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NON E' MAI TROPPO TARDI

Luca uscì sbattendo la porta. Era arrabbiato, non tanto con sua moglie quanto con se stesso.
Tutte le volte che qualcosa non andava per il verso giusto o meglio come voleva sua moglie, lei gli si scagliava contro come una furia e a lui non rimaneva che subire le sue decisioni,
Ogni volta che accadeva, era sempre la stessa storia: per non “traumatizzare” il figlio, come diceva lei, bisognava non farsi vedere litigare di fronte a lui e Luca che amava molto suo figlio cercava di contenersi e quando proprio non ce la faceva preferiva uscire a fare un giro dell’isolato e calmare così i suoi bollenti spiriti.
Ormai erano sposati da dieci anni, tanti, forse troppi per come stavano andando le cose.
Dopo alcuni anni di tentativi, erano finalmente riusciti ad avere un figlio, Andrea, ormai di circa sette anni.
Neanche la felicità della nascita del figlio era riuscita a mitigare il carattere di sua moglie che voleva essere sempre al centro dell’attenzione e non perdeva mai occasione di mortificarlo.
Non c’era cena con gli amici, incontri con i familiari e colleghi che Franca, la moglie, non perdesse l’occasione di metterlo in ridicolo o di sminuire la sua importanza agli occhi degli altri.
Avrebbe voluto ogni volta urlare, dirle di farla finita, di smetterla, ma una volta che aveva ribattuto alle sue critiche, ne era nata una specie di tragedia greca e lei era diventata la vittima di un uomo violento e arrogante.
Da allora Luca aveva cercato di tenersi sempre da parte, di evitare i conflitti in pubblico con la moglie, con la suocera e a volte anche con la sorella della moglie che s’intrometteva nei loro discorsi.
Il centro dell’attenzione naturalmente per tutte era Andrea e le tre donne, mamma, nonna e zia, se lo trastullavano come meglio credevano senza tener conto che quello era anche suo figlio.
Andrea era cresciuto viziato e maleducato, aveva sempre atteggiamenti provocatori con tutti, ma soprattutto con lui, il padre, che avrebbe voluto invece un figlio educato e rispettoso, come del resto era sempre stato lui con i suoi genitori, ma anche a scuola con i suoi insegnanti e con i suoi compagni.
L’ultima era stata troppo grossa e per questo si era arrabbiato.
Andrea si era comportato male a scuola, aveva picchiato un compagno e, richiamato dal maestro, gli aveva risposto con brutte parole e il maestro giustamente aveva mandato a chiamare la famiglia o meglio il padre per dare un segno più tangibile alla punizione, ma non aveva fatto i conti con la madre che invece era indignata nei confronti del maestro che si era permesso di "incolpare” il figlio che, invece, era stato provocato dal compagno.
Luca camminava silenzioso sul marciapiede, la testa bassa, preso dai suoi pensieri.
“Ho sbagliato tutto” questo pensiero gli balenò improvviso e un sacco di perché si affollarono nella sua mente.
Si chiedeva dove avesse sbagliato, perché fossero arrivati a quel punto, perché non potesse più vedersi in quella casa, perché non sopportasse più neanche suo figlio, pur amandolo più di se stesso.
Ed ecco un secondo pensiero si affacciò nella sua mente:
“Sono stato troppo accondiscendente con mia moglie e con tutti. Mi sono chiuso in me stesso ogni giorno di più. Ho cercato di non pestare i piedi a nessuno, ho cercato di farmi piccolo piccolo, ho cercato di rendermi invisibile agli occhi di tutti per il quieto vivere, per non avere conflitti con gli altri, per evitare di litigare, per cercare di mantenere unita la famiglia. Ho sbagliato tutto!”.
Affranto per la scoperta si accasciò su di una panchina lungo il marciapiede con la testa fra le mani e rimase così immobile per un tempo interminabile o almeno così le era sembrato.
Poi, a un certo punto, si accorse di non essere più solo, accanto a lui si era seduto un giovane, poco più di un ragazzo.
In un primo momento ebbe paura e un tremito lo percorse tutto ed era pronto al peggio.
Si chiedeva che cosa volesse da lui quel giovane.
Forse voleva derubarlo, picchiarlo, deriderlo, all’inizio, infatti, gli era sembrato pericoloso, violento, minaccioso, poi improvvisamente le apparve diverso, gli sembrò triste affranto e disperato.
Luca ebbe allora compassione di quel ragazzo e vinse subito il suo istinto di alzarsi e di allontanarsi velocemente, anzi riprese coraggio e abbassò la difesa. Con voce pacata si rivolse al giovane:
“Che hai, hai bisogno di aiuto? Ti senti male? Devo chiamare i tuoi genitori?”
Il giovane non rispondeva e Luca, rispettando il suo silenzio, evitava di sollecitarlo troppo e cercava invece di tranquillizzarlo come meglio poteva.
Poi il giovane con una voce troncata dal pianto gli disse:
“No, non posso chiamare i miei genitori, non vivo più con loro, ognuno ha la sua vita, hanno altre famiglie, hanno altri figli e non pensano più ormai da anni a me.”
“Che dici, non è possibile! I genitori amano sempre i propri figli, qualsiasi cosa accada nella vita. Credimi anch’io ho un figlio, è più piccolo di te, ma io per lui darei anche la vita!”
Il giovane lo guardò un po’ strano, poi continuò:
“Sai, sono rimasto senza soldi, non ho più il cellulare perché l’ho venduto, mi ero avvicinato a te perché ti volevo derubare, ti avevo visto distratto e per me sarebbe stato un gioco da ragazzi sorprenderti e derubarti. Mi chiedo perché non l’abbia fatto. Mi sono seduto accanto a te e mi è sembrato che tu mi stessi aspettando, non so, è stata una cosa strana.”
“Non c’è niente di strano, sei un bravo ragazzo, non è questa la vita per te. Tieni, ho in tasca 50 euro, prendili, vedi di farti sentire da tuo padre, lui saprà come aiutarti.”
Il ragazzo imbarazzato voleva evitare di accettare quei soldi, ma dietro l’insistenza di Luca, a occhi bassi, li prese e se li mise in tasca, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime.
Luca si chiese chissà quanto tempo era trascorso dall’ultima volta che quel ragazzo avesse pianto e istintivamente gli mise una mano sulla spalla per fargli sentire tutto il suo calore.
Il ragazzo, sempre a testa bassa e in silenzio, si alzò e, senza dire altro, si mise a camminare sempre più velocemente, ma prima di sparire nel buio si voltò e con la mano alzata salutò ancora una volta Luca e scomparve.
Luca si sentiva confuso da quell’incontro, poi tutto gli fu chiaro.
La sua mente era sgombra da ogni pensiero e da ogni dubbio, ormai sapeva cosa doveva fare.
Doveva smettere di essere l’uomo invisibile della sua famiglia. Era lui “l’uomo” di famiglia e come tale doveva assumersi le proprie responsabilità.
Si alzò deciso dalla panchina e a passi veloci ritornò verso casa.
Suonò il campanello, ripetutamente, finché sua moglie con aria scocciata non gli venne ad aprire la porta.
“Ma che fai, sei impazzito! Mi hai fatto alzare da letto apposta quando potevi aprire con le chiavi. Perché non te ne sei stato ancora fuori, invece di rientrare così presto, almeno avrei dormito e non ti avrei sentito e non avrei così aperto la porta”.
Luca si sentiva calmo come non si era mai sentito, una calma che gli dava una forza interiore ed una determinazione che aveva dentro di sé da sempre, ma che aveva sempre creduto di dover reprimere per il quieto vivere.
“Basta, sono stanco delle tue scenate e dei tuoi pretesti. Da ora in poi in questa casa si farà come dico io e soprattutto occorrerà prendere delle decisioni per Andrea, in modo che possa crescere educato e per bene.
Domattina andrò io ad accompagnare Andrea a scuola così parlerò direttamente con il maestro e con il preside. E’ impensabile che nostro figlio, di appena sette anni, sia un piccolo delinquente in giro per il mondo”.
Franca stava strabuzzando gli occhi, non riusciva a capire cosa fosse successo a suo marito, ma la sua determinazione la stava spiazzando, tanto che non le stava venendo in mente niente da obiettare.
Luca salì velocemente le scale senza dare troppa importanza alla moglie che era ancora davanti alla porta inebetita.
Passò di fronte alla cameretta di Andrea, entrò, si avvicinò al lettino e sfiorò con un bacio la fronte del figlio.
Un altro pensiero le balenò nella mente: < Andrea non sarebbe mai diventato come quel giovane incontrato sulla panchina>



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Racconto scritto il 25/06/2014 - 00:50
Da Roberta Sbrana
Letta n.1190 volte.
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