La fiamma della candela sul tavolo della cena sussultò lentamente quando uno stormo di condor da ricognizione tuonarono nel cielo grigio di guerra.
Il bunker era sicuro, ben nascosto e neppure i missili di nuova generazione avrebbero scalfito le pareti di quella fortezza sotterranea, ma Seta in cuor suo sentiva un senso d'angoscia profondo quando la sera si avvicinava e il resto della famiglia non era ancora rientrato.
Suo padre, un ingegnere della centrale elettrica della città, adesso vagava da un negozio all'altro vendendo quelle poche cose scampate ai primi bombardamenti e facendo consulenze saltuarie per l'esercito.
Suo fratello, più piccolo di lei di due anni, seguiva il padre dappertutto. La notte, quando gli spari erano così vicini da sentirne l'eco espandersi nell'aria chiamava la madre, morta a causa di un proiettile vagante sparato dal fuoco amico.
I proiettili non hanno schieramenti, uccidono tutto ciò che trovano sulla loro traiettoria.
Si stava facendo tardi, la cena era fredda, sulla superficie del brodo si era già formata quella strana pellicola che ci ricorda come è fuggevole la nostra esistenza: precaria e fuggevole.
Seta guardava lo scorrere dei minuti sul suo telefono come si farebbe con un orologio con le lancette. Immaginava i secondi e percepiva il ticchettio come se in testa avesse un timer metallico con tanto di detonatore.
I suoi nervi iniziarono a vibrare, la schiena si inarcò e le gambe molleggiarono a tal punto che dovette sedersi nonostante la sua mente le suggeriva di muoversi freneticamente avanti e indietro per tutta la stanza.
Per un attimo vide se stessa fuori dal corpo e sentì un gran peso sul petto, un dolore sordo, un affanno che emergeva dalle camere buie della sua memoria di bambina timida e indifesa; il mondo è una superficie vasta e crudele ma qui vicino c'è la mamma, qui vicino c'è il prato, l'odore dei fiori, il profumo delle frittelle e delle torte di compleanno. Le nuvole si fecero scure e cariche di pioggia acida.
L'ansia si tramutò in fremito e i vecchi tic dell'infanzia tornarono a farsi sentire in modo del tutto incontrollabile. Seta provò a ricordare le parole del dottore, ma si accorse che cervello e corpo andavano in direzioni opposte. Urlò, pianse, si affogò nel tentativo di ingoiare le lacrime e chiuse gli occhi per non pensare.
Le immagini erano tutte sbiadite, vedeva suo padre e suo fratello in strada con la neve, poi con il sole del primo mattino, intorno a loro c'erano desolazione e macerie. Ebbe paura, la stessa paura che avrebbe una bimba lasciata sola in ospedale per un intervento di appendicite.
A tastoni, cercò una luce nell'oscurità di quella disperazione e quando si inabissò completamente lasciando che lo spazio e il tempo sparissero, vide qualcosa. O meglio, sentì qualcosa. O sarebbe più giusto dire che qualcosa o qualcuno le venne in soccorso.
Con un filo di voce chiamò sua madre: "Mamma! Mamma! Aiutami, non riesco a smettere di tremare".
Un sollievo, seguito da un calore senza fuoco, si sparse lungo il suo corpo come un liquido anestetico e le nubi si diradarono.
La vita, così come l'aveva conosciuta e desiderata, si rivelò in tutto lo splendore terso della sua ineffabilità.
Aveva chiamato sua madre così come faceva da piccola - quando i tic le rendevano impossibile finanche mangiare - e questa aveva risposto; una forza di incredibile vitalità, un corpo fisico senza parole né abbracci aveva placato improvvisamente i suoi spasmi e lenito le sue sofferenze.
Disse a se stessa (senza pronunciare una parola): "ecco cosa sono io... Sono mia madre e il suo affetto incondizionato, sono mio fratello e la sua tenacia, sono mio padre e il suo coraggio".
Si alzò in piedi e guardò verso il soffitto con occhi iniettati e carichi di speranza.
"Sono la memoria di tutti quelli che amo, che odio, che incontro. E se è così che stanno le cose questo vuol dire che sono anche tutta quella gente là fuori e tra quella gente c'è chi soffre e non ha un posto dove andare e non ha la cena in tavola. Loro sono tutto ciò che sono io concretamente. Io non sono altro che questo. E qui sotto c'è ancora tanto spazio!"
In uno slancio di energia indossò il suo cappotto e senza badare alle esplosioni, ai cingoli dei mezzi pesanti e alla bufera che sconvolgeva il mondo in superficie, salì le scale e uscì in strada a recuperare quanta più gente possibile.
Il tempo si dilatò e in cielo si fece una grande calma. Almeno, questa fu la sensazione.
Quando Seta chiuse la porta del bunker si accorse di ciò che era successo realmente. La stanza era piena di persone infreddolite e disorientate. Alcuni erano in piedi con lo sguardo rivolto al soffitto sopra le loro teste, altre si erano accasciate sul pavimento e stringevano tra le mani pacchi alimentari e buste della spesa. C'era appena stato un forte attacco in risposta al fuoco di copertura.
Nei volti di tutti si leggeva una paura incontrollabile e un senso di smarrimento per ciò che era appena accaduto. Erano salvi. Un attimo prima erano in pericolo e ora al sicuro in quello strano luogo sottoterra.
Seta respirava affannosamente e tra la folla cercò con lo sguardo i volti di suo padre e di suo fratello. Si avvicinò guardandoli uno per uno negli occhi come se invocasse una risposta a quelle assenze.
Non ci furono risposte, perché le domande erano diventate ormai superflue: Seta lo aveva capito.
Una bimba sui quattro cinque anni le accarezzò una mano e sorridendo gliela strinse. Seta sorrise a sua volta e si avvicinò alla tavola.
"Hai fame?" chiese alla bimba che annuì immediatamente.
Poi si rivolse ai suoi ospiti: "qui c'è da mangiare, prendete altre sedie e accomodatevi. La notte sarà lunga, è meglio stare tutti insieme".
"Già, sarà lunga" pensò fra sé, "ma io non ho più paura, perché la mia famiglia è di nuovo a casa".
Aspettò che tutti prendessero posto e infine si mise a tavola.
Il bunker era sicuro, ben nascosto e neppure i missili di nuova generazione avrebbero scalfito le pareti di quella fortezza sotterranea, ma Seta in cuor suo sentiva un senso d'angoscia profondo quando la sera si avvicinava e il resto della famiglia non era ancora rientrato.
Suo padre, un ingegnere della centrale elettrica della città, adesso vagava da un negozio all'altro vendendo quelle poche cose scampate ai primi bombardamenti e facendo consulenze saltuarie per l'esercito.
Suo fratello, più piccolo di lei di due anni, seguiva il padre dappertutto. La notte, quando gli spari erano così vicini da sentirne l'eco espandersi nell'aria chiamava la madre, morta a causa di un proiettile vagante sparato dal fuoco amico.
I proiettili non hanno schieramenti, uccidono tutto ciò che trovano sulla loro traiettoria.
Si stava facendo tardi, la cena era fredda, sulla superficie del brodo si era già formata quella strana pellicola che ci ricorda come è fuggevole la nostra esistenza: precaria e fuggevole.
Seta guardava lo scorrere dei minuti sul suo telefono come si farebbe con un orologio con le lancette. Immaginava i secondi e percepiva il ticchettio come se in testa avesse un timer metallico con tanto di detonatore.
I suoi nervi iniziarono a vibrare, la schiena si inarcò e le gambe molleggiarono a tal punto che dovette sedersi nonostante la sua mente le suggeriva di muoversi freneticamente avanti e indietro per tutta la stanza.
Per un attimo vide se stessa fuori dal corpo e sentì un gran peso sul petto, un dolore sordo, un affanno che emergeva dalle camere buie della sua memoria di bambina timida e indifesa; il mondo è una superficie vasta e crudele ma qui vicino c'è la mamma, qui vicino c'è il prato, l'odore dei fiori, il profumo delle frittelle e delle torte di compleanno. Le nuvole si fecero scure e cariche di pioggia acida.
L'ansia si tramutò in fremito e i vecchi tic dell'infanzia tornarono a farsi sentire in modo del tutto incontrollabile. Seta provò a ricordare le parole del dottore, ma si accorse che cervello e corpo andavano in direzioni opposte. Urlò, pianse, si affogò nel tentativo di ingoiare le lacrime e chiuse gli occhi per non pensare.
Le immagini erano tutte sbiadite, vedeva suo padre e suo fratello in strada con la neve, poi con il sole del primo mattino, intorno a loro c'erano desolazione e macerie. Ebbe paura, la stessa paura che avrebbe una bimba lasciata sola in ospedale per un intervento di appendicite.
A tastoni, cercò una luce nell'oscurità di quella disperazione e quando si inabissò completamente lasciando che lo spazio e il tempo sparissero, vide qualcosa. O meglio, sentì qualcosa. O sarebbe più giusto dire che qualcosa o qualcuno le venne in soccorso.
Con un filo di voce chiamò sua madre: "Mamma! Mamma! Aiutami, non riesco a smettere di tremare".
Un sollievo, seguito da un calore senza fuoco, si sparse lungo il suo corpo come un liquido anestetico e le nubi si diradarono.
La vita, così come l'aveva conosciuta e desiderata, si rivelò in tutto lo splendore terso della sua ineffabilità.
Aveva chiamato sua madre così come faceva da piccola - quando i tic le rendevano impossibile finanche mangiare - e questa aveva risposto; una forza di incredibile vitalità, un corpo fisico senza parole né abbracci aveva placato improvvisamente i suoi spasmi e lenito le sue sofferenze.
Disse a se stessa (senza pronunciare una parola): "ecco cosa sono io... Sono mia madre e il suo affetto incondizionato, sono mio fratello e la sua tenacia, sono mio padre e il suo coraggio".
Si alzò in piedi e guardò verso il soffitto con occhi iniettati e carichi di speranza.
"Sono la memoria di tutti quelli che amo, che odio, che incontro. E se è così che stanno le cose questo vuol dire che sono anche tutta quella gente là fuori e tra quella gente c'è chi soffre e non ha un posto dove andare e non ha la cena in tavola. Loro sono tutto ciò che sono io concretamente. Io non sono altro che questo. E qui sotto c'è ancora tanto spazio!"
In uno slancio di energia indossò il suo cappotto e senza badare alle esplosioni, ai cingoli dei mezzi pesanti e alla bufera che sconvolgeva il mondo in superficie, salì le scale e uscì in strada a recuperare quanta più gente possibile.
Il tempo si dilatò e in cielo si fece una grande calma. Almeno, questa fu la sensazione.
Quando Seta chiuse la porta del bunker si accorse di ciò che era successo realmente. La stanza era piena di persone infreddolite e disorientate. Alcuni erano in piedi con lo sguardo rivolto al soffitto sopra le loro teste, altre si erano accasciate sul pavimento e stringevano tra le mani pacchi alimentari e buste della spesa. C'era appena stato un forte attacco in risposta al fuoco di copertura.
Nei volti di tutti si leggeva una paura incontrollabile e un senso di smarrimento per ciò che era appena accaduto. Erano salvi. Un attimo prima erano in pericolo e ora al sicuro in quello strano luogo sottoterra.
Seta respirava affannosamente e tra la folla cercò con lo sguardo i volti di suo padre e di suo fratello. Si avvicinò guardandoli uno per uno negli occhi come se invocasse una risposta a quelle assenze.
Non ci furono risposte, perché le domande erano diventate ormai superflue: Seta lo aveva capito.
Una bimba sui quattro cinque anni le accarezzò una mano e sorridendo gliela strinse. Seta sorrise a sua volta e si avvicinò alla tavola.
"Hai fame?" chiese alla bimba che annuì immediatamente.
Poi si rivolse ai suoi ospiti: "qui c'è da mangiare, prendete altre sedie e accomodatevi. La notte sarà lunga, è meglio stare tutti insieme".
"Già, sarà lunga" pensò fra sé, "ma io non ho più paura, perché la mia famiglia è di nuovo a casa".
Aspettò che tutti prendessero posto e infine si mise a tavola.
Racconto scritto il 17/01/2023 - 14:54
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Voto: | su 3 votanti |
Commenti
Interessante racconto ben scritto che fa comprendere l'importanza di aiutare gli altri.
Maria Luisa Bandiera 23/01/2023 - 11:51
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Racconto letto d'un fiato, molto ben scritto ed interessante.
Marirosa Tomaselli 22/01/2023 - 21:09
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