Come l’emigrato che dal finestrino
sporge la mano per salutar la sposa,
che con gli occhi in lacrime non osa
piangere alla stregua del bambino;
sporge la mano per salutar la sposa,
che con gli occhi in lacrime non osa
piangere alla stregua del bambino;
così anch’io ti miro e ti do l’addio,
paesino mio, dove nacqui e crebbi,
dove gioia e duoli fûr le mie radici.
Lontano, più non canto gli epinici,
ma so che tu rancore non mi serbi,
essendo il Fato ostile al mio desìo.
Gino Ragusa Di Romano
Dal mio libro "LACRIME E SORRISI"

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Commenti
Ho fatto un lapsus digiti:sono trascorsi tre anni circa e non due.


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Gentile poetessa, sono trascorsi circa due anni da quando hai inviato il tuo commento ed io sono risentito con me stesso per non essere stato solerte nella risposta Ti chiedo venia e ti ringrazio.L'occasione mi è gradita per donarti una rosa ed un cordiale saluto.


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E sempre doloroso lasciare il paese natio
non si riesce mai del tutto a sradicarsi e si pensa a lui sempre con nostalgia sperando in un ritorno.
non si riesce mai del tutto a sradicarsi e si pensa a lui sempre con nostalgia sperando in un ritorno.



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