei qui. Non hai nulla da spiegarmi.” La sua voce è dolce. Non è la stessa donna che venne a ringraziarmi quel giorno di tre anni fa. È diversa. Non è felice:nei suoi occhi leggo la mia stessa paura. La mia stessa incertezza. “So cosa stai provando.” Resto in piedi mentre le mi si avvicina. Sbottona la giacca blu e la sistema sullo schienale della sedia. Si sfila la camicia e si gira mostrandomi il fianco sinistro. Ha una brutta cicatrice di circa dieci centimetri. È il segno di un’ustione curata tardi. Le gambe mi cedono. Lascio cadere la borsa e mi accascio su una sedia scoppiando in lacrime. Nascondo il mio viso tremante tra le mani fredde come il ghiaccio. Sento Margaret avvicinarsi e inginocchiarsi al mio fianco. “David mi picchiò con un ferro dopo averlo riscaldato con il fuoco del camino. Non è l’unica ferita che mi porto dietro. Il mio cuore ne risente ancora. Non permettere a lui di arrivare a tanto,Mia. Non è giusto.” Non immaginavo che David fosse stato sempre così violento. Pensavo che in qualche modo,tutto quello che mi stava capitando me l’ero meritato. Invece scopro che David era sempre stato così. “Lui mi ha già trovata due volte. Mi troverà ancora e mi ucciderà.”blatero in preda al panico. Non oso immaginare cosa possa farmi se mi trovasse di nuovo alla polizia. Mi sento braccata, circondata. Mi sento in trappola come uno di quei grandi uccelli che colpito mentre stava volando in cielo viene rinchiuso in una gabbia che non gli permette di aprire nemmeno metà delle sue grandi ali. Come un’aquila reale che diventa preda di crudeli cacciatori che godono della loro conquista. Non sono stato altro per lui. Solo una conquista,una delle tante con la quale sfogare la sua orrenda follia. Solo allora mi rendo conto di quanto il nostro non sia mai stato amore, nemmeno passione. Solo un gioco,un gioco proprio di cattivo gusto. Sono così persa nella mia paura che quasi non riesco ad ascoltare Margaret. “Io ti aiuterò. Farò quello che il mio orgoglio tre anni fa mi ha impedito di fare.” “Io…io mi sono presa tuo marito.” “E questo per me è stato il più grande dei regali che il cielo potesse mandarmi. Ma sono stata un’egoista e complice dei tuoi mali perché ho taciuto e non ti ho aiutato. Ho permesso che quel mostro ti facesse tutto questo.” Per un attimo scopro i miei occhi e la vedo. È di nuovo la Margaret del liceo,quella dolce ragazzina che amava sempre legarsi i capelli in due morbide trecce e che mi riempiva il diario di dediche sdolcinate. Due amiche innamorate della stessa persona. Quella stessa persona che le aveva allontanate e che con il dolore le aveva riunite. È solo un attimo e poi vedo la Margaret adulta,una donna segnata dalla paura e dal dolore. La vedo piangere,la sento abbracciarmi e per un secondo tutti i dolori passano. La paura ci rende deboli e innocenti come bambini appena nati e proprio come bambini abbiamo bisogno di qualcuno che ci ripari da ogni pericolo finchè non siamo pronti a difenderci con le nostre mani.
Quel giorno non tornai a casa. Nemmeno la sera. Nemmeno il giorno dopo. David fu arrestato e rinchiuso in carcere solo dopo tre giorni dalla mia testimonianza. Mi aveva telefonata,mi aveva minacciata ma ero sicura che non mi avrebbe mai più trovata. Non questa volta. Non a casa di Margaret. La polizia lo trovò dinanzi la porta del mio appartamento stremato da quattro litri di vodka. Non sono tornata a casa,non in quel luogo in cui sono stata rinchiusa. Voglio respirare aria nuova e vivere come è giusto vivere aspettando il meglio. Perché il meglio tarda sempre ad arrivare ma quando lo fa ti rende felice e appagata. Ora abito con Margaret e ogni respiro è un sollievo e non più un dolore come lo era prima. Quando ero prigioniera della mia stessa vita. Non sono più rinchiusa in una gabbia: ora sono libera. Sono come un’aquila nel cielo che dopo essere sfuggita ai cacciatori può stendere le sua grandi ali e ritornare a volare.
Racconto scritto il 04/05/2014 - 13:45
Da Anna Di Maio
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