quando sentivi dal peso il legno scricchiolare sulle scale.
Non appena pronunciato il mio nome, te ne rallegravi.
Eri contenta; non chiedevo altro che spazio del tuo tempo.
Ricaricata degli anni la bobina scarica,
ricominciava a girare.
Play, ero che un bambino.
Io di fronte a te osservavo la tua faccia scarna;
i tuoi capelli paglierino bianchi;
gli occhi svegli, stanchi.
Le parole che profferivi erano di donna vissuta.
Raccontavi aneddoti.
Non avevi manco iniziato a parlare che ti ricordavi
di dover nutrire i polli e le galline,
quindi mi lasciavi solo ad aspettarti
che scendevi dalla terrazza.
Io, sulla seggiola di legno intrecciata
con le corde, non mi spazientivo affatto.
Qualche volta ti seguivo curioso
per vederti tutta indaffarata:
Piruzzu! piruzzu! piruzzo! Al richiamo
accorrevano i pulcini mentre tu versarvi per terra
le verdure tagliuzzate e le briciole di pane sminuzzate nella scodella.
E quei coccodè e chicchirichì
pronti a riempire di nuove note, l'aria.
Tu mi dicevi: Vedi Franco, manco le persone sono così
umane come loro!
Sanno farsi volere bene e lo ricambiano
come meglio sanno fare. Dandoti gli ovetti freschi.
Facendoti festa quando arrivi.
Sono testimone anche di averla vista salire
su un albero di ulivo per scuoterlo con la canna.
Lo giuro!
Data la sua tarda età 87 anni uhmm, allora lo credevo impossibile. Ma questa è tutta un'altra storia, ve la racconterò più appresso.
Francesco Currò
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