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Biscotti sbriciolati

Ho visto una marea umana spingere contro un muro di balle consumistiche gonfiate ad elio, come un maiale di plastica preso ai saldi dei Pink Floyd e librato in aria per disperdere sul mondo il letame dei porci dal colletto bianco.
Uscivamo in estate, cinque in una macchina scassata con i braccioli montati a mano, il posacenere strapieno di cicche e cenere rappresa.
Quella merda ci montava in testa e ci tormentava come una visione benefica per il resto del pomeriggio, abbandonandoci di sera dopo aver ingurgitato gelati, patatine in busta e frappè alla vaniglia.
Un gruppo di occhi rossi come gli stop di un camion si muoveva di sera con la nebbia dei fiumi in cerca di flash audiovisivi e di un angolo per girare il cannone della staffa, prima di andare a dormire nei nostri letti d'infanzia, beati e docili, fatti a tal punto da sentire un intero concerto di cicale smontarci i transistors e mandarci all'altro mondo.
Tribù metropolitane così incazzate da tatuarsi quell'odio sotto pelle, pronti a sfondarsi i dannati lobi delle orecchie con un ditale da cucito arrugginito e a piazzarci dentro un orecchino dieci volte più grande del diametro di un brillantino da truzzo che ascolta la disco.
A un certo punto è successo che quella rabbia ha raggiunto i livelli di guardia demolendo d'un colpo gli argini della decenza sociale, e noi che eravamo i nuovi eredi di woodstock e del maggio francese, siamo scesi in strada e abbiamo urlato il nostro dissenso a chiare lettere: "Fuck the sistem!"
Da cani sciolti ci siamo organizzati e mentre a Beverly hills Dylan si scopava sia Brenda che Kelly, noi abbiamo fatto sentire la nostra voce e le nostre pietre come fanno i palestinesi in terra santa.
Vestiti comprati ai mercatini, dread, scarpe da skater, bong, cappellino girato, felpa con cappuccio, pantaloni larghi sambuca e bacardi.
La nuova guerra vedeva i signori del mondo contro una moltitudine senza nome né patria né entità; come dice Tyler Darden, eravamo i figli della storia di mezzo, non avevamo una grande guerra né una grande depressione.
La nostra guerra era il nostro tempo, la nostra depressione era la nostra vita.
Ci spararono addosso mentre correvamo tra i vicoli di una città blindata, umiliandoci e deportandoci in lager di stato adibiti a scuole di riab per bambini capricciosi.
Ci rasarono le creste, ci strapparono i piercing, ci fecero fare una recita al passo dell'oca con tanto di saluto romano: che burloni questi bau bau da guardia del padrone!
Poi l'estate passò e in inverno ce ne stavamo a casa, dieci in una casa, a consumare creme su creme a tavola bassa, a ridere fino allo sfinimento con i denti gialli e la bocca impastata di chiacchiericcio no sense e gocciole al cacao.
Al mattino, nel bus che ci portava al liceo, i nostri lettori cd pompavano roba talmente cazzuta che i Guns and Roses a confronto sembravano un gruppo di chierichetti.
Rage Against The Machine, Korn, Incubus, Limp Bizkit, Soulfly, Deftones, Cypress Hill, Machine Head, Slipknot, Coal Chamber, Fear Factory, Papa Roach, Tool e ovviamente il più scabroso di tutti: sua maestà il reverendo M.M.
Facevamo sega in trenta e tornavamo a casa sani e salvi in tre. Il resto vagava tra rimorsi e tasso alcolico in cerca di una tregua e di una buona rosticceria.
Con due spicci in tasca bevevamo "Sovinello", una sottomarca del più famoso e schifoso vino da tavola in cartone, compravamo Diana blue e mangiavamo panini e mortadella per attenuare la fame chimica a metà mattinata.
Parlavamo di serie tv e film visionari: Matrix, X-Files, Fight Club, Allucinazione Perversa, El Topo, La Montagna Sacra, Twin Peaks, Seven, Lost.
Alcuni erano vegetariani, altri avrebbero dato un rene per entrare in un dinner stile americano e far fuori eroiche quantità di cheeseburger e ciambelle come fa il buon Homer Simpson.
Ballavamo fino all'alba del giorno dopo e dopo ancora, provando sensazioni così forti che la metà della gente comune non prova in tutta una vita di matrimoni, lune di miele e viaggi in costa crociera, abbracciandoci al tramonto e amandoci intensamente nell'ora del lupo.
Eravamo una marea complessa e variegata e per questo molto, molto pericolosa.
Una bomba a orologeria con un timer innescato il giorno stesso della nostra nascita, un'arma dal potere distruttivo così letale che quando entrava in funzione faceva tremare la terra, scuotendo le colonne del paradiso.
Come accadde quella notte a Woodstock 99, quando quel gentiluomo in kilt e cornamusa di Jonathan Davis ci chiese con tutta l'aria nei suoi polmoni se eravamo "PRONTI!".
La nostra risposta fu simile a una tremenda inondazione che in parte, ma solo in parte, distrusse il muro alle nostre spalle rovesciando le sorti di un'intera generazione.
Almeno, a me piace pensarla così.


"A place inside my brain,
another kind of pain
You don't know the chances,
I'm so blind!"




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Racconto scritto il 23/03/2023 - 17:04
Da Marco Mitidieri
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