Pane e formaggio
Seppi di te in settembre, lo ricordo per via del Luna Park.
La seconda sera della festa urtasti con l’auto la grande fioriera della piazza per scostare un bambino sfuggito alla mano spaurita del padre.
Iniziava a far freddo dal vetro frenato dall’ammaccatura nel bandone.
Avevi promesso a tuo figlio la grande ruota panoramica, arrangiasti così un finestrino di fortuna con la pellicola da cucina.
Ti vedevo con due pani a pranzo e un tozzo di formaggio tra quelli delle offerte al discount, un boccone di pasta scondita per cena. Una volta a settimana insaccati a buon mercato che ti tenevano da parte in bottega.
Verso fine mese, il morso della fame.
Quei bonus tanto anelati per i disagi sociali stentavano ad arrivare, te ne stavi quasi facendo una ragione: avevi tentato di guadagnarteli, ma la tua condizione di stenti non era forse sufficiente. Al pari delle restrizioni fisiche dovute alla spalla malconcia per i tanti anni di lavoro al volante.
In quest’Italia contano oramai gli abbienti e, tu poeta lo sai bene, sul far della Vigilia la suggestione che è nell’espressione clochard, che ai primi barlumi quando vien Natale torna ad essere un vocabolo.
Il mestiere… quanti sacrifici, lunghi periodi fuori casa per uno stipendio che negli anni era quasi andato a dimezzarsi per via della crisi nel settore.
Le trasferte. Loro forse, insieme ad altro, ti allontanarono dall’avere una famiglia.
Quel lavoro a cui ora, dopo tante privazioni, non eri più utile.
Te lo dissero i primi di settembre, in un bell’ufficio dell’azienda vista parco Dei Fiori.
Due figli adolescenti e un alloggetto, modesto affitto ma non per te.
E un bimbo non del tutto grande per il quale sentirsi ancora necessario.
Ti vidi la mattina del dodici settembre. Allo specchio, e mi riconobbi.
La seconda sera della festa urtasti con l’auto la grande fioriera della piazza per scostare un bambino sfuggito alla mano spaurita del padre.
Iniziava a far freddo dal vetro frenato dall’ammaccatura nel bandone.
Avevi promesso a tuo figlio la grande ruota panoramica, arrangiasti così un finestrino di fortuna con la pellicola da cucina.
Ti vedevo con due pani a pranzo e un tozzo di formaggio tra quelli delle offerte al discount, un boccone di pasta scondita per cena. Una volta a settimana insaccati a buon mercato che ti tenevano da parte in bottega.
Verso fine mese, il morso della fame.
Quei bonus tanto anelati per i disagi sociali stentavano ad arrivare, te ne stavi quasi facendo una ragione: avevi tentato di guadagnarteli, ma la tua condizione di stenti non era forse sufficiente. Al pari delle restrizioni fisiche dovute alla spalla malconcia per i tanti anni di lavoro al volante.
In quest’Italia contano oramai gli abbienti e, tu poeta lo sai bene, sul far della Vigilia la suggestione che è nell’espressione clochard, che ai primi barlumi quando vien Natale torna ad essere un vocabolo.
Il mestiere… quanti sacrifici, lunghi periodi fuori casa per uno stipendio che negli anni era quasi andato a dimezzarsi per via della crisi nel settore.
Le trasferte. Loro forse, insieme ad altro, ti allontanarono dall’avere una famiglia.
Quel lavoro a cui ora, dopo tante privazioni, non eri più utile.
Te lo dissero i primi di settembre, in un bell’ufficio dell’azienda vista parco Dei Fiori.
Due figli adolescenti e un alloggetto, modesto affitto ma non per te.
E un bimbo non del tutto grande per il quale sentirsi ancora necessario.
Ti vidi la mattina del dodici settembre. Allo specchio, e mi riconobbi.
(Il tordo e sotto, i tasti di una Lettera 22)
Opera scritta il 19/09/2024 - 17:01
Letta n.150 volte.
Voto: | su 2 votanti |
Commenti
Non si è mai necessari, si è sempre necessari, se solo si riesce ad aprire il proprio animo, e il lavoro se si è uomini, lo si trova sempre.Altro discorso è per le donne. Mento in alto e lancia in resta!!
Anna Cenni 20/09/2024 - 12:04
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Stessa cosa per me del commento precedente, stile inconfondibile!
Complimenti per questa scrittura.
Complimenti per questa scrittura.
Maria Luisa Bandiera 20/09/2024 - 07:29
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Racconto molto empatico che trasporta il lettore nel mondo vasto del sentimento e della nostalgia. Scritto con uno stile talmente originale da essere quasi una firma dell'autore, riconoscibile in queste righe senza ombra di dubbio. Bravo.
Mino Colosio 20/09/2024 - 07:25
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