AIUTAMI A ESSERE FELICE (riproposto)
“Aiutami a essere felice”, sembrava volesse dire, mentre mi guardava con quei suoi grandi occhi da micio spaurito.
Conobbi Sara quando aveva sedici anni e frequentava la quarta classe di un istituto tecnico commerciale della mia città; le lezioni erano iniziate da un mese e mezzo e a fine ottobre mi fu assegnato l’incarico come sua insegnante di sostegno. Quell’anno l’Ufficio scolastico era in ritardo nell’assunzione dei docenti precari, capitava spesso e oramai vi ero abituata.
Sin da piccola a Sara era stata diagnosticata una patologia genetica che comportava, oltre varie problematiche di natura fisica, anche un lieve deficit intellettivo, causandole ritardi nello sviluppo cognitivo. I genitori, pur consapevoli, sembravano non voler accettare del tutto la situazione.
Desideravano che la ragazza seguisse le lezioni al pari dei compagni, con lo stesso impegno e gli stessi tempi, sperando che potesse diplomarsi come i suoi coetanei; i docenti si erano resi conto dell’enorme sforzo emotivo di Sara nel mantenere i “normali” standard scolastici, pertanto proponevano alla famiglia una programmazione individualizzata e semplificata, senza però ottenere da loro il consenso. Così i suoi insegnanti si abituarono a considerarla al pari degli altri. Lei però non era come gli altri, aveva capacità ed abilità “diverse” dagli altri.
In un nebbioso mattino di ottobre entrai per la prima volta nella sua classe. Dopo le presentazioni, la collega di italiano mi indicò dove era seduta Sara. La ragazza mi fissò per alcuni secondi ed io fui pervasa da un fremito di emozione, come spesso accade quando conosco per la prima volta i miei alunni. Il giorno prima avevo letto nel fascicolo in segreteria la diagnosi della patologia, ma sapevo che quelle fredde descrizioni non rappresentavano la persona con la sua fisicità, le sue emozioni, i suoi desideri.
Mi avvicinai al banco salutandola e lei ricambiò svogliatamente.
“Posso?”, le chiesi gentilmente, indicando la sedia accanto dove non c’era nessuno.
“Prego, faccia pure”, rispose Sara senza troppo entusiasmo e volgendo lo sguardo altrove, mentre si lisciava i lunghi capelli ramati.
Intanto alla cattedra l’insegnante illustrava la poetica del Foscolo; né io né Sara vi prestavamo attenzione, impegnate a studiarci.
Da quando frequento le scuole ho capito l’importanza dei primi attimi di conoscenza, dove l’adulto si gioca tutto, il rapporto con l’allievo, la sua credibilità, ma soprattutto la riuscita del suo intervento educativo ed in quel frangente l'insegnante scrupoloso compie uno sforzo emotivo non indifferente.
Quella mattinata trascorse in un clima di poche parole, lei che mi guardava di sottecchi, io che le sorridevo di tanto in tanto come a tranquillizzarla, mentre osservavo lo zaino rosa ai piedi del banco, con ciondoli e cuori disegnati a tempera, da cui faceva capolino un piccolo coniglio di peluche.
Il secondo giorno Sara fu chiara, me lo disse senza preamboli, quasi a volersi scusare per il suo atteggiamento ostile. “Non mi piace la scuola e poche volte ho avuto un buon rapporto con gli insegnanti di sostegno”.
Rimasi abbastanza spiazzata, ma apprezzai la sincerità. Capii di avere dinanzi un muro da abbattere poco a poco, senza garanzia di riuscita e che dovevo andarci con i piedi di piombo. Dopo un po' la ragazza, esaurita la sua minima capacità di concentrazione, cominciava ad osservare fuori dalla finestra, con lo sguardo assorto. A Sara piaceva sedersi in quel lato dell’aula, da cui poteva scorgere il cielo e i tetti delle case; si estraniava da tutto ed assumeva un’espressione rilassata.
Ogni tanto tirava fuori dalla sacca un quadernino, su cui appuntava con grafia incerta alcuni pensieri, fragili e incerti come nuvole di primavera. Sara adorava scrivere e mentre l’insegnante richiamava l’attenzione della classe sull’esercizio da svolgere, io riflettevo su quale potesse essere la chiave giusta per rompere quel muro di diffidenza.
I primi tempi le lasciai carta bianca, limitandomi ad osservare e dandole la possibilità di estraniarsi quando le andava, nonostante i dubbi degli altri docenti. Nel frattempo prendevo alcuni appunti per non farle perdere il filo degli argomenti. Dopo un paio di settimane mi sembrò che cominciasse ad aspettare il mio arrivo e un giorno mi raccontò di come spesso si sentisse schiacciata dal peso dei voti per non deludere i genitori.
Aveva sedici anni Sara, ma era ancora una bambina, motivo per cui la maggior parte dei compagni di classe la evitava. Le altre ragazze pensavano ad uscire con i primi filarini, a curare il look, lei invece indossava solo morbide tute colorate ed era persa nel suo mondo. Così pensai di coinvolgerla all’interno classe, cercando la collaborazione degli altri studenti.
Poco alla volta Sara si tranquillizzò. Conobbi i suoi genitori. Erano contenti, mi dissero, però si raccomandavano affinché aiutassi Sara a recuperare le lacune nelle varie materie. Mentre i due parlavano, ne osservavo le espressioni e i gesti a tratti nervosi e mi resi conto, nonostante l’istintiva tentazione di giudicare le loro pretese, di quanto fossero in difficoltà.
Durante il secondo quadrimestre gli insegnanti notarono piccoli miglioramenti nell’andamento scolastico della ragazza, che divennero in seguito sempre più grandi. A fine anno Sara non riportò alcuna insufficienza e fece amicizia con una compagna di classe. Prima delle vacanze estive mi salutò, felice di trascorrere finalmente un’estate senza l’ansia di dover recuperare i debiti.
L’anno dopo ottenni l’incarico nella stessa classe e potei seguire Sara fino alla maturità. L’impegno fu grande e ci furono momenti di scoramento e di stanchezza, ma cercai di motivarla ed incoraggiarla. Finché arrivò il giorno degli esami.
Ricordo come fosse ieri la mattina degli orali. Sotto un cielo sgombro di nubi di un’afosa giornata di luglio, Sara uscì stordita dal portone dell’istituto con quegli occhi da micio spaurito, lucidi per la commozione. Mi gettò le braccia al collo in un gesto liberatorio. Vidi poi lo zaino rosa allontanarsi sempre più, mentre il coniglio di peluche, penzolante dietro la sua schiena, mi fissava sobbalzando ad ogni passo, come per un ultimo saluto.
A settembre Sara mi scrisse un messaggio: “Grazie di tutto, prof!”
In quel momento mi sentii pronta a ricominciare un altro anno scolastico.
“Aiutami a essere felice”, sembrava volesse dirmi. In realtà furono le sue parole a regalarmi istanti di felicità.
Conobbi Sara quando aveva sedici anni e frequentava la quarta classe di un istituto tecnico commerciale della mia città; le lezioni erano iniziate da un mese e mezzo e a fine ottobre mi fu assegnato l’incarico come sua insegnante di sostegno. Quell’anno l’Ufficio scolastico era in ritardo nell’assunzione dei docenti precari, capitava spesso e oramai vi ero abituata.
Sin da piccola a Sara era stata diagnosticata una patologia genetica che comportava, oltre varie problematiche di natura fisica, anche un lieve deficit intellettivo, causandole ritardi nello sviluppo cognitivo. I genitori, pur consapevoli, sembravano non voler accettare del tutto la situazione.
Desideravano che la ragazza seguisse le lezioni al pari dei compagni, con lo stesso impegno e gli stessi tempi, sperando che potesse diplomarsi come i suoi coetanei; i docenti si erano resi conto dell’enorme sforzo emotivo di Sara nel mantenere i “normali” standard scolastici, pertanto proponevano alla famiglia una programmazione individualizzata e semplificata, senza però ottenere da loro il consenso. Così i suoi insegnanti si abituarono a considerarla al pari degli altri. Lei però non era come gli altri, aveva capacità ed abilità “diverse” dagli altri.
In un nebbioso mattino di ottobre entrai per la prima volta nella sua classe. Dopo le presentazioni, la collega di italiano mi indicò dove era seduta Sara. La ragazza mi fissò per alcuni secondi ed io fui pervasa da un fremito di emozione, come spesso accade quando conosco per la prima volta i miei alunni. Il giorno prima avevo letto nel fascicolo in segreteria la diagnosi della patologia, ma sapevo che quelle fredde descrizioni non rappresentavano la persona con la sua fisicità, le sue emozioni, i suoi desideri.
Mi avvicinai al banco salutandola e lei ricambiò svogliatamente.
“Posso?”, le chiesi gentilmente, indicando la sedia accanto dove non c’era nessuno.
“Prego, faccia pure”, rispose Sara senza troppo entusiasmo e volgendo lo sguardo altrove, mentre si lisciava i lunghi capelli ramati.
Intanto alla cattedra l’insegnante illustrava la poetica del Foscolo; né io né Sara vi prestavamo attenzione, impegnate a studiarci.
Da quando frequento le scuole ho capito l’importanza dei primi attimi di conoscenza, dove l’adulto si gioca tutto, il rapporto con l’allievo, la sua credibilità, ma soprattutto la riuscita del suo intervento educativo ed in quel frangente l'insegnante scrupoloso compie uno sforzo emotivo non indifferente.
Quella mattinata trascorse in un clima di poche parole, lei che mi guardava di sottecchi, io che le sorridevo di tanto in tanto come a tranquillizzarla, mentre osservavo lo zaino rosa ai piedi del banco, con ciondoli e cuori disegnati a tempera, da cui faceva capolino un piccolo coniglio di peluche.
Il secondo giorno Sara fu chiara, me lo disse senza preamboli, quasi a volersi scusare per il suo atteggiamento ostile. “Non mi piace la scuola e poche volte ho avuto un buon rapporto con gli insegnanti di sostegno”.
Rimasi abbastanza spiazzata, ma apprezzai la sincerità. Capii di avere dinanzi un muro da abbattere poco a poco, senza garanzia di riuscita e che dovevo andarci con i piedi di piombo. Dopo un po' la ragazza, esaurita la sua minima capacità di concentrazione, cominciava ad osservare fuori dalla finestra, con lo sguardo assorto. A Sara piaceva sedersi in quel lato dell’aula, da cui poteva scorgere il cielo e i tetti delle case; si estraniava da tutto ed assumeva un’espressione rilassata.
Ogni tanto tirava fuori dalla sacca un quadernino, su cui appuntava con grafia incerta alcuni pensieri, fragili e incerti come nuvole di primavera. Sara adorava scrivere e mentre l’insegnante richiamava l’attenzione della classe sull’esercizio da svolgere, io riflettevo su quale potesse essere la chiave giusta per rompere quel muro di diffidenza.
I primi tempi le lasciai carta bianca, limitandomi ad osservare e dandole la possibilità di estraniarsi quando le andava, nonostante i dubbi degli altri docenti. Nel frattempo prendevo alcuni appunti per non farle perdere il filo degli argomenti. Dopo un paio di settimane mi sembrò che cominciasse ad aspettare il mio arrivo e un giorno mi raccontò di come spesso si sentisse schiacciata dal peso dei voti per non deludere i genitori.
Aveva sedici anni Sara, ma era ancora una bambina, motivo per cui la maggior parte dei compagni di classe la evitava. Le altre ragazze pensavano ad uscire con i primi filarini, a curare il look, lei invece indossava solo morbide tute colorate ed era persa nel suo mondo. Così pensai di coinvolgerla all’interno classe, cercando la collaborazione degli altri studenti.
Poco alla volta Sara si tranquillizzò. Conobbi i suoi genitori. Erano contenti, mi dissero, però si raccomandavano affinché aiutassi Sara a recuperare le lacune nelle varie materie. Mentre i due parlavano, ne osservavo le espressioni e i gesti a tratti nervosi e mi resi conto, nonostante l’istintiva tentazione di giudicare le loro pretese, di quanto fossero in difficoltà.
Durante il secondo quadrimestre gli insegnanti notarono piccoli miglioramenti nell’andamento scolastico della ragazza, che divennero in seguito sempre più grandi. A fine anno Sara non riportò alcuna insufficienza e fece amicizia con una compagna di classe. Prima delle vacanze estive mi salutò, felice di trascorrere finalmente un’estate senza l’ansia di dover recuperare i debiti.
L’anno dopo ottenni l’incarico nella stessa classe e potei seguire Sara fino alla maturità. L’impegno fu grande e ci furono momenti di scoramento e di stanchezza, ma cercai di motivarla ed incoraggiarla. Finché arrivò il giorno degli esami.
Ricordo come fosse ieri la mattina degli orali. Sotto un cielo sgombro di nubi di un’afosa giornata di luglio, Sara uscì stordita dal portone dell’istituto con quegli occhi da micio spaurito, lucidi per la commozione. Mi gettò le braccia al collo in un gesto liberatorio. Vidi poi lo zaino rosa allontanarsi sempre più, mentre il coniglio di peluche, penzolante dietro la sua schiena, mi fissava sobbalzando ad ogni passo, come per un ultimo saluto.
A settembre Sara mi scrisse un messaggio: “Grazie di tutto, prof!”
In quel momento mi sentii pronta a ricominciare un altro anno scolastico.
“Aiutami a essere felice”, sembrava volesse dirmi. In realtà furono le sue parole a regalarmi istanti di felicità.
Nota dell’autore: diamo fiducia agli insegnanti dei nostri figli e collaboriamo assieme per un loro futuro sereno.
Paola Salzano
Racconto scritto il 22/05/2022 - 12:36
Letta n.456 volte.
Voto: | su 2 votanti |
Commenti
Splendida tua autobiofrafia
Amirevole racconto da leggere tutto ad un fiato.
Complimenti
Amirevole racconto da leggere tutto ad un fiato.
Complimenti
ziofrank storie del gufo 23/05/2022 - 13:53
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Grazie hai un cuore immenso da vera Maestrina Con stima Tonino
FADDA TONINO 23/05/2022 - 11:18
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Ti ringrazio, Mirko... buona giornata!
PAOLA SALZANO 23/05/2022 - 08:27
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Mi è tanto piaciuto e in alcuni righi mi ha tanto emozionato
Mirko D. Mastro 23/05/2022 - 05:10
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Evviva agli insegnanti come te!!
Anna Cenni 22/05/2022 - 20:18
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Grazie mille, care amiche di OS, per la lettura ed il commento di questo mio testo che non è proprio autobiografico,
ma è un condensato, sotto forma di racconto, di varie esperienze nel campo dell' insegnamento.
E Sara rappresenta tutti quei ragazzi che hanno trovato un loro posto nel mondo anche grazie all'entusiasmo dei loro docenti...
ma è un condensato, sotto forma di racconto, di varie esperienze nel campo dell' insegnamento.
E Sara rappresenta tutti quei ragazzi che hanno trovato un loro posto nel mondo anche grazie all'entusiasmo dei loro docenti...
PAOLA SALZANO 22/05/2022 - 20:16
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Racconto autobiografico interessante che ho letto con piacere.
Maria Luisa Bandiera 22/05/2022 - 18:06
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Gran bel racconto, so che molti genitori di bambini o ragazzi con qualsiasi tipo di deficit, faticano ad accettarli, io ho lavorato tanto nel settore handicap sia grave che medio grave..brava lo hai scritto senza quell'inutili svenevolezze, che si riscontrano in alcuni che lavorano in certi settori!!
Anna Cenni 22/05/2022 - 17:30
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P.s. Sulla nota concordo totalmente!
Marina Assanti 22/05/2022 - 17:06
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Splendido racconto autobiografico magnificamente scritto.
Hai una sensibilità fuori dal comune e Sara l'ha percepito e s'è fidata.
Complimenti, Paola, per il racconto che gentilmente hai condiviso e per l'amore
con cui eserciti la tua "missione".
Hai tutta la mia stima e ammirazione...
5* a Sara, che la vita le sorrida!
Hai una sensibilità fuori dal comune e Sara l'ha percepito e s'è fidata.
Complimenti, Paola, per il racconto che gentilmente hai condiviso e per l'amore
con cui eserciti la tua "missione".
Hai tutta la mia stima e ammirazione...
5* a Sara, che la vita le sorrida!
Marina Assanti 22/05/2022 - 17:05
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