Che di nero dipingeva
La mia vita corrosiva
D'illusioni assai reali.
Non tangeva il mio bisogno
D'esistenza ch'esigeva
Qualche porta che s'apriva
In destini congeniali.
Fu dal nulla che io vidi
Una sagoma inquietante:
Era lunga, tutta ossuta,
Fredda e certa del suo scopo.
Era il re dei genocidi,
Da me meno era distante.
Nel suo volo dispiaciuta
Splende a guisa di piropo.
D'improvviso io fui pietra:
M'aspirava l'energia
Mentre il dito suo puntava
Fisso in mezzo nel mio petto.
L'atmosfera venne tetra
E il dolor fu un'agonia
Li nel cuore in cui frugava
Come un parassita abietto.
I suoi occhi giallo sole
Mi rubavano i ricordi,
Mentre l'aura nera sua
Disturbava i suoi contorni.
Io so già quello che vuole
E come fanno i finti sordi,
La mia anima perpetua
S'abbandona e perde i giorni.
Ora è fuori dal mio corpo,
Freddo e nero resta immobile,
Mentre fluttuo via nell'aria
Con la mia accompagnatrice.
Ci accingiamo al mio succorpo,
Bello come tomba nobile
E in un urna funeraria
Il riposo mio s'addice.
M'accarezza il volto etereo,
Lei che al viaggio m'ha guidato.
Come madre fa col figlio,
Mi consola fino al sonno.
Il suo volto resta cereo,
D'emozioni inadeguato
E per non portar scompiglio,
Sfuma, senza far ritorno.
Ora vivo con le ombre
In un libero oltremondo,
Senza i traumi della mente,
Del pensiero o d'emozione.
Guardo al mese di Novembre,
Tra le ossa mi confondo,
Distaccato dall'ambiente,
Senza più tribolazione.
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