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L’alter ego

Trovarsi, perdersi


È qui vivido davanti ai miei occhi il momento in cui ti ho visto la prima volta. Non lo sapevo, ma avevo trovato me. Solo dopo molto tempo ho acquisito la consapevolezza che eri, sei, il mio alter ego. Io sento il tuo battito e sento il tuo dolore. Ma anche la gioia e il tuo sorriso, quello è in me sempre.
Talvolta mi chiedo perché ci sono voluti tanti anni di assenza, di lontananza prima di capire che a metà non potevamo vivere felici. Eri quel passo che mi mancava, quella parola che non sapevo pronunciare. Eri quel pensiero senza volto e senza profumo che sentivo girarmi intorno silenzioso. Ringrazio sempre il tuo coraggio, la tua risolutezza nel cercarmi. La tua voglia di trovarmi, la tua decisione di restare. Quante parole mi hai anticipato? Quante risate mi hai regalato? Ne ho perso il conto. E vorrei continuare a perderlo.


Riprendersi


Ricordi come ero quando ci siamo “ripresi”? Pensa a quello che ti dicevo di me. Pensa alla domanda che mi facesti durante una delle prime volte che ci siamo sentiti: “Sei felice?”
Ti risposi di no e tu mi dicesti con foga “lo sapevo!”. Io ti ho immaginato trattenere il fiato in attesa della mia risposta. Ma l’ho immaginato solo dopo aver sentito il tuo “Lo sapevo!” Da allora è stato tutto diverso. Eri riuscito a tirarmi fuori un pezzetto di me, a farmi parlare di un mio stato d’animo, di un mio sentimento. Eri entrato in me, un tuffo rapido, diretto. Come sei tu. Diretto. E questa cosa mi piace, mi è sempre piaciuta. Come mi è sempre piaciuto condividere momenti con te, parlare con te senza badare ai minuti, le ore che scorrevano in parallelo a noi. E in questi ultimi anni ho scoperto anche il leggerti.
Ma ora non scrivi più, sei inquieto, sei diverso. Come quando ci siamo “ripresi”. Eri diverso ed eri inquieto. Ma non è che sei stato così tutti questi anni. No!
Ti avevo sentito più sereno, sicuro. E la tua sicurezza mi ha aiutato ad uscire dal mio tunnel di tristezza e di insicurezza. Mi hai insegnato a credere in me quando altri mi trovavano inutile ed incapace. Mi hai insegnato ad ascoltarmi, a trasformare i pensieri in parole e le parole in azioni.
E il tempo con te scompariva, con i suoi ingranaggi bloccati su di noi, sulle risate; o se passava non lo avvertivo se non quando sentivo il tuo “ciao”. Allora come una diga che esplode improvvisamente, riversava su di me tutto il presente lontano da noi.
Se penso a tutti questi momenti che, forse, messi insieme non coprono nemmeno un anno, mi sento felice e scrivo con il sorriso stampato sulla faccia.
E le nostre “vacanze”! Aspettate di anno in anno. Momenti solo per me e te, la mia metà. Un ricongiungersi appena accennato, sussurrato ma gioioso. Ci penso e sorrido. Era per me una certezza, una meravigliosa certezza. Ma in realtà era solo una possibilità tra tante.
Ora è diverso.


C’è tanta differenza tra sentirle dentro le cose e dirle?


Ricordo una tua domanda più recente: “potresti anche innamorarti?”
Qui la mia risposta fu si, mi è uscita da sola di getto, non pensata. Però vera.
Ma forse non avrei dovuto dirlo, forse il nuovo varco che ho aperto, spalancato andava lasciato chiuso, serrato, segreto. Perché da quel varco non escono più risate, chiacchierate, momenti sereni. Ovvero qualcosa esce ma è frettoloso, ancor più rubato, più doloroso. Per tutti. E tu sei muto.
Tu mi hai sempre ascoltato. Perché non posso ascoltare te? Sento spesso un impulso interiore a scriverti, a raccontarti i miei pensieri e i miei sentimenti.
Ma poi mi blocco. Il tuo silenzio mi blocca e anche il timore di ritrovare in te quello stesso sguardo che conosco molto bene che mi parla di noia, di sopportazione, che mi dice, senza parlare, “ma quando finisce ‘sta storia?” Tutte queste parole non dette mi stanno scoppiando dentro. Stanno gonfiando l’anima come il grisou le miniere. Se mi stappi, ti esplodo in faccia impiastricciandoti di tutta me.
E allora ho deciso di aprire solo un po’ la valvola di sfogo e lasciare andare qualche pensiero, bello o brutto non importa, basta che esca.
Oggi hai fortuna sono solo pensieri belli. Anche se mi sento sola, un po’ abbandonata dalle tue canzonature, dalle nostre risate, mi sento comunque felice anzi inquietamente felice. Ho tuttora una voglia irrefrenabile di chiamarti di sentirti dire il tuo “come va?” Sentire la tua voce che ho sempre amato. Mi andrebbe bene anche se mi leggessi una favola. Sono poco esigente, vedi?
Non so perché hai smesso di scrivermi con scioltezza, con la tranquillità di un bel sogno. Ora mi sento sempre oppressa dalla tua non comunicazione. Cosa pensi? Aspetti che sia io a parlarti? Oppure non ne hai mai il desiderio?
Inutile chiedertelo, non rispondi. Ora come nella realtà. Cosa vuoi che faccia?
Beh! forse nulla ed invece io desidero che tu voglia qualcosa da me.
Non possiamo tornare ad essere come eravamo“prima”? Tu dici che non si può per via di quel varco. Io non credo.
C’è tanta differenza tra sentirle dentro le cose e dirle?




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Racconto scritto il 06/09/2023 - 21:39
Da Daniela Cavazzi
Letta n.387 volte.
Voto:
su 2 votanti


Commenti


un raccontare dolce e conciso, regala momenti di assoluto benessere... Brava!

Maria Rosaria Bottigliero 07/09/2023 - 16:10

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Si Daniela, vi è molta differenza fra sentire le cose e dirle.
Gioca molto il fattore temporale.
Ciao

Ernesto D’Onise 07/09/2023 - 11:29

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