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Deserti di ossa e dune di teschi,
occhiaie vuote e denti digrignanti
di forte rabbia per una morte orrenda,
deliranti nelle fosse gridano il dolore
e dai roventi forni le vermiglie fiamme
sputano al vento l'eloquente cenere
d'un olocausto truce e immotivato.
Come il canto degli uccelli in gabbia,
che tra le gretole cinguettan di mestizia;
così, o fratelli, la vostra nenia veemente
sale dalle oscure tenebre sotterra
e tuona tra i lampi, mentre il ciel imbruna.
L'aria di morte di sudore è pregna
d'antiche ansie, di pene e vilipendio,
che offendono ancor l'esser umano.
Le mie lacrime di sangue raggrumato
son parole d'amore dette al vento,
mentre mi spezza l'anima l'affanno.
Niente mi resta, se non col capo flesso
pregar per voi senza obliar giammai,
perchè i campi spinati e i crematoi,
sensali a forza del ceto scellerato,
nella fredda quiete ancor singhiozzano,
nolenti d'iscenar sì grave lutto.
Pensate, o uomini, a ciò che la storia scrive
ed accendete i forni per bruciare i semi,
che son flagelli dei destini umani.
Forse la storia non è magistra vitae,
ma accademia per tanti delinquenti,
che insegna spesso a vincer le partite,
annientando gli onesti concorrenti.
Gino Ragusa Di Romano
Deserti di ossa e dune di teschi,
occhiaie vuote e denti digrignanti
di forte rabbia per una morte orrenda,
deliranti nelle fosse gridano il dolore
e dai roventi forni le vermiglie fiamme
sputano al vento l'eloquente cenere
d'un olocausto truce e immotivato.
Come il canto degli uccelli in gabbia,
che tra le gretole cinguettan di mestizia;
così, o fratelli, la vostra nenia veemente
sale dalle oscure tenebre sotterra
e tuona tra i lampi, mentre il ciel imbruna.
L'aria di morte di sudore è pregna
d'antiche ansie, di pene e vilipendio,
che offendono ancor l'esser umano.
Le mie lacrime di sangue raggrumato
son parole d'amore dette al vento,
mentre mi spezza l'anima l'affanno.
Niente mi resta, se non col capo flesso
pregar per voi senza obliar giammai,
perchè i campi spinati e i crematoi,
sensali a forza del ceto scellerato,
nella fredda quiete ancor singhiozzano,
nolenti d'iscenar sì grave lutto.
Pensate, o uomini, a ciò che la storia scrive
ed accendete i forni per bruciare i semi,
che son flagelli dei destini umani.
Forse la storia non è magistra vitae,
ma accademia per tanti delinquenti,
che insegna spesso a vincer le partite,
annientando gli onesti concorrenti.
Gino Ragusa Di Romano
Da "Accenti d'amore e di sdegno"
Pellegrini Editore - Cosenza 2004
Dello stesso autore: Patema - Miele e fiele - Speranze e delusioni - Lacrime e sorrisi
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Opera scritta il 08/05/2013 - 15:46
Letta n.1378 volte.
Voto: | su 25 votanti |
Commenti
Gentile poetessa,chiedo venia per non averti ringraziato del tuo commento in tempo utile.Ho rivisto questo mio componimento oggi e mi sono stupito per tanta mancanza nei tuoi confronti. Spero che gradirai le mie sentite scuse, mentre ti offro spiritualmente una rosa. Grazie, Claretta.
Gino Ragusa Di Romano 01/02/2017 - 19:18
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Gentole poetessa, chiedo venia per averti ringraziato del tuo commento in tempo utile. Ho rivisto questo mio componimento oggi e mi sono stupito per tanta mancanza nei tuoi confronti. Spero che gradirai le mie sentite scuse, mentre ti offro spiritualmente una rosa. Grazie, Claretta.
Gino Ragusa Di Romano 01/02/2017 - 19:05
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Non ci sarà mai un perché e forse è proprio così che deve essere,affinché nessuno possa in alcun modo trovare o dare giustificazione a una tale crudeltà.Bene invece come hai fatto tu a trovare occasione per non dimenticare che l'uomo a volte è molto lontano da essere simile anche a un animale.ciao
Claretta Frau 09/05/2013 - 22:07
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