Magutt
Ho amato tanto in gioventù, a partire da mio padre. Lui si chiamava Domenico, capomastro nei cantieri edili di Monza e provincia. Da qui D. Mastro nello pseudonimo. Invece Mirko è davvero il mio nome.
Prima di entrare nella manovalanza brianzola ci fu il tempo del liceo. Bianca era gentile, e così bella. Bella come lo era nella cartellina sotto al suo banco l’acquerello che trovai sbirciando in cerca del suo nome. Era la figlia del bidello, faceva quarta ginnasio. Io prima liceo. La vedevo quando durante l’intervallo studiava seduta per terra, e mordendosi le labbra da dietro gli occhiali sembrava dire a chi passava sogghignando: voi ridete perché vi sembro diversa, io perché siete tutti uguali.
Quella mattina che si fermò a parlarmi per evitare un bullo capii che oltretutto era anche simpatica.
I miei occhi non potevano staccarsi dalle sue lentiggini. Ma ai salienti bivi della vita non c’è segnaletica… L’esperienza è il tipo di insegnante più ostico: prima ti fa l’inatteso esame, solo dopo ti spiega la lezione. Così quando, approfittando dell’ora buca, mi chiese di farle compagnia per un panino Boscaiolo al bar del Villa, o come diciamo noi dal Sciur del fungg, non pensai che i funghi si possono mangiare tutti indistintamente, ma alcuni una volta sola.
E che alcuni portano felicità ovunque vadano, altri solo quando se ne vanno.
Chissà se un giorno i suoi occhi bruni, il ricciolo appiattito sulla guancia e quel bacio al gusto di burro di cacao alla vaniglia potranno, insieme al dolore, svanire…
Scelsi di andarmene di schiena alla sua domanda: perché è immorale far l’amore a sedici anni, se a ogni età si può morire?
Poi mi ricordo di Chiara, quell’anno ero io a frequentare la quarta ginnasio. Per lei era molto facile fare amicizia con chi aveva appena conosciuto per via del suo carattere espansivo che la portava a scherzare con tutti.
Se ne stava seduta sui miei righi, sì perché a quei tempi volevo fare il poeta.
Come le scarpe cucite da un abile calzolaio del professore di greco a tutt’oggi mi calzerebbe comodamente. Improvvisamente per qualche settimana rimase dietro il banco con calata la testa. Un giorno insieme ai suoi occhi celesti in punta di pennello partì lasciandomi come un vuoto. Solo allora capii cosa volesse dire tutte le volte che amava ripetere che Van Gogh era il suo preferito anche per quel vuoto nel cognome.
Per chi non mi conosceva bene io invece sembravo introverso; in realtà mi piaceva definirmi riflessivo. Ero taciturno, ma quando intervenivo le mie osservazioni erano molto sensate.
Taciturno in fondo lo sono anche oggi.
Qualche mese fa ho ritrovato nella mia vecchia cartella di cuoio rattoppata color mandorla e frumento tutta impolverata la catenina di Fede. Sorrido ancora ripensando a noi tre insieme a rimpinzarci di panzerotti... io, lei e Luciano in prima liceo. Credo solo per un secondo di aver amato anche Luciano. In quel periodo stavo con Linda. Lei non mi parlava con le parole ma con la voce, sussurrandomi quello che per gli altri era indecifrabile. Fino a che cominciò a sentirsi accanto a me come seduta sui carboni ardenti, e Noi non è più stato indeclinabile. Eravamo le stelle interne di una nebulosa. Poi ho iniziato a distinguere a stento anche solo quelle esterne al sistema stellare. Lei e io eravamo in grado di congiungere i frammenti delle piccole cose, divenuti tasselli che non abbiamo più saputo associare.
Per mia fortuna arrivarono le vacanze estive, e arrivò Alessandra. Se fosse l’ultimo quarto di ora prima della fine, ci dicevamo, lo passeremmo stringendoci a un quarto di vino davanti a un lume, sdraiati. Le scrissi su un tovagliolo di carta che se la luna precipitando nel mare avesse sommerso tutto, avrei voluto morire fissando il segno del suo costume. Ma lei era di Pietra Ligure, e io della Brianza. Ilaria invece era della periferia di Milano. La notte le leggevo poesie. Lei cantava per me e ballava in punta di piedi. Ma pur se in Lombardia non c’è il mare, come per Ale anche per lei diventai un granello che neppure si vede.
Il mio carattere divenne più scontroso, e iniziai ad accettare con difficoltà le regole.
Vennero anni di ristrettezza economica, e mio padre mi prese con sé come magut: cassoeula, più verze che cotenna, ogni tanto la domenica e malta e cazzuola ogni santo giorno. E la sera mi addormentavo tra i riccioli di Patrizia che invadevano il cuscino. Anni fa le scrissi ad un vecchio indirizzo di una cartolina dal mare mai spedita dopo che mi disse di aver smesso di amarmi “Chissà se i sogni che fai sono belli come quello nostro…”.
L’anno del militare a Cremona frequentavo il bar di Miriam: mi era entrata nell’anima senza bussare, al modo della luna prepotentemente dalle imposte. Ma al pari delle emozioni d’improvviso uscì dalla mia vita come dal suo cappotto in morbido velluto a coste.
Ora ho una splendida famiglia, e amo la mia compagna di vita. Lei si è venuta a sedere senza chiedere sui miei giorni scipiti colmando in parte anche il vuoto di una madre che non c’è stata da bambino coi miei incubi. Ma a Bianca qualche volta ancora ci penso.
Prima di entrare nella manovalanza brianzola ci fu il tempo del liceo. Bianca era gentile, e così bella. Bella come lo era nella cartellina sotto al suo banco l’acquerello che trovai sbirciando in cerca del suo nome. Era la figlia del bidello, faceva quarta ginnasio. Io prima liceo. La vedevo quando durante l’intervallo studiava seduta per terra, e mordendosi le labbra da dietro gli occhiali sembrava dire a chi passava sogghignando: voi ridete perché vi sembro diversa, io perché siete tutti uguali.
Quella mattina che si fermò a parlarmi per evitare un bullo capii che oltretutto era anche simpatica.
I miei occhi non potevano staccarsi dalle sue lentiggini. Ma ai salienti bivi della vita non c’è segnaletica… L’esperienza è il tipo di insegnante più ostico: prima ti fa l’inatteso esame, solo dopo ti spiega la lezione. Così quando, approfittando dell’ora buca, mi chiese di farle compagnia per un panino Boscaiolo al bar del Villa, o come diciamo noi dal Sciur del fungg, non pensai che i funghi si possono mangiare tutti indistintamente, ma alcuni una volta sola.
E che alcuni portano felicità ovunque vadano, altri solo quando se ne vanno.
Chissà se un giorno i suoi occhi bruni, il ricciolo appiattito sulla guancia e quel bacio al gusto di burro di cacao alla vaniglia potranno, insieme al dolore, svanire…
Scelsi di andarmene di schiena alla sua domanda: perché è immorale far l’amore a sedici anni, se a ogni età si può morire?
Poi mi ricordo di Chiara, quell’anno ero io a frequentare la quarta ginnasio. Per lei era molto facile fare amicizia con chi aveva appena conosciuto per via del suo carattere espansivo che la portava a scherzare con tutti.
Se ne stava seduta sui miei righi, sì perché a quei tempi volevo fare il poeta.
Come le scarpe cucite da un abile calzolaio del professore di greco a tutt’oggi mi calzerebbe comodamente. Improvvisamente per qualche settimana rimase dietro il banco con calata la testa. Un giorno insieme ai suoi occhi celesti in punta di pennello partì lasciandomi come un vuoto. Solo allora capii cosa volesse dire tutte le volte che amava ripetere che Van Gogh era il suo preferito anche per quel vuoto nel cognome.
Per chi non mi conosceva bene io invece sembravo introverso; in realtà mi piaceva definirmi riflessivo. Ero taciturno, ma quando intervenivo le mie osservazioni erano molto sensate.
Taciturno in fondo lo sono anche oggi.
Qualche mese fa ho ritrovato nella mia vecchia cartella di cuoio rattoppata color mandorla e frumento tutta impolverata la catenina di Fede. Sorrido ancora ripensando a noi tre insieme a rimpinzarci di panzerotti... io, lei e Luciano in prima liceo. Credo solo per un secondo di aver amato anche Luciano. In quel periodo stavo con Linda. Lei non mi parlava con le parole ma con la voce, sussurrandomi quello che per gli altri era indecifrabile. Fino a che cominciò a sentirsi accanto a me come seduta sui carboni ardenti, e Noi non è più stato indeclinabile. Eravamo le stelle interne di una nebulosa. Poi ho iniziato a distinguere a stento anche solo quelle esterne al sistema stellare. Lei e io eravamo in grado di congiungere i frammenti delle piccole cose, divenuti tasselli che non abbiamo più saputo associare.
Per mia fortuna arrivarono le vacanze estive, e arrivò Alessandra. Se fosse l’ultimo quarto di ora prima della fine, ci dicevamo, lo passeremmo stringendoci a un quarto di vino davanti a un lume, sdraiati. Le scrissi su un tovagliolo di carta che se la luna precipitando nel mare avesse sommerso tutto, avrei voluto morire fissando il segno del suo costume. Ma lei era di Pietra Ligure, e io della Brianza. Ilaria invece era della periferia di Milano. La notte le leggevo poesie. Lei cantava per me e ballava in punta di piedi. Ma pur se in Lombardia non c’è il mare, come per Ale anche per lei diventai un granello che neppure si vede.
Il mio carattere divenne più scontroso, e iniziai ad accettare con difficoltà le regole.
Vennero anni di ristrettezza economica, e mio padre mi prese con sé come magut: cassoeula, più verze che cotenna, ogni tanto la domenica e malta e cazzuola ogni santo giorno. E la sera mi addormentavo tra i riccioli di Patrizia che invadevano il cuscino. Anni fa le scrissi ad un vecchio indirizzo di una cartolina dal mare mai spedita dopo che mi disse di aver smesso di amarmi “Chissà se i sogni che fai sono belli come quello nostro…”.
L’anno del militare a Cremona frequentavo il bar di Miriam: mi era entrata nell’anima senza bussare, al modo della luna prepotentemente dalle imposte. Ma al pari delle emozioni d’improvviso uscì dalla mia vita come dal suo cappotto in morbido velluto a coste.
Ora ho una splendida famiglia, e amo la mia compagna di vita. Lei si è venuta a sedere senza chiedere sui miei giorni scipiti colmando in parte anche il vuoto di una madre che non c’è stata da bambino coi miei incubi. Ma a Bianca qualche volta ancora ci penso.
Racconto scritto il 16/10/2020 - 18:08
Letta n.777 volte.
Voto: | su 4 votanti |
Commenti
Un racconto onesto, sincero che si legge con curiosità crescente! Il finale è rassicurante ma con una punta di nostalgia...ma i sentimenti sono così..un po' mescolati tra loro ! Molto bravo carissimo Mirko
barbara tascone 17/10/2020 - 15:22
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Grazie
Mirko D. Mastro(Poeta) 17/10/2020 - 11:50
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Chapeau Mirko. Un racconto delicato, romantico e libero. Complimenti e grazie.
Moreno Maurutto 17/10/2020 - 09:24
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Pezzi di vita dell'autore che trovo raccontati con una semplicità che cattura anche il profondo dell'anima. La leggerezza di questa tua introspezione, Mirko, non fa che dare risalto alle tue capacità di scrittore/poeta. Sedersi accanto a te e leggere il tuo scritto è come entrare nei tuoi sogni. Grazie di cuore.
Maria Luisa Bandiera 17/10/2020 - 08:17
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Oddio, sembra di leggere il racconto di un conquistatore sfortunato....sino a che qualcuno si è seduto di fianco senza chiedere nulla... Un racconto introspettivo dove la nostalgia non è raccontata a caso... c'è realmente...
Teresa Peluso 17/10/2020 - 01:17
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Ho apprezzato molto.
Affiora una sincerità con te stesso che è sinonimo di tanta introspezione.
È un racconto ma assolutamente poetico.
Grazie.
Affiora una sincerità con te stesso che è sinonimo di tanta introspezione.
È un racconto ma assolutamente poetico.
Grazie.
Mf
Michele Facchini 16/10/2020 - 22:20
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Condivido il commento di Grazia, bravo!
Anna Maria Foglia 16/10/2020 - 21:25
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Un testo che scorre da solo:
La presentazione di te stesso e poi loro che entrano in scena ed escono con leggerezza, la tua. Quel tocco delicato che tanto sa essere profondo, per arrivare al cuore.
Latin lover eh?!
La presentazione di te stesso e poi loro che entrano in scena ed escono con leggerezza, la tua. Quel tocco delicato che tanto sa essere profondo, per arrivare al cuore.
Latin lover eh?!
Grazia Giuliani 16/10/2020 - 19:24
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