sul crinale che costeggia la ferrovia,
mentre un treno passava fumigante,
e tu urlavi dalla gioia.
Una gioia improvvisa, eterea, che ha modificato l’espressione del tuo viso,
e ha calibrato l’intensità di ciò che provi per me,
mentre i fuochi rallegravano l’atmosfera.
Ci sono gocce di resina che gemicano dagli alberi.
Accenderemo un fuoco, stasera, e ci riscalderemo da questo freddo,
staremo vicini come se fossimo indivisibili,
cavallo e carro, macchina e pneumatico,
e ci baceremo a lungo, sul crinale.
Lo so che non sopporti a lungo l’iconoclastia dei miei gesti,
e pari conturbata a vederli,
come tradita da un portamento fiero e orgoglioso,
abbi un po’ di compiacenza nei miei riguardi.
Dici che la superficie del forte ti è parsa come non consumata dal tempo,
ma non so bene che volessi dire.
Vedere quel comico dimenarsi sul palco come una scimmia scema
deve averti fatto male, o forse ti ha rinfrancato più del mio volto cupo.
Abbiamo ancora dei minuti, quello è sicuro,
e quindi abbiamo tempo, puoi prendertela comoda,
andremo lontano, appena potremo:
ci porteremo un sogno e una valigia,
una valigia in cui ci staranno un sacco di cose,
inutili per lo più.
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