Era un ordine, e sempre a lui era rivolto. Essendo il più grande, con i suoi dieci anni, gli toccava fare quel servizio a papà.
In quel momento, Giuseppe stava affacciato alla finestra e guardava i pochi veicoli che si incrociavano sotto di lui. Faceva il gioco solitario di controllare se almeno una Giulietta Sprint sarebbe transitata nel giro di un quarto d’ora. Era improbabile, date le caratteristiche del mezzo. Pochi, infatti, si potevano permettere una macchina di quel tipo. Lui, invece, si era potuto permettere l’orologio da polso, nel senso che glielo avevano regalato per la Cresima. Con quello, appunto, era in grado di condurre il gioco.
Era una dolce serata primaverile. Le tenebre non erano ancora calate.
- Spicciati, Giusè, che fra poco è pronta la cena.
Giuseppe si staccò dal davanzale. – Uffà, perché proprio io?
Per tutta risposta, il papà gli allungò un biglietto da cinquecento lire.
Il ragazzo non era solo contrariato perché doveva uscire di casa, sentiva quell’ordine come una condanna. Sì, condannato a fare la solita brutta figura.
- Sempre do… do… dodici ne vuoi.
- E che t’importa? Su, e stai attento al resto.
Le parole del padre, ma soprattutto il tono, non ammettevano repliche. Si eclissò in cucina, mentre il ragazzo ebbe un breve momento per pensare.
Con quella maledetta balbuzie, doveva quasi sempre ordinare dodici nazionali. E quel “dodici” non riusciva proprio a pronunciarlo in modo fluido. A volte vi si impigliava per un attimo che sembrava un’eternità, mentre infilava quei “do… do… do…” come grani di un rosario. E la tabaccaia, una signora magra e antipatica, tutta imbellettata, lo aspettava al varco. Sapeva che lui balbettava, gli lasciava finire l’ordinazione (anche se ne conosceva già il contenuto) e poi lo serviva con quel risolino sprezzante, allungandogli le sigarette nella bustina di carta velina.
Non c’era via di scampo. In alternativa, il tabaccaio più vicino era in piazza Campello; ma papà non poteva aspettare tanto. Senza contare che rivolgersi a qualcun altro, che non fosse la terribile tabaccaia, non avrebbe portato grandi vantaggi. Poteva fare un giro di parole, ma alla fine avrebbe dovuto pronunciare quel fatale numero.
Un lampo gli attraversò la mente.
- Quanto costa una sigaretta? – disse tra sé, a voce alta.
Non era bravo in matematica, ma capì subito che doveva dividere il valore di un pacchetto per venti. Sì, ma il prezzo di un pacchetto? Lui non era mai andato a prenderne uno intero. Papà le voleva sempre sfuse… e quasi sempre in numero di dodici. Gli venne in mente di chiederglielo, ma scartò subito l’idea. Papà si sarebbe scocciato, e magari insospettito che lui, Giuseppe, avesse in mente qualche cosa di illecito.
La rapida elucubrazione gli era venuta perché si era ricordato di avere delle monetine nel cassetto del suo comodino. Sarebbero bastate? Valeva la pena tentare: avrebbe ordinato tredici nazionali esportazioni senza filtro e poi restituito il resto giusto. Il tredici gli veniva benissimo, come l’undici. Su quei due numeri non avrebbe balbettato, nemmeno di fronte all’arcigna tabaccaia.
- Sei ancora qui? – venne la voce paterna dalla cucina.
- Vado subito.
Ma prima fece una corsa in camera e aprì il cassetto del comodino. C’erano venticinque lire. Bastavano? Ma sì, adesso che ci pensava, il pacchetto doveva costare duecento lire. Anche se fosse costato duecentocinquanta lire, ci sarebbe stato dentro.
Si ficcò in tasca le monete. Si sentiva salvo.
Fece la strada quasi di corsa. Quando fu davanti al bar-tabaccheria, si fermò per prendere fiato e per ordinare le idee. Doveva chiedere tredici nazionali esportazioni senza filtro. Poi avrebbe aggiunto i suoi soldi al resto delle cinquecento lire e consegnato al papà le dodici sigarette richieste.
Tutto andò liscio. Lui rimase soddisfatto nel vedere spegnersi quel sorrisetto sprezzante sulle labbra della tabaccaia.
Rientrando a casa, si rese conto che aveva trovato una soluzione anche per la volta successiva. Avrebbe ordinato undici nazionali (infatti anche sulla pronuncia di quel numero non c’erano difficoltà) e avrebbe aggiunto, nella bustina, quella che gli era avanzata. E gli venne da sorridere, pensando che avrebbe successivamente recuperato i soldi di quella sigaretta già pagata, tornando così in pareggio.
Due giorni dopo, il padre gli diede i soldi contati.
- Undici nazionali senza fi…filtro – ordinò Giuseppe. Quel piccolo inciampo sull’ultima parola era del tutto trascurabile.
La donna guardò le bustine e i pacchetti aperti che teneva sul banco. Poi lo scrutò con due occhi bistrati che sembravano fessure. – Mi spiace ma te ne posso dare dieci o dodici. Sai, in genere la gente me le compera in numero pari… Così mi scombini nella distribuzione.
Si sentì in trappola. La spiegazione della tabaccaia non l’aveva ben capita, gli sembrava un perfido pretesto.
Non aveva altra scelta, fu assalito dall’ansia.
E fu una catastrofe.
- Do…do…do…do…do… dodici.
Rimaneva una consolazione: la costatazione che teneva in tasca la solita sigaretta residua Avrebbe potuto spenderla la volta successiva.
L’estrasse e la osservò: era tutta gualcita, stava per rompersi proprio nel mezzo.
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disagio, tale da indurlo a