«Dall'alta roccia
l'orizzonte sul confine del mare
attenta scruta.
Sta così,
torre e vedetta
a difendere genti dai pericoli
d’un Oriente bellicoso.
Il suo nome è Otranto,
luce d'antica terra
che da essa il nome prendeva.
Ancor oggi
la vista prende,
a chi fra le sue
stradine s'inerpica».
Il vento D’Oriente
Fra codeste mura dello castello volgo lo sguardo verso dove levasi lo sole et ora che in vecchio tempo mi trovo, m'accingo a ricordare la historia d'un luogo che ricca fortuna ebbe nella salentina peninsula e della quale io in prima persona vivetti li terribili fatti in esso accaduti nell'anno dello Signore 1480.
In illo tempo lo periglio venia dalle acque et io, giovine et inesperto, me trovava allo servigio dello vescovo della cittade, essendo secondogenito di nobil famiglia.
Nell'antica terra fra due mari posta, v'era ricca et opulenta città che nomine avea de Hydruntum.
Quali atrocità l'omo è capace de fare ch'io simil non ricordo et ora lo ricordo istesso, le carni me brucia sentendome uno fuoco pervaderme tutto e li pareti de codesta stanza tremano ancora allo sol nominare l'accadimenti.
Mentre scrivo alli posteri, non ferma è la mano et l'anima mea curre spaventata ancor fra le vie.
Era lo 28 luglio 1480 et precisamente l'alba.
Come tutte le matine me trovavo in giro per scegliere le vettovaglie necessarie per lo vescovado tutto, provvedendo poscia che fussero recapitate a distinazione.
Dopo aver svolto lo compito, avendo dello tempo a disposizione et essendo lo iorno particolarmente caldo, decidetti de sederme su uno scoglio et rinfrescarme le membra et li pedi in dello azzurro mare.
Lo riverbero dei raggi dello sole accecavano la vista et lo leggero vento che spirava da sud concedeva allo mare istesso la dimensione d'una tavolozza ‘sì levigata con perizia da uno mastro falegname.
Me godea beato tal riposo allorquando me sembratte de videre allo orizzonte una smisurata macchia scura che pareva avvicinasse alla riva sempre de più.
Uno funereo presentimento m'aggrappò lo core et, messomi li calzari che pria m'era livati, corsi sin sopra lo castello per lo meglio scrutare quanto era in accadere.
Lo tempo impiegato per far lo percorso che, quando me affacciai dallo alto dello bastione, chiaro me fue che v'erano centinaia de navigli allo orizzonte.
Detti immantinente l'allarme allo comandante della guarnigione ch'io conosceva bene, egli era lo conte Francesco Largo, di nomina diretta delli rignanti Aragonesi.
Recatomi a rotta di fiato nelle sue stanze, mentre durmiva ancora, lo avvisatti con fare convulsivo, tanto di non essere compreso allo principio, ma poi eo, capito tutto, comandò immediatamente disposizio che una truppa se disponesse a difiesa sulla spiaggia dello borgo tutto.
Lo sconforto aumentò nel constatare che lo mare venia oscurato dalle navi inimiche.
Le paure parvero ‘sì fondate, quella era la flotta turca dello sultano Maometto II, comandata dallo famigerato generale Gedir Akmet Pascià.
“Poscia seppi che v'erano oltre 90 galee, 40 galeotte e 18.000 soldati, ma c’è chi dice fussero 100.000, quello ch'io vidi però mi face pensare che non v'era fine allo numero loro.”
Con lo pretesto di una eredità contesa dei principi d'Otranto, lo Sultano volea conquistare luoghi et genti.
Qual orda mai s'era vista, che poco potettero li soldati che v'erano in città.
Passammo la nottata in angoscia totale, con lo comandante pensieroso che andava avanti et indietro per tutto lo camminamento delle mura et infatti, quando lo sole sorgette, la preponderante forza ottomana costrinse li nostri, insieme alla povera gente ad abbandonare lo borgo et a rifugiasse
nella cittadella sperando nello aiuto di don Alfonso d'Aragona figlio dello re di Napoli, duca di Calabria.
Lo conte Largo dette comanda di serrare le porte d'ingresso et li turchi s'accalcarono alle mura dello castello posizionando le potenti bombarde in fronte di esse, tanto che chi osava affacciasse veniva sbrandellato come carne da macello.
Nulla se rischiarava nello buio totale che incombeva sopra di noi, nulla se potea far contra la potenzia dello inimico et l'animo mio se rivolgeva allo nostro Signore che facesse finire tutto.
Lo undici di agosto 1480, sprovvisti come eramo de cannoni, le porte cedettero allo incessante bombardamento et lo campo de battaglia tutto brulicava de cadaveri, le corazze d'argento brillavano allo sole come le stelle dello firmamento insieme colli panni zozzi del li poveri cristiani.
Non oso raccontarve quello che fue la carneficina.
Li turchi presero tutti li maschi con più de quindici anni e tutti li omini et poscia sterminarono in gran massa tutti.
Li bambini et le donne ridussero in schiavitù, io me salvatti solo per lo aspetto di giovinotto, non dimostrando affatto l'età vera.
Ci condussero in uno grande magazzino di granaglie e ci imprigionarono.
Nello mentre lo povero vescovo Stefano Pendinelli et lo comandante Francesco Largo, insieme allo clero e at la restante popolazione, se rifuggiattero nella Cattedrale, ultimo baluardo di resistenza, ma nulla di questo servitte.
Morirono tutti et tremo allo solo pensiero di dirlo, lo vescovo e lo comandante furono segati vivi et le teste infilante nelle picche onde essere portate per lo borgo come segno di vittoria.
Li omini che sopravvivettero, lo iorno dopo, vennero trasportati sul colle della Minerva che sovrasta Hydruntum, erano rimasti in poco più di ottocento.
Con le donne et li altri bambini fummo condotti ad assistere inermi et li turchi ci misero in fila costringendoci a guardare.
Akmet Pascià prese lo primo et con l'aiuto di uno traduttore gli chiese di convertirse allo Islam...
Egli che di nome facea Antonio Primaldo et era cimatore di panni, rispuose con voce ferma.
«Scegliamo piuttosto di morire per Cristo con qualsiasi morte, anziché rinnegarlo!»
Il generale turco, visto che avea risposto uno solo interrogò allora gli altri, che in coro gridarono
«In nome di tutti ha risposto uno solo, siamo pronti a subire qualsiasi morte anziché abbandonare Cristo e la fede in lui, ottocento volte no!»
Lo carnefice turco, un tal di nome Berlabei , allora d’un cenno dello generale decapitò per primo Antonio Primaldo e poi tutti li altri et lo colle tutto se riempitte de fiume de sangue!
Miracolo volle che lo corpo di Antonio rimase in piedi financo l'ultimo cristiano non fue decapitato.
Allo vedere ciò lo carnefice se convertì et a sua volta fue impalato vivo per ordine de Akmet Pascià.
In seguito li turchi compiettero scorrerie per tutto lo Salento et di quella che era la sua città più florida nulla rimanette né mai più di essa tornò lo splendore che avea un tempo.
Uno anno dopo don Alfonso riconquistatte la vecchia Hydruntum trovando li corpi delli martiri ancora incorrotti in sulla collina della Minerva.
«Codeste son le vicende che io vissi in quei giorni lontani e ora che esse tornano alla memoria anco me tremano le gambe al sol raccontare che l’anima tutta par di pietra.
Or spengo li candelieri che illuminano codesto piccolo luogo et nella stellata notte che lo Signore concede alla vecchia Hydruntum, dalle mura dello castello osserverò ancora una volta lo mare brillare come l'anime di tanta gente che dallo firmamento vegliano.
Ciò che vidi e vissi con fede descrissi»
(Il racconto si basa sui fatti storici realmente accaduti in quel di Otranto il 28 luglio 1480. Il personaggio narratore è frutto della fantasia dell'autore. I martiri di Otranto furono beatificati il 14 dicembre 1771 da Clemente XIV. Il 12 maggio 2013 Papa Francesco li ha dichiarati Santi. Le loro ossa sono esposte alla venerazione nella Cattedrale della città nell'abside destro)
Jean C.G. ©2016
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Complimenti per il coraggio, per il bellissimo racconto e la limpida scrittura.
L'episodio a cui accenna Anna lo ricordo bene, purtroppo: Fabrizio Quattrocchi... inginocchiato, mani legate, cerca di togliersi la kefiah ed esclama quella frase. Iraq, 2004: muore a 35 anni...
Mia mamma mi sta dicendo, piangendo al telefono, che ci è stata.
Ricordo molto bene quest'episodio terrificante, e penso a quanti cristiani
nel mondo continuano ad essere perseguitati, come ad esempio in Cina, ma è solo un esempio, non ultima la strage di due giorni fa in Nigeria, dove sono stati massacrati 50 cristiani dai fanatici islamisti assassini.
E questo nell'assordante silenzio generale.
Scusami... mi sono fatta coinvolgere emotivamente.
Grazie ancora!
Beato te che ci sei stato.
Spero che pian pianino pubblicherai ancora su questo episodio che oggi dovrebbe far tanto riflettere.
Grazie ancora!
Originalissimo il racconto per come viene raccontato, sia per lo stile - apprezzatissimo - che per il personaggio
narrante che racconta come se avesse vissuto in prima persona quegli orrori,
la crudeltà degli invasori islamici, e la morte degli 800 che non si convertirono e da cristiani in nome di Cristo orgogliosamente morirono.
Non so se la storia del carnefice convertito sia vera o sia un tocco
aggiunto da te, confesso non lo so.
E' un racconto meravigliosamente tragico.
L'uomo senza Dio e senza pietà né cuore,
è sempre esistito.
Grande, Jean, splendido scritto,
apprezzato parola per parola nella sua forte e coinvolgente drammaticità.
Una orribile pagina di Storia, da non dimenticare.
Complimenti sempre... e sentitissimi!
https://www.youtube.com/watch?v=tZZqK8Qt0q0&t=661s&ab_channel=Lagiaradeipoeti