LA VIA DEI CAMPI - Parte 4 di 4
Una zona, un volto – ma senza avere in mano nulla di concreto, manco un cognome da recuperare al citofono. Ritornò sui suoi passi, rifacendoli per altri 2 venerdì di fila senza più ritrovarlo. Ormai era diventata un'ossessione per Peter – lo stalking – seppur in “buona fede”, come si scusava sempre, all'Innominato. Il terzo weekend, di sabato però, girando a vuoto sbronzo dopo essere stato al solito bar, ritrovò il ragazzo “nerd” (-che però sembrava l'attore di Twilight!) in un giardinetto fuori P., non lontano da dove l'aveva seguito la prima volta. Se ne stava tutto solo seduto sopra lo schienale di una panchina di legno, in mezzo agli alberi. Peter, vedendolo, appoggiò la bicicletta, e balzò di albero in albero per avvicinarsi a lui. “Tu valli a capire 'sti ragazzini...” si ripeté, sorpreso nel vederlo nuovamente in giro tutto solo, questa volta alle 2 del mattino. Non sapeva cosa fare, ma non volle sprecarsi un'altra occasione – e quando sarebbe capitata ancora? Quando si sarebbe fidanzato? O forse una volta fatta la patente? O quando sarebbe cresciuto – e magari non come Peter? No, doveva – agire – ora. Si avvicinò allora al ragazzo impegnato a gesticolare col telefonino per sedersi sulla panchina di fianco. “Ehi, ciao ragazzo, come va? Anche tu qui – posso sedermi, non ti dispiace vero?” gli chiese in tutta leggerezza, probabilmente grazie al sostegno dell'alcool. Il ragazzo annuì, semplicemente. “Certo che questi sabato sera mettono una tale malinconia, ma non è male tutto sommato. Senti che silenzio e pace. Il vento fresco e leggero sul viso, le stelle in cielo – dell'ottimo cubano, vuoi?” così glielo offrì, presentandosi. Due cuori solitari di due generazioni diverse – lui del 90, e il ragazzino del 2004, uniti nel cuore della notte in un occidente nell'impero dell'oblìo. Parlarono a lungo, certo il ragazzino non con poche difficoltà, ma Peter gli diede tutto il tempo e lo – spazio – per esprimersi. Ed era piacevole per entrambi confrontarsi. Non si è saputo, e non seppe mai, Peter, il perché fosse lì tutto solo a quell'ora (-un ipotetico “after”?), così come quel venerdì che guardò dentro il bar alla ricerca di chissà chi – ma a Peter non importò, o per il momento gli sfuggì, preferendo godersi la buona compagnia di uno sconosciuto. Era tanto per lui – ma lo rivide più, riprovando negli stessi luoghi e in tanti altri, a orari diversi della notte. Niente. Quel momento voleva fosse per un'eternità, e si maledì. Incontrò nuovamente l'Innominato per spiegarglielo, che pareva in preda al delirio, ben oltre la paranoia. Assieme a lui, ripercorse tutte le vie del pedinamento e chiese più volte, in collera, perché non fosse lì questo ragazzo, perché non riuscivano a trovarlo, che fine avesse fatto. Domande che certamente l'Innominato non poteva rispondere al povero Peter, vedendolo agitato e inginocchiato a lui, piangendo. Era il suo solito inseguire fantasmi a conciarlo così – ma la verità è che Lui era un fantasma, perlopiù vestito di bianco. E' solo che non se ne accorgeva. Ciascuno viveva di vita propria, con le proprie strade, le proprie vie, il proprio – Centro – e lui, abbandonato a se stesso, lo Cercava disperatamente inseguendo gli altri. Matti, giullari, attori teatrali – loro la sanno sempre lunga sulla vita. Così l'Innominato, sempre più severo, rimproverò Peter per la sua esuberanza, quell'ossessione di ricerca continua, di – fame – e comunicazione non richiesta e impertinente a tutto e tutti. Eppure fare Arte significava qualcosa, trasmettere qualcosa seppur indirettamente e timidamente non era un reato, così come Cercare Amici non sarebbe mai stato tempo perso. Tutto quello che di più umano ci fosse sarebbe stata solamente una condanna. Perché? Peter, sempre in ginocchio e più disperato che mai, voleva spiegazioni, ma l'Innominato si limitò a dire che stava perdendo tempo e la vita intanto passava o meglio – si accorciava, e quello che faceva lasciava a malapena una misera traccia del suo transito terrestre – e non ne valeva la pena, consigliandosi di andarsene da tutti come fanno i fantasmi quando hanno finito di tormentare i vivi, rifacendosi una vita nuova – con una nuova identità, altre abitudini e lontano dal loro paesino natale, dove ora si era o meglio, l'avevano fatto conoscere a tutti, parlandone naturalmente male. Peter non era che un bambino petulante che si lamenta delle ingiustizie della vita. Ma la vita non è giusta, e lo sapeva bene. La vita gioca sporco. Lui voleva essere rassicurato, ma l'Innominato voleva che fosse lui rassicurato, da Peter, chiedendogli in che guai l'avesse cacciato se avrebbero continuato in questo modo – o quanta strada avessero ancora fatto dopo il punto di non ritorno a cui era, cioè erano già arrivati.
Chiese ancora i perché della vita, ma più che i perché lui voleva una Vita in sé. Domandava e pretendeva risposte sui ragazzi che non lo volevano più rivedere, ragazzi che sparivano dalla circolazione e si ritrovavano anni dopo ricchi e famosi all'estero, ragazzi che incrociava e poi non rivedeva più, ragazzi che avevano strani giri, poteri o più semplicemente... Amici, con la quale incontrarsi ben nascosti fra le loro Verità. Ragazzi, ragazzi e ancora ragazzi. Quello che non era mai stato Peter. Il mito della gioventù – che per (s-)fortuna non ritorna più. Ma, da solitario, non l'aveva mai – vissuto – e lo esigeva all'Innominato che, contrariamente a Peter, l'aveva non perduto, bensì già passato, già vissuto – superato, essendone coetaneo. E vivendolo, questo – mito – ne aveva ricavato dalle sue radici delle ottime e proficue Amicizie, con un sacco di conoscenze, giri e tante buone collaborazioni che l'hanno fatto diventare quello che oggi era, cioè E', a differenza di Peter che era rimasto esattamente quello di 15 anni fa, senza ricavarci nulla – se non guai. Anche lui voleva crescere, diventare grande, pieno di sé ma anche di altri, avere una casa tutta sua, fare feste, inviti e grigliate come quelle che faceva l'Innominato, che poi era niente di meno che Francesco, suo vecchio compagno di scuola e amico di generazione – ma non aveva ancora la casa, che avrebbe ereditato da un nonnino conosciuto sulla via dei campi, senza parenti a cui lasciare la piccola proprietà e con la quale condivideva con Peter i suoi momenti di solitudine – il piacere della rinuncia dalla civiltà – con la coltivazione dell'orto, lamentandosi del giro di droga e del via-vai di ragazzini che l'acquistavano in quella casetta andata a fuoco passando nei suoi campi. E non aveva ancora Amici con la quale poter festeggiare qualunque cosa avesse programmato. L'universo era solo nella sua mente. Fuori passava un tempo di cui il povero ragazzo ne era un testimone poco affidabile, dato che viveva altre leggi, altre dimensioni, altre vite. Però il tempo, reale o meno, è come un nastro, un rullo, una bobina come quella dei film che lo stesso Peter, da bravo cinefilo o proprio regista, stava dirigendo, e che non era ancora finito, affatto: c'era un altro pezzo di nastro davanti a lui e che doveva continuare a registrare ma, dati i tempi frenetici e i costi, cioè i – Sacrifici – a cui era soggetto, accorciare – e accorciare più in fretta possibile.
Un'altra primavera gli si presentò a Peter, o vagamente lo sarebbe stata. Ma era autunno adesso, foglie dorate gocciolavano giù. Nessuna ape, nessuna farfalla che volava di fiore in fiore. Sarebbe stato un lungo inverno per Peter. Nel parchetto le mamme facevano dondolare i propri figli sulle altalene, alcune invece stavano sedute a due a due puntando di tanto in tanto un occhio ai doni del Creatore vedendoli saltellare sull'erba puntando al cielo, liberi e spensierati. Peter aspettava l'Innominato, come la prima volta, ma non sarebbe mai più arrivato – passato oltre. Lui invece incatenato e tormentato dal fatto di non aver conseguito nessuna solida Amicizia. Si sa che le cose belle accadono quando meno te le aspetti. Successe anche a Peter, sdraiato sulla panchina con una gamba sullo schienale a implorare il Cielo, mentre lo ammirava, di un Miracolo. E qualcuno lo chiamò da poco lontano: “Ehi tu!” era un ragazzino di Montenegro classe 2005. Si presentò a Peter lamentandosi di certi ragazzacci poco più grandi di lui che lasciavano bottiglie di birre e sacchetti di patatine sui tavoli di legno o peggio per terra, rovinando la bellezza di quel giardinetto dove stava crescendo coi suoi anni. Già gli era salito il “nazismo” a Peter, sapendo che era straniero questo ragazzino, ma poi vedendo la sua innocenza, la scioltezza nonché la semplicità con cui attaccò bottone, prendendo come pretesto la trascuranza di quelli poco più grandi di lui che magari lo stesso Peter conosceva anche e con la quale aveva pure un conto in sospeso, si lasciò andare allontanando la sua parte arrogante ed egoista invitandolo a chiacchierare un po' con lui sulla panchina. Era il presunto segnale da parte dell'Universo ad una nuova avventura, che poi fu – l'eredità – che gli lasciò l'Innominato al suo caro vecchio Amico.
Chiese ancora i perché della vita, ma più che i perché lui voleva una Vita in sé. Domandava e pretendeva risposte sui ragazzi che non lo volevano più rivedere, ragazzi che sparivano dalla circolazione e si ritrovavano anni dopo ricchi e famosi all'estero, ragazzi che incrociava e poi non rivedeva più, ragazzi che avevano strani giri, poteri o più semplicemente... Amici, con la quale incontrarsi ben nascosti fra le loro Verità. Ragazzi, ragazzi e ancora ragazzi. Quello che non era mai stato Peter. Il mito della gioventù – che per (s-)fortuna non ritorna più. Ma, da solitario, non l'aveva mai – vissuto – e lo esigeva all'Innominato che, contrariamente a Peter, l'aveva non perduto, bensì già passato, già vissuto – superato, essendone coetaneo. E vivendolo, questo – mito – ne aveva ricavato dalle sue radici delle ottime e proficue Amicizie, con un sacco di conoscenze, giri e tante buone collaborazioni che l'hanno fatto diventare quello che oggi era, cioè E', a differenza di Peter che era rimasto esattamente quello di 15 anni fa, senza ricavarci nulla – se non guai. Anche lui voleva crescere, diventare grande, pieno di sé ma anche di altri, avere una casa tutta sua, fare feste, inviti e grigliate come quelle che faceva l'Innominato, che poi era niente di meno che Francesco, suo vecchio compagno di scuola e amico di generazione – ma non aveva ancora la casa, che avrebbe ereditato da un nonnino conosciuto sulla via dei campi, senza parenti a cui lasciare la piccola proprietà e con la quale condivideva con Peter i suoi momenti di solitudine – il piacere della rinuncia dalla civiltà – con la coltivazione dell'orto, lamentandosi del giro di droga e del via-vai di ragazzini che l'acquistavano in quella casetta andata a fuoco passando nei suoi campi. E non aveva ancora Amici con la quale poter festeggiare qualunque cosa avesse programmato. L'universo era solo nella sua mente. Fuori passava un tempo di cui il povero ragazzo ne era un testimone poco affidabile, dato che viveva altre leggi, altre dimensioni, altre vite. Però il tempo, reale o meno, è come un nastro, un rullo, una bobina come quella dei film che lo stesso Peter, da bravo cinefilo o proprio regista, stava dirigendo, e che non era ancora finito, affatto: c'era un altro pezzo di nastro davanti a lui e che doveva continuare a registrare ma, dati i tempi frenetici e i costi, cioè i – Sacrifici – a cui era soggetto, accorciare – e accorciare più in fretta possibile.
Un'altra primavera gli si presentò a Peter, o vagamente lo sarebbe stata. Ma era autunno adesso, foglie dorate gocciolavano giù. Nessuna ape, nessuna farfalla che volava di fiore in fiore. Sarebbe stato un lungo inverno per Peter. Nel parchetto le mamme facevano dondolare i propri figli sulle altalene, alcune invece stavano sedute a due a due puntando di tanto in tanto un occhio ai doni del Creatore vedendoli saltellare sull'erba puntando al cielo, liberi e spensierati. Peter aspettava l'Innominato, come la prima volta, ma non sarebbe mai più arrivato – passato oltre. Lui invece incatenato e tormentato dal fatto di non aver conseguito nessuna solida Amicizia. Si sa che le cose belle accadono quando meno te le aspetti. Successe anche a Peter, sdraiato sulla panchina con una gamba sullo schienale a implorare il Cielo, mentre lo ammirava, di un Miracolo. E qualcuno lo chiamò da poco lontano: “Ehi tu!” era un ragazzino di Montenegro classe 2005. Si presentò a Peter lamentandosi di certi ragazzacci poco più grandi di lui che lasciavano bottiglie di birre e sacchetti di patatine sui tavoli di legno o peggio per terra, rovinando la bellezza di quel giardinetto dove stava crescendo coi suoi anni. Già gli era salito il “nazismo” a Peter, sapendo che era straniero questo ragazzino, ma poi vedendo la sua innocenza, la scioltezza nonché la semplicità con cui attaccò bottone, prendendo come pretesto la trascuranza di quelli poco più grandi di lui che magari lo stesso Peter conosceva anche e con la quale aveva pure un conto in sospeso, si lasciò andare allontanando la sua parte arrogante ed egoista invitandolo a chiacchierare un po' con lui sulla panchina. Era il presunto segnale da parte dell'Universo ad una nuova avventura, che poi fu – l'eredità – che gli lasciò l'Innominato al suo caro vecchio Amico.
Racconto scritto il 10/05/2022 - 18:38
Da Pietro Valli
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