Nell'aula del tribunale sono alla sbarra 5 partigiani arrestati il giorno precedente da un reparto fascista in un cascinale di Castellazzo Bormida. Sono: Luciano Scassi, nome di battaglia "Stefano" comandante della VIII Divisione di Giustizia e Libertà "Paolo Braccini", Amedeo Buscaglia, suo amico fraterno e braccio destro, Ettore Gino, "Kappa 13", e Giulio Sirboni; tutti della Braccini, e Pietro Scaramussa, staffetta combattente di una Brigata Matteotti che, probabilmente per prendere accordi per un'azione comune, si trovava presso il comando della Divisione Braccini al momento degli arresti.
Le accuse erano di quelle che non lasciavano scampo: azioni di guerriglia, sabotaggio, svolgimento di azioni militari senza indossare la divisa di uno degli eserciti combattenti.
Inoltre, come se non bastasse, i fascisti intendevano vendicare Agostino Pesce, il segretario del fascio di Cassinelle, fucilato il tre febbraio da partigiani della Brigata garibaldina "Buranello" e un'ausiliaria, Lina Wagner, assassinata nei giorni precedenti.
L'unico che forse nutriva qualche speranza, o meglio illusione, era Giulio Sirboni. Un poco più anziano degli altri, aveva affidato la sua sorte alle mani di un avvocato di fama forense, Vittorio Paolo Bozzola. Il dibattimento durò poche ore, e si concluse con cinque condanne a morte.
Quella sera, il quindicenne Mario, figlio dell'avvocato Vittorio Paolo, attese invano il ritorno del padre. Allarmato, uscì nella città buia e deserta per il coprifuoco.
Gli sembrava di camminare nel vuoto, il buio spettrale pareva inchiostro. Poi qualche sprazzo di cielo, le case distrutte dai bombardamenti che ergevano come scheletri gli ultimi pilastri.
Il silenzio era totale, molta parte della popolazione era sfollata, terrorizzata dai bombardamenti, e non era ancora arrivato quello più brutale che fra l'altro ucciderà quaranta bambini in un asilo.
Mario giunse al tribunale, buio totale, girò per il centro della città, Municipio, Prefettura, i vari comandi. Ovunque nessun segno di vita.
Sconfortato tornò nella casa dove ormai pensava di essere rimasto solo, perché il resto della famiglia era sfollato a Capriata d'Orba.
I pensieri che disordinatamente si accavallavano angoscianti nella sua mente, erano che suo padre fosse stato vittima di una vendetta fascista per aver difeso con troppo ardore l'imputato, oppure che qualche partigiano o amico del suo patrocinato, avesse voluto fargli pagare il non essere riuscito a evitare la condanna. Trascorse la notte insonne in preda a foschi e funerei pensieri.
Ma il padre al mattino arrivò incolume.
Raccontò cosa era successo. Dopo la condanna a morte del suo assistito, era andato a chiedere l'inoltro della domanda di grazia al Podestà, al Federale, e a tutte le altre autorità civili. Solo al mattino era riuscito ad ottenere la firma del comandante militare e quindi la sospensione dell'esecuzione pochissimo prima che fosse messa in atto.
Proprio in quelle ore, davanti al Bastione Santa Barbara, nella Cittadella di Alessandria, un plotone di esecuzione poneva fine alle giovani vite degli altri quattro partigiani.
La domanda di grazia di Sirboni, invece, si perse negli uffici, o forse Mussolini non se la sentì di spargere altro sangue, fatto sta che poco più di due mesi dopo, il 26 aprile, Giulio Sirboni riebbe la libertà.
In seguito gli nacque un figlio, Silvano, che fattosi sacerdote, è divenuto un eminente teologo, collaboratore di varie riviste, fra cui Famiglia Cristiana, oltre che scrittore di testi religiosi.
(Storia vera, così come raccontata dal procuratore del Tribunale di Asti, Mario Bozzola, figlio dell'avvocato Vittorio Paolo Bozzola.)
Voto: | su 5 votanti |
Sì Mary fu, è la pagina più triste e drammatica della nostra storia.
Grazie per il gentile passaggio.
complimenti per la scrittura.
Mi fa piacere Margherita il tuo apprezzamento per l'imparzialità; e di averti suscitato il ricordo di uno scrittore, spero gradito.
Mi è sembrato di leggere un'altro bravissimo autore, che era come te, per similitudine nello scrivere.
Grazie
Rispondendo a Marina Assanti, che unisco nel ringraziamento, mi unisco alle parole di apprezzamento per Mario Bozzola. Come suo padre fu un grande avvocato, generoso difensore dei deboli e dei poveri, lui fu un grande procuratore.
Unico rammarico di tutta la sua vita, fu il non essere riuscito ad assicurare alla giustizia gli assassini di Maria Teresa Novara. Nulla poté contro il canalese muro di omertà, ma fino agli ultimi suoi giorni, continuò a lavorare sul caso.
Il procuratore Mario Bozzola era persona estremamente seria e sensibile... e so che spesso raccontava questo episodio, commuovendosi anche per i bambini morti
nell'asilo.
Mi auguro che quei poveri ragazzi, come le infinite vittime della guerra e dell'ingiustizia umana, riposino in Pace. Bellissimo racconto, Aquila, molto ben scritto. Complimenti!