Ho passeggiato accanto
alle acque di smeraldo
della Sorgue, in mezzo alle
bancarelle che vendevano
statuine del presepe,
magliette oscene
e biancheria taroccata.
Ho fatto una tardiva colazione,
al bar sopra il mulino arruginito,
leggendo negli occhi
della cameriera la voglia
di scappare dal deserto
di un inverno troppo lungo.
Del vecchio poeta che faceva
l’eremita coi suoi cani,
pensando ad una Laura
mai toccata, resta una targa
sulla roccia vicino alla sorgente
che sembra la bocca aperta
di una balena.
Sono così i luoghi dei poeti,
questi imperdonabili Narcisi,
feticci che lasciano indifferenti,
come il fasullo spettacolo
dell’operaio nella cartiera,
le mani sempre immerse
in un’acqua torbida e fredda
che ripete gesti annoiati
e non vede l’ora
che il turno finisca.
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