Una volta stringevo le sue mani, quelle di Sofia. Premevo le sue dita tra le mie e non volevo fare altro. Le toccavo, le accarezzavo e sentivo l'attrito riscaldarci la pelle e fermare i miei movimenti, ma l'emozione non aveva freni e ci lasciavamo consumare volentieri.
Sono cresciuto senza cellulare (io lo chiamo ancora così), non ne ho mai avuto uno e con la mia età mi rifiuto di capire come si usano, che siano utili o no, so di poterne fare a meno anche se molte persone trascorrono ore guardando lo schermo tenendolo tra le mani e si arrabbiano perché disturbati dalla troppa pubblicità.
Io, invece, sono seduto a tavola e giocherello con un bicchiere; sul fondo c'è un'ultima goccia di vino e la lascio scivolare a destra, poi a sinistra, le faccio fare un cerchio, di nuovo a destra e così via. Non so perché. Mi rilassa; mi aiuta a mantenere il contatto con la realtà, a non farmi sopraffare dai pensieri, che di quelli c'è n'è parecchi. Penso che ho pagato il mutuo per la casa e posso godermi la pensione, ma se guardo attorno mi vien voglia di cambiare tutto, dipingere le pareti e comprare una cucina nuova; dato che mi piacciono le luci, mi potrei concedere una credenza moderna con i Led che cambiano colore. Non so. È tardi per pensare; sarebbe meglio dormire. Il problema è che giocherellare con questo bicchiere mi rilassa. I ricordi sono un po' sfocati visti attraverso il vetro e non fanno così male.
Quando alzavo lo sguardo, la vedevo, Sofia. Mi sorrideva perché era contenta a volte, altre mi sgridava di lasciarla in pace; succedeva che si lasciasse andare, poi fingeva di non capire cosa ci trovassi di speciale nello stare a guardarla, ma neanche io saprei dirlo eppure sono qua e sono contento di poterlo ricordare.
Non volevamo essere sdolcinati e far credere che fossimo uniti da un rapporto che altri non avevano; eravamo anzi egoisti, bisognosi di appartenerci e illuderci che non ci sarebbe stato altro dopo quel legame e quando me ne resi conto me ne disinteressai perché mi faceva sentire ugualmente completo e così era anche per lei. Ci salvava la disponibilità dell'uno verso l'altra senza chiedere niente in cambio, senza la quale non saremmo stati amanti e non ci saremmo potuti sentire corretti agli occhi della morale.
Eravamo sventurati, ma non ci importava; non dovevamo condividere niente con altre persone e avevamo scelto di essere arroganti, di non ascoltare pareri all'infuori dei nostri e che il nostro rapporto doveva trascendere il materiale, le apparenze, i luoghi comuni, le convinzioni o gli insegnamenti degli adulti.
Non ricordo quali fossero le circostanze. Nei miei ricordi sono nitidi solo i nostri corpi. Ci capitava di tenere gli occhi chiusi e restare vicini, senza fare nulla di particolare se non tenerci compagnia. Erano i nostri momenti.
Le parole non ci servivano, perché quando stavamo insieme non volevamo svelare i nostri sentimenti. Dialogavamo solo con noi stessi per dirci di fare il possibile per rallentare il tempo. Ci chiedevamo contemporaneamente, senza saperlo, quanto potesse durare e se fosse stato sempre cosi bello; dubitavamo persino di meritarcelo o di esserne all'altezza.
„Posso averne ancora un po? Non lasciarmi.“ Queste ultime frasi volevamo tanto urlarle, ma eravamo due tipi orgogliosi e speravamo che l'altro lo capisse per magia leggendolo nel pensiero.
Il brutto di quei momenti è che non hanno un modo di finire; non è previsto. Sono sempre interrotti di netto da qualcosa e si rimane spaesati come in un mondo che non si conosce o come davanti a un test che non si vuole superare. Eppure succede e si spera solo che possa tornare a essere di nuovo bello il prima possibile.
Quando dovevamo stare lontani ci sentivamo catapultati nella realtà, che non era altrettanto bella e pensavamo a quando saremmo potuti stare di nuovo insieme. Era bellissimo e tutto privo di pubblicità, ma... Quei momenti sono finiti. Ora posso solo stringere questo bicchiere, che resta freddo per quanto sfreghi le mia dita su di esso e l'emozione ha consumato ogni cosa.
Sono cresciuto senza cellulare (io lo chiamo ancora così), non ne ho mai avuto uno e con la mia età mi rifiuto di capire come si usano, che siano utili o no, so di poterne fare a meno anche se molte persone trascorrono ore guardando lo schermo tenendolo tra le mani e si arrabbiano perché disturbati dalla troppa pubblicità.
Io, invece, sono seduto a tavola e giocherello con un bicchiere; sul fondo c'è un'ultima goccia di vino e la lascio scivolare a destra, poi a sinistra, le faccio fare un cerchio, di nuovo a destra e così via. Non so perché. Mi rilassa; mi aiuta a mantenere il contatto con la realtà, a non farmi sopraffare dai pensieri, che di quelli c'è n'è parecchi. Penso che ho pagato il mutuo per la casa e posso godermi la pensione, ma se guardo attorno mi vien voglia di cambiare tutto, dipingere le pareti e comprare una cucina nuova; dato che mi piacciono le luci, mi potrei concedere una credenza moderna con i Led che cambiano colore. Non so. È tardi per pensare; sarebbe meglio dormire. Il problema è che giocherellare con questo bicchiere mi rilassa. I ricordi sono un po' sfocati visti attraverso il vetro e non fanno così male.
Quando alzavo lo sguardo, la vedevo, Sofia. Mi sorrideva perché era contenta a volte, altre mi sgridava di lasciarla in pace; succedeva che si lasciasse andare, poi fingeva di non capire cosa ci trovassi di speciale nello stare a guardarla, ma neanche io saprei dirlo eppure sono qua e sono contento di poterlo ricordare.
Non volevamo essere sdolcinati e far credere che fossimo uniti da un rapporto che altri non avevano; eravamo anzi egoisti, bisognosi di appartenerci e illuderci che non ci sarebbe stato altro dopo quel legame e quando me ne resi conto me ne disinteressai perché mi faceva sentire ugualmente completo e così era anche per lei. Ci salvava la disponibilità dell'uno verso l'altra senza chiedere niente in cambio, senza la quale non saremmo stati amanti e non ci saremmo potuti sentire corretti agli occhi della morale.
Eravamo sventurati, ma non ci importava; non dovevamo condividere niente con altre persone e avevamo scelto di essere arroganti, di non ascoltare pareri all'infuori dei nostri e che il nostro rapporto doveva trascendere il materiale, le apparenze, i luoghi comuni, le convinzioni o gli insegnamenti degli adulti.
Non ricordo quali fossero le circostanze. Nei miei ricordi sono nitidi solo i nostri corpi. Ci capitava di tenere gli occhi chiusi e restare vicini, senza fare nulla di particolare se non tenerci compagnia. Erano i nostri momenti.
Le parole non ci servivano, perché quando stavamo insieme non volevamo svelare i nostri sentimenti. Dialogavamo solo con noi stessi per dirci di fare il possibile per rallentare il tempo. Ci chiedevamo contemporaneamente, senza saperlo, quanto potesse durare e se fosse stato sempre cosi bello; dubitavamo persino di meritarcelo o di esserne all'altezza.
„Posso averne ancora un po? Non lasciarmi.“ Queste ultime frasi volevamo tanto urlarle, ma eravamo due tipi orgogliosi e speravamo che l'altro lo capisse per magia leggendolo nel pensiero.
Il brutto di quei momenti è che non hanno un modo di finire; non è previsto. Sono sempre interrotti di netto da qualcosa e si rimane spaesati come in un mondo che non si conosce o come davanti a un test che non si vuole superare. Eppure succede e si spera solo che possa tornare a essere di nuovo bello il prima possibile.
Quando dovevamo stare lontani ci sentivamo catapultati nella realtà, che non era altrettanto bella e pensavamo a quando saremmo potuti stare di nuovo insieme. Era bellissimo e tutto privo di pubblicità, ma... Quei momenti sono finiti. Ora posso solo stringere questo bicchiere, che resta freddo per quanto sfreghi le mia dita su di esso e l'emozione ha consumato ogni cosa.
Racconto scritto il 02/11/2020 - 01:55
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Commenti
Grazie, Mirko, per il commento.
Armando Alfieri 03/11/2020 - 20:47
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Ho trovato questo testo splendido, pieno di anima. E anche scritto bene.
Complimenti
Complimenti
Mirko D. Mastro(Poeta) 02/11/2020 - 17:13
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