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L’autore del Tomo 6:10

nolite facere immunda




cap VI- Leggère tra le rive


Dalla mia casa col cancello di ferro, battuto e chiuso sull’orizzonte, tra il chilometro 13 e la locanda Della Cannella, mentre mi accendo la penultima sigaretta del pacchetto e annuso inebriato l’incarto di quel che resta della scorta di wafer, guardo dal terrazzo il povero Edgar che semina campi e solo campi di zenzero con l’autocertificazione sul cruscotto del trattore accanto a un panino con cipolle e formaggio nella schiscetta di metallo. Che qui chiamano “pojemnik”.
E al pensiero di infilare guanti e maschera, sarei tentato di smettere di fumare. Senza prendermi sul serio sorrido, magari prima o poi…
Ecco fermarsi dopo il guado una volante dei ghisa, da queste parti solo Policja. Il ragazzotto in divisa al terzo passo nell’appezzamento ha i mocassini pesanti per il fango della pioggerella dei giorni scorsi. Dopo avergli mostrato coll’indice la cascina oltre le foglie di cannella se ne va inveendo, e l’uomo con la camicia a quadri impreca qualcosa tipo I campi non si arano da soli!
Già, penso, i solchi nel terreno e i temporali non rispettano il lockdown…


Intanto, solo qualche chilometro più in là verso Parco Lazienki e oltre le apparenze, sulle sponde del Palazzo sull’Acqua nei pressi della Casa Bianca, mentre sul pelo dell’acqua soffia il forte vento che scuote Varsavia si sentono i rintocchi delle campane dell’antica chiesetta sommersa. O almeno è quel che credo di sentire, e dal fondale le grida di genti colpevoli di non aver saputo dare ospitalità a un mendicante.
Certe cose non cambiano mai…
In queste sere di aprile, da un po’ il blu della sirena di un’autopattuglia al porticciolo sulla costa nord blocca l’unico accesso al promontorio orientale del lago.
Il rumore dell’aria sui nodi tra i rami risulterà canto al mattino, sbatterà appena tra sterpi meno spinosi. Come sbatte le ali un angelo. È la speranza.
Il contadino imparerà a lasciare chiuso l’ombrello. E condividere la pioggia e il sole con i suoi finitimi, e i frutti del campo che lavora.


Insieme ai bucaneve alla finestra resto accostato ad ascoltare lasciarsi volteggiare, allontanandosi, le foglie dagli alberi come figli, così i figli…
E divento chi si ascolta. Il resto è aspettare, più o meno in silenzio, di dire la propria.
Credo di aver passato la vita ad ascoltare quello che la gente non voleva dire.


Grazie alla cassa integrazione in deroga sul far del mattino e al calar della sera scopro nuovi oceani perdendo di vista cigli sicuri di costa: mi piace svegliarmi presto con la luna, scendere con lo sguardo fisso sulla stessa montagna insieme, lei torna a dormire… io sveglio dal dormire mia moglie col caffè, e con la mano a qualche centimetro dalla guancia, altra carezza donata al vento.
Da giorni non permette la si tocchi, da diversi giacigli ci amiamo come, più di prima di questa insensata cosa. Credo.
Dove lavora ci sono stanze con vite che necessitano d’esser riordinate, respiratori pochi e bocche da pulire.
Quando rincasa dal turno sorride, lascia scarpe e abiti nel capanno e mi manda sul terrazzo quella carezza che si riprende dal vento; code i suoi bisbigli di “pettirosso caduto che ha aiutato a rientrare nel nido”, Emily Dickinson.
Smetto di leggere “Anna Karenina”, la guardo… <Esaminava quel volto, cercando di non leggere quello che vi era scritto così chiaramente, e contro la sua volontà vi leggeva quello che non voleva sapere>.
Saranno meno distanti gli abbracci nei giorni a venire. Lo capiranno i bambini. La loro mamma non prima di una lunga doccia, la didattica… a distanza.
Per fortuna posso seguirli con la scuola.
Dormono piccini un po’ smarriti ore dopo il proemio dei telegiornali, dorme anche lei sfinita.
Si muove. Mi piace pensare che parli nel sonno, le leggo sulle labbra Mi sono sempre domandata perché ognuno di noi non faccia qualcosa, qualcuno che con un poco di umanità…


«Poi si è accorta che quel qualcuno era lei» una voce seduta all’angolo, sorseggiando da sotto il cappello plumbeo il caffè diventato freddo.




fine Aprile 2020, appuntato nel tomo


che si tratti dell’angelo
inviato dal Padre celeste
o della sorte,
resta la paura della morte





-« » le parole di Samael sono di Lily Tomlin





non commettere atti impuri




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Racconto scritto il 11/03/2023 - 19:28
Da Mirko D. Mastro
Letta n.317 volte.
Voto:
su 3 votanti


Commenti


La vita di allora ritorna nei pensieri di oggi a rimuginare il tempo.

Maria Luisa Bandiera 12/03/2023 - 07:45

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Un viaggio nel tempo e nello spazio, come la morte temuta che viaggia all'orizzonte con la maschera sul teschio. La si teme di più, se è alle spalle e ci insegue, o se sta ferma con noi sulle ginocchia ossute? A ognuno la sua preferenza!! Ad ogni modo....complimenti!!

Anna Cenni 11/03/2023 - 20:26

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Un salto indietro nel tempo... quasi due anni... e quanta vita è trascorsa e mutata da allora.
Bellissimo e struggente capitolo.
Complimenti sempre, Mastro Poeta... al prossimo capitolo!

Marina Assanti 11/03/2023 - 19:53

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