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Entropia

Italia, Bologna.Anno 2000.
- “Grazie per essere venuti! L’Assemblea di oggi si conclude qui. Ci vediamo giovedì prossimo alla stessa ora”
I pochi studenti che oggi sono presenti all’assemblea scoppiano in uno sbrigativo applauso prima di uscire dall’aula. Io rimango seduto aspettando che lei sistemi i libri nella borsa. Prima quello di Marx, poi qualche saggio di Hegel e infine il suo preferito: “L’anticristo” di Nietzsche. E’ incredibile la semplicità con cui riesce a tenere un’assemblea studentesca parlando di filosofia , poi di arte, poi di poesia, poi di politica e poi d’amore. Eppure lei ci riesce, d’altronde è riuscita proprio così a farmi innamorare di lei. Certo che anche i suoi occhi verdi e i capelli nero corvino hanno aiutato. Forse ha aiutato anche quella leggera difficoltà nel pronunciare la “r”, oppure quel suo passo lento e attento che non accelera neanche se fosse in ritardo all’appuntamento più importante della vita. Oppure la pallida carnagione che ai miei occhi la rende quasi celestiale. Tutto di lei mi coinvolge come nulla aveva fatto fino a questo momento. Forse solo la fisica ci è riuscita. Ecco si, la Fisica è veramente l’amore della mia vita. Mi mancano tre esami. Tre esami e poi finalmente fuggo dall’Italia, fuggo lontano per osservare veramente i movimenti della natura, della vita.
Anche lei è all’ultimo anno di università, pochi esami e poi la laurea in Filosofia è sua. Ma come i nostri amici, noi non sogniamo la festa di laurea giorno e notte, perché a noi non interessa essere catapultati nel mondo del lavoro. Noi vogliamo solo sapere, non lavorare. Lavorare è da borghesi. Lavorare , produrre , fare soldi, spendere i soldi, poi morire. Non è questo che ci interessa. Come vivremo non lo sappiamo, ma non ci interessa.
Parlavamo proprio di questo quando la conobbi quattro anni fa, eravamo due matricole.
Italia, Bologna, 1996.
Io ero seduto in piazza Verdi, con Filippo e Carlo, anche loro aspiranti fisici nonché miei coinquilini.
Filippo:” Chissà, magari un giorno lavoreremo insieme come ricercatori. “
Carlo:” O come colleghi in un liceo”
Passai una birra a Carlo e poi appioppai loro lo stesso discorso che feci ai miei genitori subito dopo l’orale dell’esame di maturità : “Mamma, papà, io voglio studiare Fisica. Voglio studiarla, non insegnarla, non spiegarla a venti cretini che mi ascolteranno in un’aula di un liceo scientifico. Voglio fare della Fisica il mio pane quotidiano. Non pensate che non voglia lavorare perché sono uno sfaticato e non voglio che vi sentiate in colpa per questa mia scelta. Fin da piccolo mi avete insegnato l’importanza della cultura e del sapere e proprio per questo non voglio che la Fisica sia per me motivo di lucro. Vivrò in qualche modo, voglio andare a vivere in un isola deserta, ancora non contaminata dalle squallide regole borghesi del “lavorare, produrre, consumare e morire…” Carlo e Filippo mi interruppero con una fastidiosa risata, la stessa che due mesi prima uscì dalla bocca dei miei genitori.
Stavo per riprendere il mio monologo quando due ragazze si sedettero per terra, vicino a noi.
-“Ma è la birra che ti fa dire queste stronzate o le pensi veramente?”
Sapevo che avrei trovato poche persone d’accordo con me.
-“ Scusate! Lei è Elisa ed è un po’ ubriaca! Io invece la penso proprio come te, ovviamente i miei genitori non ne sono felici ma se ne sono fatti una ragione. A loro basta che io studi, credono che cambierò idea nel corso degli anni”
Filippo:” Visto Enea? Ce ne sono di squilibrati al mondo, lei la pensa come te”
Una risata ci accomunò tutti. Io, però, ricordo che non ridevo per la pessima battuta del mio coinquilino. Io ridevo perché mi era appena esploso il cuore, ridevo pur non avendo capito una parola di quello che la ragazza aveva appena detto. Ridevo perché guardavo quegli occhi verdi e pensavo che fosse l’essere più bello che avessi visto sulla faccia della terra. In quel momento la mia testa e il mio stomaco erano totalmente dominati da quella che noi fisici chiamiamo entropia, ovvero una misura del disordine presente in un sistema fisico.
-“Lei si chiama Elisa, e tu?”
-“Io mi chiamo Iris, piacere.”
Iris Iris Iris. Da quel momento in poi quel nome sarebbe rimbombato nella mia testa ogni singolo secondo della mia vita.
Italia, Bologna, 2000.
E dopo quattro anni eccoci qui. Sono cambiate le cose da quella sera in piazza Verdi. Filippo e Elisa sono diventati amici, Carlo ha lasciato l’università, forse perché quel desiderio di diventare un professore liceale non era poi così forte. Io e Iris invece ci siamo imbarcati in una storia d’amore tormentatamente perfetta che come avete capito, dura tutt’ora. Filippo non è più il mio coinquilino, vivo con Iris in un monolocale vicino Piazza Maggiore. Un letto, un bagno, un piano cottura e tanta poesia. Schiele e Kandinsky tappezzano le mura e un costante odore di erba e fumo rallegra la casa, oltre a rallegrare le nostre menti. Le mensole reggono centinaia di libri universitari, libri di poesie, bottiglie di vino rosso e strane pietre colorate che la madre di Iris, appassionata della cultura new age , ci regala quando passa a trovarci.
Quando due anni fa incontrai per la prima volta la madre di Iris, Angelica, capii subito da dove scaturiva tutta quell’energia positiva che differenziava sua figlia da tutte le persone che avevo incontrato nella mia giovane vita. Capii anche il perché di un nome cosi particolare. Il 1 Ottobre del 1975 un temporale scoppiava nel cielo parigino. I genitori di Iris vivevano nella capitale francese e quel giorno Angelica avrebbe partorito. Il temporale sembrava rispecchiare il lungo travaglio della donna. I tuoni accompagnarono Angelica nel tragitto da casa all’ospedale e poi dalla sala d’aspetto alla sala parto. Il temporale sembrava cessare a mano a mano che la nascita di Iris si avvicinava. Alle 16.47 il pianto di una nuova creatura riempì il reparto di maternità dell’ospedale Saint-Louis. Quando la dottoressa aprì la tenda della camera, finalmente il temporale aveva terminato di tormentare Parigi e un arcobaleno splendeva in cielo, come se il pittore più delicato e veloce del mondo l’avesse dipinto in pochi minuti. Angelica mi spiegò infatti come Iris nella mitologia greca fosse una Dea dell’Olimpo e personificazione dell’arcobaleno.
Italia,Bologna, Ottobre 2001.
Io ed Iris ci siamo finalmente laureati, con il massimo dei voti e con il massimo dell’amore che entrambi abbiamo riservato alle nostre tesi. La fisica e la filosofia, due mondi che da sempre si sfiorano senza mai toccarsi realmente. Il fisico e la filosofa invece si erano toccati, si erano mescolati l’uno con l’altra sprigionando una reazione chimica a cui non avrei mai pensato di assistere.
- L'esplosione di un ordigno è una reazione chimica in cui alcune sostanze passano violentemente da una forma meno stabile a una più stabile. L’esplosione di un ordigno può ferire e mutilare. Può uccidere. La nostra relazione era un ordigno e quando è esplosa ha ucciso. Ha ucciso lei. -


Italia,bologna, Dicembre 2001.
Quante cose possono accadere in un secondo nel mondo? Crolla la terra. Nasce un fiore. Muore una foresta. Una madre da alla luce un bambino. Un eroinomane muore. Un vecchio piange.
Noi in un secondo abbiamo distrutto la nostra esistenza.
Troppo alcool in corpo e forse qualcosa in più. L’ordinaria serata di due amanti che hanno da sempre esagerato con il vino rosso e con le droghe sintetiche. Ma mai come in quest’ istante.
“One pill makes you larger, and one pill makes you small, and the ones that mother gives you don't do anything at all. Go ask Alice when she's ten feet tall and if you go chasing rabbits, and you know you're going to fall. Tell 'em a hookah-smoking caterpillar has given you the call”
“White rabbit” dei Jefferson Airplaine sanguina dallo stereo. Io e Iris balliamo sul letto, poi sul tavolo della cucina, poi in doccia. Lei accende un’altra canna e le sue pupille si dilatano come si dilatarono le mie il primo giorno che mi apparve davanti. La musica sembra aumentare il volume e lei sembra diminuire il suo stato di coscienza. Prende un pennarello rosso e salendo sul letto inizia a scrivere sulla parete queste parole:
"Scrivo qui il mio testamento d'amore per coloro che mi hanno accompagnato nel processo di trasformazione dalla composizione delle prime cellule fino all'inevitabile scomposizione delle stesse.
A coloro che mi hanno sempre sostenuto lascio le mie mani, come simbolo di coalizione affettiva. Ogni qual volta che vi mancherò, stringetele.
A coloro che sono sempre scappati da me lascio le mie gambe. Con le stesse anche io stavo scappando da voi.
A coloro che criticavano, figli di una madre insoddisfatta, lascio le mie labbra che rimasero chiuse quando le vostre si aprivano.
A coloro ai quali ero indifferente lascio le mie dita. Con queste vi indicavo quando mi passavate davanti, per far notare a chi mi era a fianco che io conoscevo voi. Nessuno mi è indifferente.
A coloro che mi odiavano lascio il mio fegato. Esso non ha mai ceduto alla vostra voglia di vederlo contorcersi.
A coloro che mi amavano lascio i miei occhi. Sarete gli ultimi a poterli chiudere prima del grande sonno.
Vivisezionatemi. Vi amo."
Quando il pennarello termina di calcare la piccola circonferenza dell’ultima “O” le sue gambe iniziano a tremare e gli occhi si mostrano bianchi. Le sue pupille dilatate sono scomparse, una bava bianca e densa cola dal suo labbro inferiore fino a cadere sulla mia mano. Poi cade lei, per terra. Io rimango a guardarla dal letto e un vortice si crea attorno a lei come se la terra la stesse riprendendo con sé, perché lei è un dono della terra ed io non ho saputo custodirla.

Apro gli occhi. La stanza puzza di fumo e sudore e forti raggi di sole entrano dalla finestra illuminando gli occhi di Iris, bianchi e la bocca socchiusa. La pelle più bianca del solito.
Parlavo di questo quando vi ho detto che il nostro amore era un ordigno. L’ordigno era esploso. L’esplosione si era manifestata cosi: sesso droga e musica. Tre cose di cui mi ero nutrito ma che avevano ucciso la mia di droga, la mia musica.


Italia, Bologna, Dicembre 2003.


Il frigo è vuoto e il supermercato è troppo lontano. Così ordino qualcosa dal cinese. Iris amava il cibo cinese. Ordinava sempre una porzione di gamberi fritti e una di verdura.
Sfoglio velocemente l’elenco. –“Salve, vorrei ordinare una porzione di gamberi fritti e una porzione di verdura per la mia ragazza e per me del pollo fritto, Grazie!”
Apparecchio la tavola mentre attendo che arrivi la consegna. Due piatti, due forchette, due bicchieri.
-“Buon appetito amore mio”
Cosi lavo anche i piatti, Iris non amava farli, allora io ho imparato.
Mi avvicino alla porta del bagno, devo farmi una doccia, tra poco Filippo sarà qui e dovremmo uscire.
Toc toc. –“Iris sei dentro?” ….ah menomale è libero”

Filippo entra in casa, non lo vedo da un po’ di tempo perché alla fine è finito anche lui nel perpetuo circolo borghese del lavoro ed è stato assunto in un’azienda vicino Bologna.
- “Amore vieni, è arrivato Filippo! Dovresti salutarlo, non vi vedete da una vita”
- Filippo: “Scusa ma con chi parli?”
- “Con Iris, con chi vuoi che parli?”
Filippo mi guarda commosso, mi mette un braccio dietro al collo ed usciamo, insieme, di nuovo.
Ormai Bologna è la mia città, anche se sono nato e cresciuto a Roma. Mi emoziona ogni volta, specialmente in questo periodo. L’albero di Natale in piazza maggiore, gli artisti di strada, luci, voci e sensazioni. Iris amava il Natale. In realtà lei era atea, quindi non aveva un motivo religioso per festeggiare, ma comunque quell’atmosfera di festa e felicità la rendeva serena. Proprio come accade a me.
-“Filì, secondo te Iris come lo preferisce?” gli dico indicando l’albero di natale in piazza.
Filippo: “Ma…cosa?”
-“Come cosa? Filippo.. l’abete, vero o finto?”
Filippo: “Ah, l’abete si. Credo finto, sai com’è lei no?! Animalista, ambientalista, non vorrebbe mai che si uccidesse un’ abete per uno stupido albero di Natale”


Filippo non capiva perché io continuassi a vivere come se lei fosse ancora al mio fianco. Forse perché lei è davvero ancora qui. E’ come se da un giorno all’altro ti asportassero un braccio o magari un occhio o comunque qualcosa di fondamentalmente vitale per te stesso. Devi abituarti al cambiamento no?
Io forse, però non volevo abituarmi.
Italia, Bologna. Febbraio 2004
A Capodanno ho conosciuto Enrico, un ragazzo di Milano anche lui rimasto a Bologna dopo la laurea. Quando l’ho visto quella sera al rave un particolare risaltò ai miei occhi. Una S tatuata sul collo calcava le sue vene gonfie di qualsiasi sostanza girasse quella sera. E’ un amico di Filippo, appassionato di fisica e “appassionato d’amore” cosi disse quando gli chiesi se fosse fidanzato. Col tempo ho scoperto che quell’espressione voleva dire “A me non interessa fidanzarmi e lo potrei fare con tutti. Uomini e donne”
Enrico era bisessuale e questa cosa ovviamente non mi toccava neanche un po’. Ho sempre avuto molti amici gay, ho sempre frequentato locali per gay. Era tutta una questione di apertura mentale e la gente prima o poi l’avrebbe capito. La sua bisessualità non mi toccava neanche quando lo invitai a stare da me, perché i suoi l’avevano cacciato di casa per una storia di soldi, ma non avevo ben capito e non avrei indagato. A me faceva piacere averlo a casa, perché da qualche tempo sentivo che lui sarebbe stata la persona giusta per accompagnarmi in questo lungo viaggio che è la vita.
Io la persona giusta l’avevo trovata, ma quando incontri uno scoglio simile devi distruggerlo e continuare. D’altra parte una grande parte di questo scoglio, lei, la porto ancora con me. La tengo custodita nella tasca interna della giacca come una cosa preziosa. Un sasso. Un semplice sasso. Un rimasuglio di quello scoglio era diventato l’oggetto da divinizzare ogni giorno. Lei era quel sasso e quando non lo portavo in tasca, rimaneva sulla mensola di casa. Sotto al poster di Che Guevara e Fidel Castro che aveva sistemato con troppa cura, come se, cadendo, loro si fossero fatti male davvero.
Enrico sapeva della mia storia con Iris e sapeva che per me lei avrebbe fatto sempre parte della mia vita. Non era geloso.
Italia, Bologna, Agosto 2014.
Enrico: “Cazzo Enea muoviti, perdiamo il treno”
-“Sto prendendo la valigia di Iris, lei non ce la fa a portarla, è troppo pesante”
Enrico:” Io intanto vado a fare i biglietti!”
Stiamo partendo. E’ arrivato Agosto e a Bologna si muore cosi abbiamo pensato che la Puglia potesse essere la meta adatta per tre giovani in cerca di divertimento e di fresco.
Eccoci alla stazione di Bologna, penso che ci siano 40 gradi, infatti prima di arrivare sono passato in farmacia per comprare la protezione solare. La pelle pallida di Iris non è abituata a questi raggi bollenti.
Enrico: ”Hai preso la crema solare?”
-“Certo, due confezioni”
Enrico:” Ma siamo in tre, due confezioni non basteranno!... … ecco il treno, vieni andiamo, passami la valigia di Iris, la porto io”
Non era geloso e non lo sarebbe mai stato. Aveva imparato ad amare questa presenza assente di Iris cosi come aveva imparato ad amare me. La S sul suo collo, il simbolo dell’entropia, due anni dopo divenne un 8. 8 come il giorno in cui ci siamo promessi di continuare a camminare insieme nonostante le guerre scoppiassero intorno a noi. Il nostro sistema fisico aveva raggiungo uno stato d’equilibrio. Niente più caos, niente più entropia. Penso che questo sia dovuto al fatto che Enrico aveva deciso di vivere questa triangolo passionale e fuori dal comune. Avremmo vissuto tutta la vita noi tre, e nessuno dei tre poteva essere più felice.



Fine.




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Racconto scritto il 06/09/2014 - 03:47
Da Giorgia Rosa
Letta n.1368 volte.
Voto:
su 1 votanti


Commenti


(CONTINUAZIONE) che unicamente di narrazione fantastica si tratti, resa in maniera ASSOLUTAMENTE ECCEZIONALE, e non di ricordi personali veri...Anche se, purtroppo, non poca, triste realtà di gioventù bruciata il tuo straordinario racconto fotografa. Non ho quasi la forza -mi comprendi, vero?- di dirti BRAVISSIMO, come davvero, aspirante scrittore, MERITI! Vera

Vera Lezzi 06/09/2014 - 18:31

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Ho la gola così serrata in una morsa...che quasi mi fa male...Di solito, i racconti li leggo a parte poiché sono più impegnativi...Avevo terminato le ultime opere pubblicate oggi, per cui mi sono dedicata interamente al tuo racconto...mi sono sentita subito afferrare dalla straordinaria scorrevolezza del tuo narrare...ed anche dai particolari che distinguevano, agl'inizi, le due figure, la tua e quella della tua Iris, per certi profondi contatti che andavo avvertendo tra certi vostri gusti ed i miei...felice che per voi significassero anche straordinario amore e visione univoca, intensa della
vita...Poi, di colpo, è arrivato tutto il resto che vi ha distrutto...HO SOLO VOLUTO SPERARE, CON TUTTE LE MIE FORZE,

Vera Lezzi 06/09/2014 - 18:24

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