Gianna la matta
Anzi, non solo potevo uscire, ma dovevo anche sbrigare alcune pratiche semplici per conto del Centro.
Insomma, mi era stato dato l'incarico di consegnare la biancheria sporca alla lavanderia Calimero, associata con il nostro CIM, e ritirare quella pulita. Un incarico di responsabilità. Dovevo fare venti euro di gasolio al furgone, firmare la bolletta di accompagnamento, e mi era stato permesso pure di fare colazione al bar.
« Questi sono venticinque euro » , mi aveva detto il direttore, « so che farai le cose per bene »
Esagero se dico che mi sentivo euforico? Ormai ero un paziente guarito, e le uniche medicine che prendevo erano dosi ridotte di xanax, ma solo nei periodi di attacco di panico.
Basta, accendo il furgone con tutti i pazienti che mi salutano come se andassi in America, e imbocco il viale che porta al cancello d'ingresso. Accendo la radio, e vado a beccare proprio una frequenza sulla quale stanno trasmettendo Vasco Rossi. Troppo fortunato. Iniziamo bene. Mi accendo una sigaretta, mi sistemo sul sedile, ed esco.
La vita è bella, mi viene spontaneo pensare. E questa voglia matta di vivere significa una sola cosa: non sono più matto.
Alla seconda rotonda imbocco Viale Sabaudia, con i suoi tigli carichi di foglie pronte a cambiar colore, segnale che l'autunno è qui. Stagione triste, l'autunno, rappresenta la fine della vita estiva.
Ma non per me...io ho l'animo in allegria primaverile. Quei tigli mi paiono in fiore; ne sento il profumo.
A metà viale, sulla destra, c'è il distributore di benzina. Dietro il distributore sono sorti tre grandi palazzi, pieni di gente che lavora, e allora il gestore ha aperto pure un bar e ha tolto il cancelletto posteriore, per far entrare a piedi gli abitanti.
In questi palazzi ci abita Gianna, che qui chiamano la matta. Lei non mi conosce, anche perché testarda com'è non ha mai voluto chiedere aiuto a nessun centro di igiene mentale, quindi non ci siamo mai incrociati. Però io conosco la sua storia, e so quel che fa quando incontra qualcuno che non le va a genio. Una volta è entrata nel bar del distributore, c'ero anch'io, ma me ne stavo andando.
Sbraitava con tutti, diceva parolacce alla gente che la prendeva in giro.
“ Ah stronzo, sei una merda, un escremento umano... » , gridava, rivolta a un tipo con la faccia poco raccomandabile.
Lui gli faceva le pernacchie, rideva e le diceva:
« Gianna la matta, in calore come una gatta... »
Lei digrignava i denti, e il suo bel viso di attrice drammatica si trasformava. Aveva i capelli lunghi e neri, mossi, arruffati, due occhi profondi come pozzi dentro i quali pareva si nascondessero tutte le paure del mondo. Alta, ben fatta, con due gambe lunghe che nascondeva sotto un'ampia gonna colorata, come quelle delle zingare. Portava sempre una camicetta viola, scollata, dalla quale si intravedeva un seno alto e pieno, sodo. Quando inveiva pareva che piangesse, e sul viso scorreva una traccia di nero, forse il mascara, usato in abbondanza per dare risalto agli occhi.
Quando la chiamavano Gianna la matta, oltre a sbraitare e dire parolacce, faceva una danza strana che a me dava l'impressione di essere una sorta di rito tribale: si alzava la gonna fino al mento e mostrava le gambe, ancora belle nonostante non fosse più giovane, e digrignava i denti emettendo, al contempo, un suono gutturale, come quello di un animale ferito, o arrabbiato.
Metto la freccia ed entro al distributore. Mi fermo davanti alla colonnina del manuale, anche perché il gasolio del fai da te costa meno. Infilo i soldi, due pezzi da dieci, e prendo la pistola. Appena terminata l'operazione, chi vedo? Proprio Gianna. Mi pare che voglia entrare nel bar, ma il benzinaio glielo impedisce.
Non faccio a tempo a salire sul furgone che lei, inveendo verso l'uomo, un bestione che ha l'aspetto di un orso scorbutico, urla:
« Lo sai, sei una testa di cazzo... »
Poi viene da me con fare deciso ed io, tra il divertito e lo spaventato, aspetto che mi dica qualche parolaccia, come suo uso e costume. Invece, con grande calma e gentilezza mi fa:
« Mi scusi bel signore, mi manda gentilmente affanculo quella faccia da cazzo del benzinaio, non trova anche lei che è un testa di cazzo? »
Incredibile, mi ha trattato come fossi un gentiluomo.
« Come no, signora, per una bella donna come lei, questo e altro »
Vado dal benzinaio con il sorriso sulle labbra, e gli schiaccio l'occhio. Che posso fare...spero non se la prenda.
« Senti, la signora mi ha pregato di riferirti che sei una gran testa di cazzo. Però se ci lasci entrare nel bar a far colazione, ritira tutto. Ah, dimenticavo...e va affanculo... »
L'uomo, fortunatamente, è meno scorbutico di quel che sembrava. Fa un inchino di lato e mi dice, indicando il bar con un braccio:
« Prego, accomodatevi... »
Gianna si avvicina, mi prende sottobraccio mentre apro la porta del bar, e mi ringrazia.
« Due cappuccini e due brioche, massimo cinque euro. Non ho altro », dico io d'un fiato.
Lei mi guarda e mi fa un sorriso, che non posso dimenticare:
« Non ti preoccupare per i soldi. Li ho io...e poi, se non ci si aiuta fra di noi... »
Tornando dalla lavanderia pensavo ancora a Gianna e mi venne spontaneo un pensiero: “se non ci si aiuta tra di noi” poteva essere presa come un'offesa, e invece a me è sembrato un gran bel complimento. Felice e contento di essere stato riconosciuto.
Al Centro, il direttore mi aspettava.
« Allora, com'è andata...bene? »
« Di più », dico io, e in quel momento capisco che posso rimettermi a vivere. Alla grande.
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Sei un grande Giacomo, e tanto da imparare dai tuoi racconti. Complimenti