muovendosi con le movenze consumate di troppe piogge prese,
seduti su sedie dure,
attoniti.
Ascoltando il rumore dell’elettricità che scorre, inane, dentro grossi cavi di metallo,
davanti a palazzo Lancia, mentre uno sciame di colletti biancheggia nel cielo
che marcisce, guasto,
ho avuto un’erezione.
Caduto mentre ascoltavo, ho comprato dieci fazzoletti da un marocchino di dieci anni
che aveva i denti gialli,
e ho seguito la sua sagoma che se ne andava, stranamente, sorridente.
Mi sento come al mercato del pesce.
Sopra tutto questo, ne sono sicuro, ci sarà un “oltre tutto questo”,
uno stadio superiore in cui imploderemo per diventare qualcosa d’altro.
Nel frattempo siamo carte nel mazzo.
Chiudi quegli occhi pieni di sebo.
Mi sono abituato a queste pasticche bianche, rotonde, piatte,
la loro utilità è dubbia, se non inesistente,
ma le prendo come se assumessi dei piccoli corpi inutili, senza sapore,
inibitori dei meccanismi ricettori della serotonina nel mio cranio spaccato.
Stiamo camminando ora, io e te, siamo come due pustole che si alzano
sulla superficie della città, e diventano livide, e poi esplodono,
e la loro suppurazione si perde, via.
Stiamo forse sognando?
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