Una Bmw rosso fiamma parcheggiata accanto al fabbricato... Un'immagine sfocata ma densa di significato. Sono nello studio, seduta alla scrivania, dove sovente mi rifugio quando non sono stata all'altezza di una realtà pressante. Sono alla ricerca della mia identità, quella che una volta di più non sono riuscita ad affermare come avrei voluto. Sono alla ricerca di me stessa, di ciò che fui e di ciò che sto diventando. Forse sono semplicemente più vicina a quel che amo, l'odore dei ricordi che si effonde dalla carta sbiadita sullo scrittoio in legno intarsiato, con un cassetto che apro.. e tra le dita mi ritrovo questa foto bizzarra, anomala ed eccentrica, che in un colpo solo ha milioni di cose da raccontare. Già, perché ogni elemento, in quella foto ha una storia da narrare, finanche quel che non si vede: mio padre con la barba ed i capelli lunghi di un tempo, la Canon e un sorriso con cui ha immortalato me e i miei boccoli neri, mano nella mano con mia sorella, che mi sovrasta di almeno trenta centimetri con la sua coda di cavallo castano chiaro, in piedi davanti allo sportello dell'auto. La mitica Bmw fiammante, che parla a chiare lettere del lavoro e delle prime vere soddisfazioni, degli incassi in lire nonché della voglia di vivere dei miei genitori, all'epoca poco più che trentenni. Rivedo quasi la scia dei chilometri, quella che dalla Germania li ha portati in Italia, dopo anni di lavoro all'estero, grazie all'opportunità di avviare un'attività al paesello di origine, l'agognato sogno di mettersi in proprio, il bar, le speranze rosso fiamma. Mi strappa anche un sorriso, pensando a quando mia madre centrò in retromarcia un lampione, con quella stessa bmw. Narra di come mise la patente per un pezzo nel dimenticatoio, dopo quell'episodio sfortunato. Tutt'altra storia racconta il ruvido fabbricato giallo canarino, in una schiera non visibile di altri fabbricati, costruiti in seguito al terremoto dell'Ottanta, quello che aveva distrutto la casa di mio padre e mandato in brandelli tutti i suoi ricordi fino all'adolescenza. Giallo ruvido, modesto, appena riconoscibile tra gli altri, se non fosse per la fiamma rossa parcheggiata lì davanti, fu il nostro alloggio per quattro anni, prima dell'ingresso fatato nella nuova casa. Di sicuro, non fu mai solitudine, tra il via vai dei vicini, le visite degli zii, i pomeriggi a giocare con le cugine, gli spazi ristretti, il sottile confine tra il dentro e fuori, con la porta di legno che spesso restava aperta e gli odori di cucinato che si effondevano nelle vicinanze. Nessun corridoio segnalava l'ingresso, nessuno spartiacque tra la vita privata e quella pubblica e per noi piccole quella sensazione di libertà selvaggia, quando scendere un gradino era sufficiente per correre incontro ai nostri compagni di giochi. Mi sembra di risentire voci e risate echeggiare nel largo stradone dell'intero isolato e rimango con la cartolina stampata tra le dita, sospesa tra i ricordi di un cielo sgombro di nubi di un'infanzia turchina... Resto trasognata a far crepitare i ricordi come mia nonna un tempo davanti a un focolare, ma non è questo il senso di quel rosso. Mi scuoto, mi ammonisco, non restare incatenata nel passato, cerca quella fiamma, porta fervore nella tua giornata. Spingi l'acceleratore e siano i ricordi il tuo carburante, non il rifugio da questa, unica, vita.
Opera scritta il 17/01/2020 - 19:41
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Commenti
Grazie Anna Maria e Leo Pardiss per aver letto e per i vostri commenti
Atrebor Atrebor 20/01/2020 - 13:48
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Ben scritto e piacevole a leggersi.Contenuti interessanti:ho apprezzato quello stile di vita dove non c’era un confine netto tra il dentro ed il fuori che generava grande libertà ed apertura agli altri.Un saluto Atrhebor
Anna Maria Foglia 18/01/2020 - 18:10
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Ben scritto, con quella dose di nostalgia che, in chiusura, incontra la voglia di vivere la vita presente e futura.
Leo Pardiss 18/01/2020 - 09:00
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