La maledizione dell’aquilone (I)
fino a che per mano delle naiadi Acredine e Basica cadde vittima
di stizza della dea Marica, gelosa dell’amore di Aquilone per lei.
Invocò su loro un orripilante anatema: confinò Ninfa nella torre degli Alisei,
e legò Aquilone a un filo di voce. Se Ninfa fosse riuscita mai a fuggire con qualche astutezza,
entrando in contatto con l’aria e confondendosi con essa avrebbe perso di purezza.
Si dice che sulle sponde del Treja nelle giornate di solleone, quando
il cielo sereno fin giù nel sottobosco rende azzurra ogni pervinca colando
su tappeti di anemoni, tra i non ti scordar di me che bordano le andane strette
girandoli una fanciulla; e che s’odano i di lei bisbigli salir ai filari tra le felci con le bianche egrette.
Così, intendo farmi trovare pronto a partire prima che la prossima ora rintocchi:
recluterò quante più matite, ciascheduna ben temperata, così da non avere intoppi.
Come ogni viandante della mia specie,
indossate le ciantelle e calzata la veste da camera, saprò cercarti oh Ninfa
fra i miei righi seguendo le bricie.
Giorni addietro mi fece visita Rovaio,
che dopo essersi preso premura di scarmigliarmi la foggia di barba
e le vesti trite per aver i servigi dell’agoraio,
mi instillò l’idea peregrina ma spontanea
di andar ramingo, sospeso ad uno dei mie aquiloni, tra quei pochi anelati fotogrammi.
Pellegrinaggio il mio nella tua istantanea.
Ninfa mi apparve in sogno. Fanciulla d’animo, ma virago in cuor suo e nell’aspetto.
Di spalle a nivea statua. Un tascapane eburneo sulla pelle scura del tiglioso, coriaceo suo corsaletto.
E sullo sfondo di una mulattiera, tra i bellissimi capelli scuri lungo il viso fiero un atro cerchietto.
Disse di non scordare agoraio e scarsella, e mi chiamò Aquilone. Il sogno mi lasciò dell’agretto.
Non comprendo, non sono altro che un artiere degli aquiloni e un rimatore, nella foggia e nel petto!
Quel sogno in bisaccia di cui narrai non si ripresentò. E un po’ me ne dolgo.
Il tredicesimo giorno di gennaio tuttavia, da un viaggio in scatto fotosensibile colgo
lei come marza di spalle a un contesto niveo, con la delicatezza che si deve a un nesto con l’auspicio che attecchisca.
E una borsa eburnea su di un giacchetto scuro… Dio, non c’è essere nel creato che da quello sguardo non s’arricchisca.
Sullo sfondo del Cristo Redentore di Maratea,
tra i bellissimi capelli scuri occhiali acri. Su di una lunga e fiera scalea.
In quel suo sguardo vi son però anche i cercini delle cicatrici che generarono un pollone
ma se alzo lo sguardo, appena fuori dall’immagine fotosensibile posso vedere un aquilone.
(elegia prosastica -Mitografia, agosto 2020)
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Buona serata
Serena giornata, Mastro Poeta
p.s. io amo gli anziani e non ne conosco di incattiviti. Ho scritto un aforisma su di loro... hanno tanto da insegnare e dobbiamo rispettarli come un tempo.
Sono i nostri nonni.
Aquilone era figlio di Aurora, e i suoi due figli accompagnarono gli Argonauti nell'impresa del Vello d'oro
Ma tenere per il cordino un aquilone è come tenersi aggrappati alla coda di un sogno
Da allora tengo un aquilone nel cuore, ed è per quello, che con i pensieri riesco a volare.
Credo che anche tu, tieni un aquilone nel cuore.
Ciò che hai scritto, sa tanto di ..capolavoro!!
Ecco il tuo grande Dono, che si palesa in qualunque tipo di scritto, la Poesia.
Qui, poi, patina tutta l'elegante narrazione...Sei Mastro Poeta "nella foggia e nel petto".
E nel DNA.
E, contrariamente a molti poeti, tu indossi modestia e umiltà, doti che aggiungono valore alla tua essenza umana e poetica...
Complimenti, Mirko, una carezza all'anima e al cuore, leggerti.