Così era citazione dal libro delle famiglie nobili del Regno delle due Sicilie e tal fu la storia che difficile fu dar seguito a coincidenze e leggende.
In un giorno assolato d’agosto mi trovai ad Acaya nelle Puglie che nemmeno so dire come e dal suo fascino fui rapito per arcano legame a me ancora sconosciuto.
Rimanendo affascinato dalla sua storia e da quella del suo ideatore e costruttore feci alcune ricerche storiche.
Questa cittadina fortificata, nel cuore del basso Salento, fu costruita dall’architetto Gian Giacomo Acaya che molte altre fortezze aveva eretto per l’imperatore Carlo V, tra queste il castello di Lecce.
Per una serie di sfortunate circostanze, dovute a fiducie mal riposte in amici, Gian Giacomo cadde in disgrazia e fu imprigionato nel castello da lui stesso costruito e lì vi morì in cella.
Unica colpa aver fatto da garante a un caro amico mal pagatore…
E pare che tutt’ora, quando si visita il castello di Carlo V, qualcuno chiuda sempre le grate di ferro dopo il passaggio della gente...
E così dal servigio all’imperatore più potente di quel tempo del buon Gian Giacomo si ricorda solo il fantasma.
Ma un momento… Un nobile Gravili non aveva sposato in quel tempo una rappresentante della famiglia Acaya? Forse sua sorella...
E non mi chiamo anch’io Gian?
Datemi un attimo e faccio una piccola nota storica per dirimere la questione.
«Probabilmente la sorella dell’architetto Gian Giacomo Acaya andò in sposa a un mio antenato intorno al 1500 e, come da notizie storiche riportate, i Gravili dopo essere stati nominati castellani di Taranto per i servigi resi al re di Napoli nella battaglia di Lepanto contro i Turchi, s’erano trasferiti quindi a Lecce».
“Sbammmm”
Scusate è Gian Giacomo che ha chiuso la porta del castello e io sono Gian e sin da piccolo costruisco castelli in miniatura. Mah...
Ma facciamo un passo indietro e torniamo a quel giorno quando la tempesta m’avvolse in quel d’Acaya e nel tormento d’un’armatura posta in alto sul bastione nell’anima mia nacque questa storia.
Don Rodrigo d’Acaya e donna Imelda
«Un vento maestoso attraversava le vie, nessuno in giro… Solo il rumore delle fronde degli alberi che parlavano»
Sferza il vento sui bastioni del castello di Acaya e un caldo surreale accompagna il silenzio, passi incerti s'odono da lontano.
Scruta l'orizzonte in attesa dell'Ottomano periglio l'inesistente vedetta.
Da remoti anfratti ancora guarda lontano e forse domani sarà battaglia, forse la notte porterà ancora il canto dei grilli.
Un tempo nel tempo assurdo dove non esiste consistenza si muove l'esistenza.
«Son qui per proteggerti mia sposa, nessuno potrà farti del male fin quando dall'alto veglierò per l'eternità i tuoi occhi di diamante»
Antica leggenda vuole padrona dei luoghi donna Imelda de Iscandar sposa amatissima di Rodrigo de Acaya e bellissima musa di poesie e fiabeschi racconti.
Nelle notti in cui grecale furia si scatena dal mare s'ode ancora il canto disperato del nobil Rodrigo che nel baratro cerca la sua amata, rapita con l'inganno da uomini venuti dalle orientali acque,
mentre egli ignaro andava alla città d'Hydruntum chiamato lì da alti doveri di difesa.
Messa in allerta la guarnigione egli partì lasciando Imelda chiusa al sicuro delle mura e confidando nella loro possanza.
Il nemico venne con le tenebre dall'adirato adriatico razziando e depredando.
E preda fu donna Imelda, ancor riecheggiano le sue grida nella brulla terra allora che forza bruta la trascinò via su nero cavallo.
Quale angoscia e tormento eterno provò don Rodrigo nel tornare in vuoto luogo.
Pazzia fu e in un giorno in cui regnavano i venti maestosi dal bastione volò giù.
«Non potendo più vivere senza la tua amatissima sposa».
Si dice che da allora, quando i venti si scatenano sulle mura del castello, una nera figura compare su di esse e con un cannocchiale nelle mani guarda lontano cercando la sua bella Imelda, piangendo disperato.
“Sbammmmm”
«No, non è don Rodrigo questo, conosco il tipo. Gian Giacomo non ho ancora finito di raccontare apri quella porta per favore, scusate è un tipo preciso d’altronde era un architetto. Ecco ritorniamo alla mia storia se qualcuno me lo consente».
Della discendenza de i Gravili or vi narro.
La nobile famiglia Gravile ha pretensione di derivare la sua origine da Cajo Gravilio, detto pure Carvilio, console romano. Ciò non è poi fuori dal verosimile, ove si ponderi che la repubblica Romana avendo esterminato dominio su la terra, lasciava il governo di molte sue provincie a nobili famiglie romane. Esse colà si ingrandivano, ed edificando alcune città e castelli, imponevano loro conseguentemente il nome del proprio casato.
Così avvenne di P. Gravilio, pretore romano in Epiro. Ivi egli gettò le fondamenta della città di Gravilia, da cui presero il cognome i signori di quella insino a Ficcone, despota di Romania, e del quale fu figlio secondogenito Basilio Gravilio, valoroso capitano.
Giorgio Signor Vacovaro (figlio di Basilio) sposò Panfilia Castriotta, e dal loro connubio nacque Basilio II, che venne eletto rettore di tutta la milizia della provincia Epirota.
Egli s'ammogliò con Brandida Manuele, nobile dama d'Epiro, la quale gli generò Nicolò e Nifocero, strenui capitani, che militando con Giorgio Castriotta, loro cugino, contro i Turchi si acquistarono una fama durevole di prodi guerrieri. Nicolò passò alla testa di quattrocento Albanesi insieme allo stesso Giorgio Scanderbech, sotto le bandiere di Ferdinando re di Napoli, contro de' baroni ribelli, l'anno 1463. Egli in premio dei suoi sudori venne dallo stesso re Ferdinando creato castellano di Taranto, ove lasciò nobile e ricca posterità, la quale si distinse sotto gli auspici militari ed altre rilevanti incombenze politiche in diverse città del regno di Napoli, siccome ci riferisce Basilio Banderone nella Storia della famiglia Castriotta.
Giovanni Antonio Gravile fu uno dei primi a passare dalla prefata città di Taranto a quella di Lecce, ove s'accasò con Pietrina Acaja, nobile della medesima città, e nella feconda discendenza ch'egli ottenne fiorirono molti uomini d'ingegno e nelle dottrine istruiti, i quali fruttarono alla patria molte
utili discipline ed innumerevoli opere di sommo vantaggio. Nella serie pure de' suoi incliti rampolli si riscontrarono molti individui che si diedero al mestiere delle armi, e che si procacciarono una bella rinomanza. Tali furono, a cagione di esempio, Antonio, Pirro ed Orazio, che servirono in molte guerre la corona di Spagna, il Papa ed i Veneziani, insieme a Pascerbio Reres, capitano albanese.
Questa famiglia inoltre vantò parecchi religiosi estimatissimi, de' quali troviamo sufficiente il nominare un Ortensio e Donato, gesuiti, ed il celebre dottore Giovan Pietro Gravile.
Lì arma di questa nobile casata consiste in un campo partito: nel primo due pali rossi traversati da una banda carica di un giglio dello stesso in fondo d'oro; e nel secondo un albero verde, sopra il quale un'aquila nera che tiene nel rostro una torcia d'argento.
(Queste notizie storiche, così come tal quali riportate, sono tratte dall'albo delle famiglie nobili del regno di Napoli e dal teatro delle famiglie nobili e loro blasoni come da usi consentiti).
«Gian ora puoi chiudere il cancello, ogni giorno sempre la stessa storia con questi turisti, sporcano, lasciano lattine di bibite dappertutto e poi… Accidenti e pensare che ho costruito con tanta cura questo castello. Che stress la vita da ectoplasma! Sono talmente stanco che non trovo più la mia cella, ah ecco è di là. Beh, allora buonanotte o buongiorno a voi che avete letto la mia storia»
(Ancor oggi nell’italica peninsula ben poche son le famiglie nomate Gravili e d’esse v’è traccia principale nel Salento e tal discendenza par provenire da unico originario ceppo risalente a Cajo Gravilio console romano).
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Mi era tanto piaciuto, come tutto ciò che scrivi. Un abbraccio a te!
Mi fa piacere che tu l'abbia pubblicato.
Il racconto di Don Rodrigo e Imelda lo ricordo assai bene, mi era tanto piaciuta la figura di entrambi e la loro triste, appassionante storia d'amore oltre questo tempo.
Come sempre magistralmente scritto.
Sei fortunato a conoscere le tue lontane radici.
Qualcosa so anch'io delle mie.
Complimenti, Poeta