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Pensieri che vogliono uscire (1) -Voglia d'Ignoranza

Non scrivo con l'intenzione di produrre un romanzo, una grande opera, un bestseller, non ambisco a record di vendite o riconoscimenti letterari (come mi sembra ben ovvio, d'altronde), piuttosto vorrei scrivere col puro scopo di condividere; condividere pensieri, riflessioni, discussioni, attraverso quella che è la storia più banale ma allo stesso tempo più importante per me, la mia vita.
Mi piacerebbe, attraverso i miei pensieri, dare un valore aggiunto alla mia categoria, quella dei giovani. Quei giovani che troppo spesso si sentono dire “mammoni, “scansafatiche”, “pigri”, quante volte ci viene detto che non abbiamo voglia di lavorare, quante volte personalmente ho sentito mia madre dirmi che avevo trasformato il motto in “meglio rimandare a domani quello che posso fare oggi”, tante, tante volte. Certo, l'ultima cosa che voglio fare è screditarci, quindi ci tengo a precisare che noi giovani ci opponiamo con forza a questa visione, i nostri valori li abbiamo, spesso lottiamo e occupiamo le piazze per essi, esattamente come abbiamo le nostre eccellenze in tutti i campi: da quello scientifico a quello accademico, da quello lavorativo a quello artistico. Come posso allora io dare un qualcosa in più a una classe di giovani che sembra non andar nei fatti poi tanto male, e a me come giovane innanzitutto?
Quello che vorrei aggiungere a questo miscuglio di situazioni è un pizzico di Ignoranza. Non parlo di quell'ignoranza che si mostra sotto forma di prepotenza e arroganza, no, parlo invece di quell'ignoranza genuina e pura che fin dalla notte dei tempi ci ha spinto alla curiosità. E' infatti grazie a lei che da bimbi decidiamo di scalare l'alta muraglia della culla per vedere cosa c'è oltre, così come sempre grazie a lei abbiamo il coraggio di fare il primo passo con una ragazza per la prima volta, è così pura e bella, questa sana Ignoranza che infatti abbiamo deciso di cambiarla. Tutto ciò che era voglia di sapere è diventato diritto di giudicare, il bisogno di studiare per parlare è diventato necessità di insultare per non ascoltare, l'ascoltare è diventato uno strumento per contrattaccare non per capire; abbiamo spazzato via tutto quello che ci difendeva dalla distruzione del conoscere e abbiamo scelto di alimentarlo con arroganza, violenza, ignoranza. Abbiamo scelto di uscire dal mezzo e prendere parte sempre, abbiamo scelto di tifare e non di fare, perché è proprio lì nel mezzo che cresce l'Ignoranza con la I maiuscola di cui parlavo prima, è nel dubbio che lei prolifera e diventa parte di noi. E' con la certezza e la mancanza di dialogo invece che prepotenza e arroganza vincono.
Per questi motivi se dovessi colorare quello spazio immenso che occupa l'Ignoranza nelle nostre vite lo farei con il grigio, a rappresentare tutte quelle sfumature e diversità che ci sono tra il bianco e il nero, tra una verità e l'altra.
Durante le mie giornate mi accorgo più volte che noi siamo l'immagine di quello che ci mostrano tutti i giorni, di quello che diventa normalità. Perché quale parametro può definire ai giorni d'oggi la parola normalità riferita ai nostri atteggiamenti e modi di parlare, a come ci vestiamo e in quali locali andiamo, se non nelle immagini che ci vengono mostrate tutti i giorni in televisione. Questo mare magnum di persone che chi più chi meno rispondono a quelli che evidentemente sono i nostri gusti, le nostre preferenze, i nostri parametri di scelta.
Sul piccolo schermo possiamo ammirare tutti i giorni e in tutti i momenti persone che raffigurano la nostra idea politica, la nostra preferenza musicale, la nostra preferenza alimentare sportiva artistica cinematografica...e così via, fino ad esaurire gli argomenti. E' un tema che dovrebbe responsabilizzare molto quella che è la televisione, perché troppe volte succede che per aumentare l'offerta, per puro lucro, si riduca la qualità, una cosa banale che però porta le persone non più a raffigurarsi in quello che guardano bensì a giustificarsi in quello che guardano, molto più facile e divertente tra l'altro. Non mi sorprende quindi vedere intorno a me questo clima di irrazionale violenza e divisione, incapacità di dialogo e comprensione. Per far sì che le persone si giustifichino in quello che vedono piuttosto che riconoscersi in quello che ascoltano è normale che si scelgano mezzi che parlino alla pancia delle persone piuttosto che alla testa, perché più dirette, emotive e ci assolvono da quella che è la fatica del ragionamento.
Spesso capita che abbia voglia di immergermi nel dibattito attuale: e qual è il modo migliore se non un bel programma scelto tra il nostro numeroso palinsesto che abbiamo nella nostra amica televisione? Allora dopo cena: pantofole, poltrona e gelato, fa molto ventitreenne, lo so. Fosse di giorno o la trasmettessero al pub ci abbinerei volentieri patatine e birre come allo stadio, perché in parte già sono pronto a quello a cui assisterò: ad una battaglia, non di scherma, come dovrebbe essere con colpi fulminei e stoccate eleganti, piuttosto ad una guerra tra barbari il cui scopo è solo quello di eliminare, in questo caso metaforicamente, l'avversario. Ci viene palesemente mostrato il dialogo come un momento di scontro e non di confronto, noi ci mangiamo le patatine. Non ci accorgiamo neanche che del merito della questione non se ne parla mai, si devia sempre su temi scottanti e perché no anche personali col fine di alzare i toni; tanto è quello che più vogliamo e che stavamo aspettando no? Aspettate. ho finito le patatine, corro a prenderne altre.


Casa del povero e troppe volte citato italiano medio, sig. Mario Rossi in una tipica serata seduto in pantofole sulla poltrona davanti la televisione :


-Distruggi quel fascistone!-

Crunch crunch
-Zittisci la zecca dei centri sociali, non fate
parlare l'immigrato

-Crunch crunch

-...

crunch

-Aaah che bella puntata

-Bip.


Assistiamo a quello che più ci piace, facce paonazze, decibel alti, fogli che volano, la televisione come il Colosseo 2.0. Ci lanciano pane in crosta di libertà e informazione nascondendo un impastato di puro giudizio, e noi applaudiamo, ci accontentiamo, ci sentiamo liberi.
Nella realtà non ci accorgiamo neanche che urla e incomprensione troppe volte prendono il sopravvento su quello che è il merito della questione, troppe volte...aspettate, forse no, mi sbaglio, di merito se ne è parlato e sono io che me ne sono scordato, mi sono forse distratto in un momento che giudicavo di tregua, sono sicuro però di ricordarmi tutti i cantanti preferiti dei nostri parlamentari.
Quindi quello che arrivo a chiedermi è come possa lamentarmi di una situazione che forse è semplicemente normale, magari sono io a vederla distorta, sono io a vedere qualcosa che non va; d'altronde tutte le parole forti che volano nel salotto di La7 lì rimangono, vengono dette in quel momento e non possono fare male a nessuno, magari noi non lo sappiamo ma è tutta una recita, e tutti gli ospiti hanno un copione, il tutto per rispondere a quelle che sono le richieste dell'audience. Cosa ci sarebbe di male?
C'è di male che così facendo non si fa altro che nutrire ed alimentare quell'ignoranza becera di cui parlavamo prima, di cui poi alla fine paghiamo le conseguenze, possiamo osservarlo nella nostra quotidianità.
Non si fa altro che accelerare quel processo che ad un certo punto porta tutti ad indossare un paraocchi, che fa vedere avanti ma non ai lati, quel processo che incorona te stesso a re e ti mette al centro del mondo pronto a giudicare come eretico e miscredente chiunque non la pensi allo stesso modo, chiunque non appartenga al Tuo credo. Si azzera il confronto, il dialogo e con loro l'apertura mentale che necessità a tutti per arrivare a capire qualcosa che non conosciamo, qualcosa distante da noi, per non parlare delle parole “ho sbagliato”, che sono diventate ormai più di un miraggio ma su cui ci si potrebbero scrivere poemi.
Comunque, se fosse possibile inquadrare questa situazione in un processo fatto di ingranaggi ben oliati, dove un giovane come me ha la libertà di confrontarsi e cambiare, sbagliare e scegliere, e ad un certo punto semplicemente diventare “grande” ed iniziare ad indossare il paraocchi, con altri giovani di mente aperta pronti a sostituirlo in questo che potrebbe essere un grande meccanismo sociale, non sarebbe poi così male. Giusto o sbagliato si tratterebbe di una macchina funzionante, una ruota che gira. La mia idea è che la ruota si sia fermata, i giovani freschi e ad occhi aperti crescono già con una visione unica, la propria, cresciamo a bavaglino e paraocchi. In questo è troppo facile trovare la colpa in ostacoli o impedimenti durante la discesa, la cosa difficile in realtà è mettere se stessi in discussione. Chiedersi se qualche errore lo si sia fatto in prima persona, accettare di non aver trovato e svolto correttamente il proprio ruolo all'interno di una collettività, una società, ammettere di essere stato l'ostacolo ad aver impedito la crescita, il cammino che la ruota aveva preso.
Tutto questo per me ci da grande responsabilità.
Siamo cresciuti in un mondo dove siamo tutti collegati, le distanze sono state annullate, possiamo parlare con un amico con la stessa facilità indipendentemente se si trovi accanto a noi o all'altro capo del mondo; abbiamo internet, forse il mezzo di comunicazione e informazione più grande ed ampio mai esistito, eppure non posso fare a meno di provare un certo disagio, un disagio personale. Lo stesso disagio che si ha quando si infilano le scarpe al contrario. Non insopportabile, ma evidente. Sento che siamo arrivati a scoprire il fuoco ma allo stesso tempo ci congeliamo, o ci bruciamo.
La libertà è una cosa a me cara come lo è mia madre, perché se penso e scrivo, è grazie a lei; ho sempre avuto una visione particolare della libertà, perché per me come tutte le cose belle, difficilmente ti vengono regalate. Credo che la libertà chieda un pegno di coscienza ad ognuno di noi, accettare semplicemente che avere la possibilità di fare non significa sempre dover fare. Si tratta di un punto fondamentale per me. Rinunciare a quello che può sembrare un diritto in quanto possibilità ma che spesso si traduce in sopruso. Passando 5 minuti in internet, magari su Wikipedia (grazie.), abbiamo la possibilità di approfondire i più vari temi scientifici, sociali, filosofici, chi più ne ha più ne metta, è una cosa bellissima la libertà!
Tutto ciò assume contorni meno belli quando questa conoscenza del tutto approssimativa, per quanto immediata e facile, ci fa sentire in diritto di sentirci degli esperti, dei dottori. Dottore come chi ha studiato anni quello che io ho imparato in 2 ore su infoscienzalternativa.org, che stupido deve essere, aggiungo. Eppure io più mi guardo attorno più quello che per me doveva essere un'anomalia, un attacco stesso alla libertà, ci circonda. Sono circondato da squadre e schieramenti, il gioco del tutti contro tutti. No Vax-Si vax, No Tav-Si Tav, No migranti-Si migranti, forza Roma, forza Lazio, si assume una posizione ferma con la stessa convinzione e volontà di difenderla con cui si tifa la propria squadra del cuore, anche parlando di temi a noi lontani anni luce ma a portata di click, anche parlando di umanità e dolore, di scienza e medicina, di salute e morte. Siamo tutti pronti a prender parte al marasma generale con un unico denominatore comune: zero confronto! Siamo tutti così “dottori” da sentirci in obbligo di dire tu hai torto io ho ragione, io sono bianco tu sei nero.
In tutta questa grande confusione di idee che percorrevano la mia testa c'è stato un momento in cui mi sono chiesto, ed è stato interessante come la domanda stessa fosse la risposta: che parte avesse il dubbio in questa questione. Il dubbio infatti troppe volte viene lasciato da parte, troppe volte si preferisce difendersi dietro il muro che ci dà la sicurezza. In realtà tra una idea e un'altra, tra un si è un no esiste un mare da esplorare. Un mare così grande e vasto, così blu e profondo da metterci di fronte ad una grande domanda. Chi infatti guardando questo immenso in blu, con all'orizzonte aria di tempesta prenderebbe il largo lasciando quello che è il proprio porto sicuro costruito sulla base delle proprie convinzioni? Chi lascerebbe la terra ferma per compiere un salto nel vuoto?
Troppo spesso nei nostri viaggi, sempre più rapidi e frequenti, diventa per noi importante solo la meta e non li viaggio in se, non diamo importanza a questo magnifico spostamento nello spazio e nel tempo che compiamo viaggiando, non ammiriamo tutto quello che ci può offrire il viaggio, perché abbiamo bisogno di un saldo porto in cui attraccare, siamo diventati “viaggiatori in tempesta” che vedono nella meta un posto sicuro da raggiungere, non in cui arrivare.
Questo bisogno di sentire la terra sotto ai piedi è cresciuto nel voler avere un'idea precisa di sé, con un idea precisa di sé si è sentito il diritto di avere un'idea precisa delle cose, avendo idee precise riguardo le cose, ci si sente in obbligo di giudicare. Certo, in tutto questo siamo lo specchio di quella che è la nostra società, la collettività di cui facciamo parte, di quello che ci viene raccontato tutti i giorni: si sono mostrati divisi e ci siamo divisi, ci hanno mostrato rabbia e ne siamo diventati portatori, si sono rivolti alla nostra pancia e abbiamo ascoltato con piacere, ci hanno servito più portate di ignoranza e ne siamo usciti satolli. Quindi non assumersi le proprie colpe sarebbe sconveniente e da stupidi, soprattutto per noi stessi. Dovremmo riuscire e capire insieme come vivere bene da collettività, cogliendo il fatto che il valore di un gruppo sta nelle diversità che lo compongono più che nelle somiglianze, un gruppo dove uno arriva dove l'altro non può, dove uno si completa e evolve con l'altro. Invece noi tendiamo a dividerci, sempre in età più precoce, in piccoli sottogruppi a sottolineare le diversità che ci sono vedendole come motivo di divisione, non di unione, dimenticandoci cosa vuol dire lo stesso appartenere ad un gruppo. Quindi come possiamo pensare di creare una anche se piccola collettività, un gruppo, rifiutando quello stesso principio che sta alla base dello stare insieme?
Sta crescendo dentro di noi un odio sempre più grande e pericoloso, e voglio essere egoista perché prima di dire che è pericoloso per gli altri voglio specificare che lo ritengo pericoloso perché riguarda noi, me. Ogni singola persona che fa parte di questa grande macchina che è la società. Perché proprio questo modo che abbiamo, di usare argomenti di altri come temi per dividerci ci fanno portatori di un principio che non ci appartiene ma allo stesso tempo dal quale non riusciamo a distaccarci: “divide et impera”. Lo so posso aver detto una banalità ma è una delle nostre disgrazie, ci stiamo dando la “zappa sui piedi”, proprio come gli imperi sottomettevano le varie tribù creando pretesti perché litigassero tra loro piuttosto che si unissero e si accorgessero della propria forza. Questo clima di respirabile divisione, che viviamo tutti i giorni non può far altro che essere coinvolto in quelle che sono le nostre scelte, spesso le più facili, ma forse anche le più eroiche. Infatti come giovani patrioti abbiamo scelto di impugnare le armi e di entrare nel campo di battaglia, pronti a difendere l'onore della propria corona, della propria verità, abbiamo lasciato da parte quello che è il dubbio e abbiamo preso parte, non importa quale, l'importante è il prendere parte stesso. Abbiamo scelto lo scontro intellettuale, di certo più scottante, immediato e divertente di quello che l'apparente calmo e quiete sentiero filosofico sembra abbia da offrirci. La distruzione, per noi essere deboli e carnali, è spesso più sensuale dell'istruzione, che aspetta calma che tu faccia il primo passo.


Mi sto accorgendo di osservare le situazioni che mi circondano in maniera troppo negativa, e di descrivere allo stesso tempo in maniera non degna la mia categoria, ma sento di doverlo fare, da un severo ma giusto punto di vista per me, perché vedo quelle leggi morali e quell'umanità che dovrebbero accomunarci tutti in quanto uomini, sempre più lontane da noi. Vorrei stabilire questo come il punto di partenza per un personale viaggio verso un analisi di situazioni, parlando di fatti reali che concretamente influenzano la nostra vita, il tutto raccontato attraverso esperienze mie e di altri; parallelamente vorrei scrivere di quella che per me è l'alternativa più concreta e reale che abbiamo attualmente, quella meno eroica ma più romantica, quella insomma composta da noi giovani. Noi giovani testardi e coraggiosi che ci opponiamo a regole d'odio che non ci appartengono così come proprio questo odio, servito su un piatto d'argento scegliamo di non rinnegarlo in quanto tale ma lo accogliamo, ce ne occupiamo, lo curiamo. Vogliamo accettare la mela che Eva mangiò per avviare un frutteto, partire da un qualcosa di male per fare tante cose belle, un minuscolo seme d'odio per avere tanti arbusti d'amore. Dobbiamo accettare che come natura vuole siamo il presente e saremo il futuro, siamo umani, siamo uguali, forse non siamo pronti, ma lo saremo.




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Racconto scritto il 18/12/2020 - 14:34
Da Mattia Gaudino
Letta n.624 volte.
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