L’autore del Tomo 2:10
cap II- Siamo pieni di chissà
Rincasando il ragazzo si sentì oltremodo soffocare, e più allentava il nodo alla cravatta nera più il groppo in gola si faceva stretto.
Comprese realmente quando dal cortile non avvertì l’odore di tabacco, e mentre stava per lasciarsi cadere sulle ginocchia, il suo sguardo madido fu avvinto dal cigolio dell’imposta della soffitta schiaffeggiata dal vento.
Era lì che era solito rimbucarsi da bambino quando le cose non andavano per il verso giusto.
Tutto appariva diverso, più piccolo e impolverato, ma la sua cassa dei segreti era sempre lì. Accanto a quell’orrido tavolino coi cavalli in ottone.
L’aveva quasi scordata. Aprendola, qualcosa gli sembrò non appartenergli. C’era una lettera scritta a macchina che era come se volesse uscire da un librone, che quasi gli sfuggì per un’improvvisa folata.
«Figlio, in questo modo non potrai interrompermi. E se sei qui vuol dire che per il tuo diciassettesimo compleanno non ci sarò ad abbuffarmi di pan di zenzero.
Ho avuto un’esistenza serena e onesta, anche se alla vita ho dovuto pagare lo scotto di ogni errore.
Il sentimento intricato di una donna eccezionale, instancabile. E un lavoro di tutto rispetto che ci ha permesso di tirare avanti.
Ma avrei desiderato fosse diverso, avrei voluto vivere di carta e di penna.
E scrivere ancora di lui… e che il suo cuore avesse imparato a battere come si deve.
Perché gli occhi non hanno frangiflutti, e lo sguardo è quel moto ondoso che va progredendo ad ogni attracco.
Il punteruolo che ora senti infilato nel cuore ti sembra un dolore insoffribile, ma poi verrà il vuoto che lascia quando lo togli.
Sei Adonay, come ti chiamava Samaèl… e capirai che il vuoto fa paura solo a chi vuole riempirlo a tutti i costi».
Asciugò gli occhi Simone, senza comprendere. Gli sembrò di sentire i cuori sulla soglia entrare a rincorrersi con le anime felici chiudendo la porta, restandoci per sempre.
E una carezza con il bisbiglio del vento.
<Chissà, papà se…> a distrarlo fu un foglio scritto a matita, a terra. Avrebbe giurato che prima non ci fosse
Stretto nel vicolo allo scricchiolio di una cabina
telefonica, soffia dagli occhielli della giacca boccate
d’aria di antiche presenze sospese sulla ghiera a gettone.
Per un attimo gli parvero la veste di un angelo,
appesi a un palloncino di tempo
compresso gli ultimi spiccioli di riflessione
Rimise il foglio nel vecchio libro, e riprese a leggere
«Se quella notte non vi sono stati il tempo e il modo di incontrarlo, scoprirete presto chi è lui… se non vi guarda già dormire.
Per voi altri invece che da quella notte dormite sonni ansiosi a fianco ai vostri angeli, qualunque cosa facciate veglierà su di voi.
Sappiate che sta tornando… a conversare con le vostre anime».
La mattina appresso di quel due di novembre una fitta coltre di nebbia investì i vetri degli occhiali di Simone, lacrime come un sudario.
Oddio!
Si udì quel grido strozzato fin nel cortile. Da sotto il telo mezzo cascato dal tavolino coi cavalli in ottone un’inquietante cantilena, dall’angolo più scuro della soffitta dove ratti contavano le briciole di pane tra quelle di follia
la mente non ha concesso
riposo al corpo
affinché stesse
certa che non fossi morto
-nel tomo, in calce: Qualcosa successe quella notte.
Reprobi angelus, il manoscritto, andò perduto. O a perdersi fu l’ignaro colpevole della sua stesura
non nominare il nome di Dio invano
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Dolorosissimo, ma splendido scritto... condiviso!
Complimenti, Mastro Poeta
p.s. Bellissima la frase sul vuoto da colmare...