lì dove la luna
non trova pace,
mi sono sporto
per guardaci dentro,
devo aver confuso
i solchi lungo il suo profilo
per le ferite che mi hai narrato,
che ho ascoltato
enumerato
e vissuto,
ora sono anche mie.
Ogni giorno percorro alte distanze,
mi portano dove so di appartenere:
lungo il precipizio del tuo sentire,
sul sedile della tua auto,
a sentirmi piegato sotto il flusso
del tuo respiro faticoso.
Il giorno partorisce più ore,
le sottrarrà alla notte,
alla rotazione della terra,
e me le consegna
perchè io ti sia accanto più del nostro consueto tempo,
e col mutare dei campi che mi divorano gli occhi
delle altitudini dove mi sento condotto
con lo scomporsi e ricomporsi del cielo
dei singoli tratti delle lancette
muto e mi scompogno anche io
ripetutamente,
attinendomi alle tue interezze
e ai cavi spezzatisi dentro,
al puro avvicendarsi di ciò che ti innerva.
intravedo le coste di
una lamina, intrecciata
di scaglie di inquietudine
e radici di malinconia;
si estende quando me ne torno
ad arrotolare i bordi delle mie lenzuola
si assottiglia se ci ritroviamo
con le mani nelle mani
a saperci tristi di saperci vivi.
Percorressi pure le pareti
sottomarine dove sbocciano le onde,
non saprei spezzarla,
così mi estendo ora, subito mi contraggo
mi allungo e ancora mi assottiglio
mi aggancio ai movimenti
che commetti andandotene
o che produce il tormento del tuo oceano,
e io non sono più io
ma un altro te.
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