La barca é colma di persone, piú di quante siano permesse per una navigazione sicura, ma nessuno se ne interessa perchè il momento delle domande e delle osservazioni é passato.
I problemi sono altri, tra cui le cause che spingono ad abbandonare il proprio paese, la fatica del camminare tutti i giorni e l'incertezza sul futuro. Si è davvero al sicuro, superato il confine? Io e mio padre siamo a bordo perché non abbiamo altro in cui credere; abbiamo dimenticato la sensazione di una promessa mantenuta e cerchiamo di farle a noi stessi: il futuro andrá meglio.
Io ho ventun anni, lui cinquantacinque. Abbiamo lasciato un villaggio in rovina a causa di un uragano che ha distrutto tutto nella gran parte della regione. Mio padre ha lasciato indietro amici che non se la sono sentita di abbandonare i luoghi in cui sono nati e cresciuti.
La corrente del fiume é forte e gli scafisti hanno difficoltá a mantenere il controllo. Non parlano tra di loro e remano con forza; si distraggono solo se mi capita di guardarli e mi sgridano per questo senza accorgersi che il fiume ci trascina con sé.
Non é il momento migliore, ma non potevamo aspettare oltre per timore che tornasse la piena. Le dighe controllano il flusso d'acqua per permettere l'irrigazione dei campi costringendoci a rinunciare alla traversata. Non abbiamo una casa e dormiamo in accampamenti di fortuna riparandoci con sacchi di plastica, non abbiamo cibo e ringraziamo chi ci aiuta con le donazioni, non abbiamo il tempo perché centinaia di persone, dopo di noi, aspettano il turno per salire in barca e sono impazienti. Lo é anche chi gestisce queste tratte. Vuole incassare soldi in cambio del passaggio e ci sono delle tabelle di marcia da rispettare. Gli affari sono affari e li se ne fanno molti. Poco distante c'é un'altra barca su cui non vengono fatti salire uomini, ma casse contenenti merce di contrabbando. Non sappiamo cosa contengano e non ci interessa. Sappiamo solo che siamo un ottimo diversivo nel caso arrivasse la polizia, coprendo il loro traffico con la nostra presenza. Aspettano che siamo noi a partire e quando sono certi che la situazione é sicura partono anche loro.
Siamo in viaggio da molto tempo. Non saprei dire quanto con precisione. Credo settimane.
La maggior parte del tragitto l'abbiamo coperto a piedi e lungo la strada ho visto per la prima volta la violenza. Eravamo in migliaia a camminare lungo l'autostrada che portava al confine dove la polizia di frontiera ci attendeva per farci disperdere. Non so se facevamo qualcosa di illegale o meno, ma incutevamo paura perché nessuno aveva idea di come gestirci. Del resto anche noi eravamo guidati dalla disperazione e non avevamo idea di dove andare. Si poteva pensare che avremmo causato disordini lungo la strada e arrivati a destinazione, ma in veritá eravamo stanchi e non avremmo avuto le forze per manifestare. La polizia che avevamo di fronte invece era ben riposata ed equipaggiata. I primi della carovana si scontrarono con i loro scudi. Nel gruppo vennero lanciati i lacrimogeni che non ci fecero vedere niente. Non ci volle molto a disperderci, ma non potevano ottenere altro, perché anche se separati continuammo a camminare. In alcuni punti vennero organizzati pullman che riportavano indietro chi avesse cambiato idea, ma furono pochi a farlo perché la maggior parte di noi non aveva un posto dove andare.
Chi viveva nei luoghi che attraversammo ci informó che i media parlavano di noi e delle condizioni in cui ci spostavamo. Cominciarono campagne di solidarietá e anche i governi dovettero cedere sulle loro politiche migratorie e quelle stesse forze dell'ordine che prima ci avevano aggredito ci consegnarono cibo e acqua in seguito.
Mio padre fu coraggioso, piú di me. Sapeva che quanto facevamo era pericoloso, ma ha visto persone partire con la speranza sul volto. Se rischiavano in cosi tanti, perché restare indietro? E lungo il percorso vedemmo aggiungersi sempre piú migranti con la stessa filosofia. Eravamo uniti perché non avevamo niente. Eravamo accomunati da un sogno che apparteneva giá a tutti e che in ogni caso avremmo condiviso volentieri.
Non manca molto all'altra sponda del fiume, solo un'altra tappa di questo estenuante cammino.
Possa la fortuna continuare a guidarci.
I problemi sono altri, tra cui le cause che spingono ad abbandonare il proprio paese, la fatica del camminare tutti i giorni e l'incertezza sul futuro. Si è davvero al sicuro, superato il confine? Io e mio padre siamo a bordo perché non abbiamo altro in cui credere; abbiamo dimenticato la sensazione di una promessa mantenuta e cerchiamo di farle a noi stessi: il futuro andrá meglio.
Io ho ventun anni, lui cinquantacinque. Abbiamo lasciato un villaggio in rovina a causa di un uragano che ha distrutto tutto nella gran parte della regione. Mio padre ha lasciato indietro amici che non se la sono sentita di abbandonare i luoghi in cui sono nati e cresciuti.
La corrente del fiume é forte e gli scafisti hanno difficoltá a mantenere il controllo. Non parlano tra di loro e remano con forza; si distraggono solo se mi capita di guardarli e mi sgridano per questo senza accorgersi che il fiume ci trascina con sé.
Non é il momento migliore, ma non potevamo aspettare oltre per timore che tornasse la piena. Le dighe controllano il flusso d'acqua per permettere l'irrigazione dei campi costringendoci a rinunciare alla traversata. Non abbiamo una casa e dormiamo in accampamenti di fortuna riparandoci con sacchi di plastica, non abbiamo cibo e ringraziamo chi ci aiuta con le donazioni, non abbiamo il tempo perché centinaia di persone, dopo di noi, aspettano il turno per salire in barca e sono impazienti. Lo é anche chi gestisce queste tratte. Vuole incassare soldi in cambio del passaggio e ci sono delle tabelle di marcia da rispettare. Gli affari sono affari e li se ne fanno molti. Poco distante c'é un'altra barca su cui non vengono fatti salire uomini, ma casse contenenti merce di contrabbando. Non sappiamo cosa contengano e non ci interessa. Sappiamo solo che siamo un ottimo diversivo nel caso arrivasse la polizia, coprendo il loro traffico con la nostra presenza. Aspettano che siamo noi a partire e quando sono certi che la situazione é sicura partono anche loro.
Siamo in viaggio da molto tempo. Non saprei dire quanto con precisione. Credo settimane.
La maggior parte del tragitto l'abbiamo coperto a piedi e lungo la strada ho visto per la prima volta la violenza. Eravamo in migliaia a camminare lungo l'autostrada che portava al confine dove la polizia di frontiera ci attendeva per farci disperdere. Non so se facevamo qualcosa di illegale o meno, ma incutevamo paura perché nessuno aveva idea di come gestirci. Del resto anche noi eravamo guidati dalla disperazione e non avevamo idea di dove andare. Si poteva pensare che avremmo causato disordini lungo la strada e arrivati a destinazione, ma in veritá eravamo stanchi e non avremmo avuto le forze per manifestare. La polizia che avevamo di fronte invece era ben riposata ed equipaggiata. I primi della carovana si scontrarono con i loro scudi. Nel gruppo vennero lanciati i lacrimogeni che non ci fecero vedere niente. Non ci volle molto a disperderci, ma non potevano ottenere altro, perché anche se separati continuammo a camminare. In alcuni punti vennero organizzati pullman che riportavano indietro chi avesse cambiato idea, ma furono pochi a farlo perché la maggior parte di noi non aveva un posto dove andare.
Chi viveva nei luoghi che attraversammo ci informó che i media parlavano di noi e delle condizioni in cui ci spostavamo. Cominciarono campagne di solidarietá e anche i governi dovettero cedere sulle loro politiche migratorie e quelle stesse forze dell'ordine che prima ci avevano aggredito ci consegnarono cibo e acqua in seguito.
Mio padre fu coraggioso, piú di me. Sapeva che quanto facevamo era pericoloso, ma ha visto persone partire con la speranza sul volto. Se rischiavano in cosi tanti, perché restare indietro? E lungo il percorso vedemmo aggiungersi sempre piú migranti con la stessa filosofia. Eravamo uniti perché non avevamo niente. Eravamo accomunati da un sogno che apparteneva giá a tutti e che in ogni caso avremmo condiviso volentieri.
Non manca molto all'altra sponda del fiume, solo un'altra tappa di questo estenuante cammino.
Possa la fortuna continuare a guidarci.
Racconto scritto il 29/03/2021 - 16:03
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