Possiamo frustare i cavalli sugli
occhi e farli dormire
& piangere”
(Jim Morrison)
Accovacciamoci, coviamo:
tutto può essere di aiuto al nostro girovagare,
in mezzo a macchine di paglia e ombre di cartapesta.
Ragazza giapponese, ragazza giapponese.
Invalidato l’ultimo tentativo, infilato come un anello al dito,
è un sopravanzo di una giornata andata male, rapita.
I ladri girano come soffi d’aria, come pietre pomice
con cui puliamo i nostri piedi pieni di scabbia.
Avanziamo, ora, andiamo verso la porta.
Porta piena di pori, essudante come un’epidermide,
siamo nella marea, come un’onda e respiriamo d’acqua,
mentre baciamo la lama di un catamarano.
Non c’è possibilità di trovare capanna e fango, cerchio e fulcro,
nell’interregno in cui ci troviamo.
Saltiamo la corda, con i pomelli rossi, inanellata come un bracciale unto.
Posto ricco di sorprese, accovacciamoci.
Nitsch e Brus,
uomini meraviglia incollati al patio come figurine.
Ci sono rime che appese al soffitto si depositano sulle nostre mani.
Azzurre, come farfalle.
Dove andremo stanotte?
Guardania è un lavoro che ci interessa, fare i guardiani, sull’erba,
nel punto rimestato sulla collina.
Il punto che ci hanno indicati da basso.
Nell’erba, fissi, passa ogni tanto qualcuno, accovacciamoci.
Passa di qui: dobbiamo dirgli di andare di là, sopra.
C’è un ponte da passare, senz’anitre, ma con loghi moderni.
Indichiamo di andare di là.
Sopportando l’erba sporca, calcano la linea e poi si perdono dietro il colle.
Ce ne andremo di mattina,
quando l’erba sarà secca, e quelli che avremo fatto passare
l’avranno rasa al suolo.
Ragazza giapponese.
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