indicava occluso il passo
verso una tomba di calce senza nome
e pini mediterranei guardavano i mari
dimentichi dell’essenza dell’acqua»
L’ultimo dei Messapi ordinò al grecale di colpire ed esso fece quello che doveva e dei violatori di templi nulla più si seppe.
Pochi illustri stracci coprirono a memoria perduta le lapidi dei futuri defunti, quelli che non avrebbero mai voluto esserlo, eppur lo sarebbero divenuti loro malgrado.
E mentre in terra sciamani, venuti dall’al di là del mare, spargevano a quattro mani i resti recalcitranti di società ancestrali negli angoli oscuri della foresta paleolitica gruppi di volpi gareggiavano con uomini allupati nel furto di chicchi d’uva bianca.
Dalle profonde viscere delle terre spuntarono poi feroci vermi dai denti aguzzi che distrussero le ragioni degli stolti, lasciando loro solo teschi adorni di pochi denti.
Orde di uomini con pellicce visionarie praticarono sacrifici disumani sui dolmen, freddi e solitari simboli di distensione.
Le urla dei condannati al taglio della parola si sparsero negli ulivi fra i silenzi dei muti.
Mutò l’era del giardino degli amori fittizi e scese dall’universo una razza superiore che, nel copulare con le amebe esistenti, dettò il pensiero a coloro che speravano di pensare per gli altri
senza troppo pensare.
Ancora una volta le budella maleodoranti degli sventurati naviganti furono appese alle finestre delle case che guardavano i porti perduti.
Furono essiccati al sole anche gli occhi estirpati dei giusti e si banchettò nei palazzi del potere
con le teste mozzate degli ignoranti condite con spumante prosecco.
Nell’era dell’era senza terra risorse dal Caos Primordiale Vlad l’impalatore che per dimostrare clemenza verso le genti sottoposte ordinò ancora al povero grecale di spazzare gli ultimi residui degli ultimi.
Ed esso obbedì a malincuore.
Si vide Vlad ridere a crepapelle tra le membra smembrate degli impalati mentre egli addentava brandelli di carne sanguinolenta che penzolava dai pali.
E nessuno osò scrivere al Creatore per segnalare le vicende delle terre chiamate terre e ridurre in cenere ogni cosa...
«Tra le fronde secche amanti della lebbra morì un granello di vita.
Tra filari di uva matura passò suadente la volpe con trombe e tromboni annunciando la venuta delle messi, eppure in quelle terre lacerate qualcuno osò piantare per un’ultima volta in terra tre spighe di grano nuovo...
Che mai alcuno visse senza speranza nelle terre dei padroni»
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I tempi cambiano ma il male riemerge sempre come l'erba cattiva che rispunta rigogliosa e la volpe che s'aggira soddisfatta. Ma la forza della vita e del bene con nuova semina darà raccolto abbondante!
spighe di grano nuovo!. Tutta mia interpretazione!!tu invece..chissà! Cmq questo è il racconto tuo che ho letto più bello!!
il significato, meglio i significati,
sono chiari, i riferimenti pure, ma i toni sono lugubri con scene d'orrore e dolore.Inevitabilmente.
Molto apprezzato tutto, la tua è una scrittura che trascina, ma mi ripeto sempre, che coinvolge, qui quasi violentemente... infatti sono turbata.
Ma la chiusa, quella manciata di spighe
di grano nuovo, quella manciata di speranza e rinascita... già, la vita guarda avanti sempre e comunque, a prescindere dalla volontà dei "demoni".
Leggo ora il tuo cognome... ci conosciamo da lungo tempo, quindi.
Complimenti, Jean!