Il film è appena terminato e sulla parete scorrono i titoli di coda riflessi dalla luce del proiettore. La soundtrack finale è un pezzone di Onyx targato '95 che picchia talmente duro da indurmi a muovermi avanti e indietro per il salone.
Avrò fatto migliaia di chilometri in giro per casa ascoltando musica e riflettendo sul senso delle cose.
Sul display del mio cellulare ho aperto senza accorgermene una pagina vuota delle note, le mie dita fremono e nel mio cervello si accende la spia "record": partiti.
La morale umana, come è noto (o forse non lo è), è una morale a due tempi. O sarebbe più opportuno dire che l'umanità ha sostanzialmente due morali, due visioni della vita, di solito una opposta all'altra.
Una morale che vede l'essere umano scagliarsi contro i propri simili in una guerra fratricida senza vincitori né vinti, solo prigionieri.
Solo martiri e deportati.
Una morale, più luminosa e aristocratica, che vuole l'umanità ridotta a un gregge incolore, insapore e inodore, bagnato nella grazia dei santi e immerso fino al collo nel timore di una divinità che ha ripulito il mondo da tutti i peccati rimettendoci un figlio.
La prima è una morale razionale che ha trovato facilmente spazio nel culto moderno dell'accumulo, del consumo e del guadagno. I segni distintivi di questa morale sono grottescamente anti-morali: invidia, bramosia, ignoranza e tecnica. Il fine concreto è quello di realizzarsi economicamente per avere un posto che conta nella società. Ma la ricchezza deve essere inversamente proporzionale alla povertà e alle difficoltà del prossimo. La persona che guadagna è felice solo se ha nell'altro un povero disgraziato morto di fame e fallito.
In parole povere, sono felice se ho i soldi ma sono ancora più felice se ho i soldi e un altro non ce li ha. E questo pensiero non fa sconti, investe amici, parenti, fratelli, sorelle, figli.
La seconda è una morale irrazionale, ma non è una morale dello spirito pur rifacendosi allo spirito santo o a vari ed eventuali spiriti santi.
È la morale dei progenitori della terra promessa, coloro che sono morti per mano di Nietzsche e della prima rivoluzione industriale. È la morale dei perdenti per antonomasia, degli sconfitti, degli afflitti; dei porgitori di altre guance.
Spengo il proiettore e vado a sedermi in terrazzo al buio e in silenzio.
È una serata afosa e l'aria è intrisa di frustrazione, disagio sociale e oli esausti.
Nella mente mi si affollano immagini, figure, parole.
Poi qualcosa colpisce in pieno il mio gazebo rotolando velocemente a terra.
Resto immobile. Con una mano prendo il cellulare e accendo la torcia illuminando a casaccio nell'ombra.
La luce si posa su uno spettacolo a dir poco curioso: avvolti in un abbraccio agonizzante, due cavallette si attorcigliano in un ultimo amplesso prima della morte.
Quando mi avvicino le loro zampette sono avvinghiate le une al corpo dell'altra e si muovono spasmodicamente come se avessero avvertito la mia presenza.
In un raptus disperato i due insetti danzano sotto il mio sguardo impietosito, e prima della fine tentano di librarsi in volo con un meraviglioso scatto d'ali che le fa lievitare di qualche millimetro per ripiombare al suolo prive di vita.
Nella morte, come nell'amore siamo Uno.
Non c'è vita senza unità, non c'è riconoscimento se non nell'altro e grazie all'altro.
Noi siamo l'Altro e l'Altro siamo Noi.
Ecco dunque le parole giuste per definire un'altra morale. Una terza via. Una via più giusta, un sentiero antico come il tempo e mille volte più resistente.
Avvolgo le cavallette in una stoffa leggera e le seppellisco sotto una coltre di dolce terriccio.
Avrò fatto migliaia di chilometri in giro per casa ascoltando musica e riflettendo sul senso delle cose.
Sul display del mio cellulare ho aperto senza accorgermene una pagina vuota delle note, le mie dita fremono e nel mio cervello si accende la spia "record": partiti.
La morale umana, come è noto (o forse non lo è), è una morale a due tempi. O sarebbe più opportuno dire che l'umanità ha sostanzialmente due morali, due visioni della vita, di solito una opposta all'altra.
Una morale che vede l'essere umano scagliarsi contro i propri simili in una guerra fratricida senza vincitori né vinti, solo prigionieri.
Solo martiri e deportati.
Una morale, più luminosa e aristocratica, che vuole l'umanità ridotta a un gregge incolore, insapore e inodore, bagnato nella grazia dei santi e immerso fino al collo nel timore di una divinità che ha ripulito il mondo da tutti i peccati rimettendoci un figlio.
La prima è una morale razionale che ha trovato facilmente spazio nel culto moderno dell'accumulo, del consumo e del guadagno. I segni distintivi di questa morale sono grottescamente anti-morali: invidia, bramosia, ignoranza e tecnica. Il fine concreto è quello di realizzarsi economicamente per avere un posto che conta nella società. Ma la ricchezza deve essere inversamente proporzionale alla povertà e alle difficoltà del prossimo. La persona che guadagna è felice solo se ha nell'altro un povero disgraziato morto di fame e fallito.
In parole povere, sono felice se ho i soldi ma sono ancora più felice se ho i soldi e un altro non ce li ha. E questo pensiero non fa sconti, investe amici, parenti, fratelli, sorelle, figli.
La seconda è una morale irrazionale, ma non è una morale dello spirito pur rifacendosi allo spirito santo o a vari ed eventuali spiriti santi.
È la morale dei progenitori della terra promessa, coloro che sono morti per mano di Nietzsche e della prima rivoluzione industriale. È la morale dei perdenti per antonomasia, degli sconfitti, degli afflitti; dei porgitori di altre guance.
Spengo il proiettore e vado a sedermi in terrazzo al buio e in silenzio.
È una serata afosa e l'aria è intrisa di frustrazione, disagio sociale e oli esausti.
Nella mente mi si affollano immagini, figure, parole.
Poi qualcosa colpisce in pieno il mio gazebo rotolando velocemente a terra.
Resto immobile. Con una mano prendo il cellulare e accendo la torcia illuminando a casaccio nell'ombra.
La luce si posa su uno spettacolo a dir poco curioso: avvolti in un abbraccio agonizzante, due cavallette si attorcigliano in un ultimo amplesso prima della morte.
Quando mi avvicino le loro zampette sono avvinghiate le une al corpo dell'altra e si muovono spasmodicamente come se avessero avvertito la mia presenza.
In un raptus disperato i due insetti danzano sotto il mio sguardo impietosito, e prima della fine tentano di librarsi in volo con un meraviglioso scatto d'ali che le fa lievitare di qualche millimetro per ripiombare al suolo prive di vita.
Nella morte, come nell'amore siamo Uno.
Non c'è vita senza unità, non c'è riconoscimento se non nell'altro e grazie all'altro.
Noi siamo l'Altro e l'Altro siamo Noi.
Ecco dunque le parole giuste per definire un'altra morale. Una terza via. Una via più giusta, un sentiero antico come il tempo e mille volte più resistente.
Avvolgo le cavallette in una stoffa leggera e le seppellisco sotto una coltre di dolce terriccio.
"Affrontare ciò che siamo veramente,
Ci esponiamo alla luce
E la nostra vera natura viene rivelata:
L'autoconoscenza è la distruzione del sé"
(da Vampiri a New York, 1995)
Opera scritta il 30/07/2023 - 14:58
Letta n.535 volte.
Voto: | su 2 votanti |
Commenti
Belle riflessioni ma forse poco adatte per noi semplici umani che ben poco sappiamo di quel che veramente c’è dopo la morte e neppure di quel che c’è stato prima della nascita, quindi tanto meno del vero senso di questa vita!
Maria Luisa Bandiera 01/08/2023 - 14:52
--------------------------------------
Inserisci il tuo commento
Per inserire un commento e per VOTARE devi collegarti alla tua area privata.