Pavia
distende arte sul letto del Ticino
tra il verde, il Ponte Coperto e il piumaggio
d’oche, anatre e qualche canoa dietro.
Di splendore romano e longobardo
rivela il volto d’ancella fidata
in chiese di romanico lignaggio,
il Carmine, San Michele e San Pietro
custode di reliquie d’Agostino.
Nella nebbia e la pioggia in passeggiata
sfila attiva fra il decumano e il cardo,
ora Corso Cavour e Strada Nuova,
della sua vetusta età non s’avvede.
Se la senti anche in dialetto parlare
d’università di pregio è sede.
Ed è così che io non me la scordo
e la memoria sempre si rinnova.
Fra torri campanarie e alte magnolie
rivedo i miei vent'anni, i professori,
l’applicazione che misi a studiare
allora Freud, Montaigne o Abelardo,
le piccole ansie, i miei teneri amori
sparsi tra il fiume e le lucide foglie
dei cortili, in la Ticinensis Alma,
dopo lezioni su cerchiate panche
nell’ospitale splendido ateneo.
Rimasta del tempo inconsapevole
Pavia, colta, spigliata giovinetta
che unisce l’utile al dilettevole,
la bellezza allo spirito lombardo.
La sua è una serafica calma,
flessuosa quanto molto concreta anche,
dal Ghislieri al Castello Visconteo
dolce goliardia e nessuna fretta.
(Pavia è la splendida città dove ho svolto i miei studi universitari e ho dei ricordi bellissimi della città, dell'università e soprattutto dei miei vent'anni...).
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Complimenti Carla